PIANO NAZIONALE DEGLI INTERVENTI E DEI SERVIZI SOCIALI
2001-2003
(a norma dell’Art. 18, comma 2 della legge 8 novembre 2000, n. 328).
PIANO NAZIONALE DEGLI INTERVENTI
E DEI SERVIZI SOCIALI 2001-2003
libertà, responsabilità
e solidarietà nell'Italia delle autonomie
Indice
Premessa
Parte I - Le radici delle nuove
politiche sociali
Parte II - Obiettivi di priorità
sociale
1. Valorizzare e sostenere le responsabilità
familiari
1.1. Promuovere e sostenere la libera
assunzione di responsabilità
1.2. Sostenere e valorizzare le
capacità genitoriali
1.3. Sostenere le pari opportunità
e la condivisone delle responsabilità tra uomini e donne
1.4. Promuovere una visione positiva
della persona anziana
2. Rafforzare i diritti dei minori
2.1 Consolidare e qualificare le
risposte per l’infanzia e l’adolescenza
3. Potenziare gli interventi a contrasto
della povertà
4. Sostenere con servizi domiciliari
le persone non autosufficienti (in particolare gli anziani e le disabilità
gravi)
5. Altri obiettivi di particolare
rilevanza sociale
Parte III - Lo sviluppo del sistema
integrato di interventi e servizi sociali
1. Il livello essenziale delle prestazioni
sociali
2. La programmazione partecipata
3. Il finanziamento delle politiche
sociali
3.1 Schema generale del processo
di allocazione delle risorse
3.2 Metodologia e criteri di riparto
3.3 Sostegno e revoca in caso di
mancato utilizzo dei finanziamenti
4. La qualità del sistema
integrato
4.1 - Requisiti minimi, autorizzazione
e accreditamento
4.2 - Professioni e risorse umane
5. Rapporti tra enti locali e terzo
settore
6. La carta dei servizi sociali
7. Il sistema informativo dei servizi
sociali
Allegato - Statistiche sociali.
Premessa
Il primo Piano nazionale degli
interventi e dei servizi sociali 2001-2003
viene predisposto in tempi
assai più ristretti rispetto a quelli previsti dalla legge 328/2000
(art. 18, c. 4), in risposta all'esigenza dell'intero sistema di definire
tempestivamente obiettivi strategici e indirizzi generali, indispensabili
affinché tutti i soggetti chiamati a concorrere alla programmazione
e alla realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali
possano impegnarsi nell’attuazione delle legge quadro sull'assistenza.
Il rispetto delle scadenze previste dalla legge 328/2000, ma anche il diffuso
slancio riformatore proprio di questo particolare momento storico, impongono
- da un lato - e consentono - dall'altro - la prosecuzione del percorso
intrapreso, attraverso la predisposizione dei documenti di maggiore rilevanza
previsti dalla legge quadro. La scelta a favore della tempestività
impone una metodologia e uno stile programmatorio essenziale e selettivo,
che rinuncia (in parte) alle analisi e alle argomentazioni per concentrarsi
sugli orientamenti e gli indirizzi di carattere generale. D'altro canto,
il pluralismo istituzionale e sociale e il principio di sussidiarietà,
sanciti dalla legge quadro, richiedono che il Piano
assuma la logica
e le metodologie proprie della programmazione strategica e partecipata,
di seguito declinate nei termini che i ricordati vincoli temporali consentono.
Il sistema integrato di interventi
e servizi sociali non può che realizzarsi con il concorso di una
pluralità di attori, istituzionali e non, pubblici e privati, rispetto
ai quali sono distribuiti ruoli e responsabilità, competenze e risorse.
In tale contesto, il Piano nazionale ha la funzione principale di
orientare e mobilitare i diversi soggetti affinché ciascuno "faccia
la propria parte" e affinché nel loro insieme si integrino, attivando
una rete progettuale (prima) e gestionale (poi).
La programmazione sociale va infatti
intesa come processo a più attori, collocati a più livelli,
che apportano competenze, ideazioni e risorse ad una progettazione che
esigenze tanto ideali quanto di efficacia vogliono partecipata. La ricerca
e costruzione in itinere del consenso a tutti i livelli e fra tutti i soggetti
è infatti la più forte assicurazione perché il Piano
non
rimanga un messaggio scritto, ma si traduca, pur gradualmente, in cambiamento
effettivo della realtà, grazie all’azione convergente delle politiche
e degli interventi sociali.
Il primo Piano sociale, a
partire dal richiamo degli elementi fondanti le nuove politiche sociali
(parte I), intende evidenziare gli obiettivi prioritari (parte II) ed elaborare
indicazioni per lo sviluppo del sistema integrato degli interventi e dei
servizi sociali (parte III), in un orizzonte temporale che, proprio per
le caratteristiche di orientamento e di promozione che il Piano assume,
si estende (anche) oltre il triennio 2001-2003. Il Piano delinea
inoltre le modalità e gli strumenti per il suo monitoraggio e per
la verifica dei processi in atto e dei risultati via via conseguiti, al
fine di permettere agli organi di governo (ai diversi livelli) di effettuare
le necessarie valutazioni e di introdurre, se del caso, gli opportuni correttivi.
Attraverso questi passaggi il Piano
si
sforza di indicare tanto le linee e gli elementi unificanti le diverse
esperienze regionali e locali, quanto gli spazi di possibile loro articolazione,
differenziazione e sperimentazione nelle modalità organizzative
e operative adeguate ai diversi contesti locali.
Parte I - Le radici delle nuove
politiche sociali
La realizzazione del sistema integrato
di cui alla legge 328/2000 richiede l'avvio di un profondo cambiamento
culturale
nella società intera.
La legge 328/2000 propone un sistema
in cui:
- il cittadino non è solo
utente,
- le famiglie non sono solo portatrici
di bisogni,
- la rete non si rivolge solo agli
ultimi (o ai penultimi),
- l’assistenza non è solo
sostegno economico,
- l’approccio non è solo
riparatorio,
- il disagio non è solo economico,
- il sapere non è solo professionale,
- gli interventi sociali non sono
opzionali.
Al contrario, il sistema integrato
di interventi e servizi sociali deve essere progettato e realizzato a livello
locale:
- promuovendo la partecipazione
attiva di tutte le persone,
- incoraggiando le esperienze aggregative,
- assicurando livelli essenziali
in tutte le realtà territoriali,
- potenziando i servizi alla persona,
- favorendo la diversificazione
e la personalizzazione degli interventi,
- valorizzando le esperienze e le
risorse esistenti,
- valorizzando le professioni sociali
- valorizzando il sapere quotidiano,
- promuovendo la progettualità
verso le famiglie,
- prevedendo un sistema allargato
di governo, più vicino alle persone.
In altri termini, il sistema integrato
di interventi e servizi sociali si sviluppa lungo una direttrice di riforma
che può essere così delineata:
- da interventi categoriali a interventi
rivolti alla persona e alle famiglie,
- da interventi prevalentemente
monetari a un insieme (integrato) di trasferimenti monetari e servizi in
rete,
- da interventi disomogenei a livello
inter
e
intra
regionale,
a livelli essenziali su tutto il territorio nazionale,
- da prestazioni rigide, predefinite
a prestazioni flessibili e diversificate, basate su progetti personalizzati,
- dal riconoscimento del bisogno
di aiuto all'affermazione del diritto all'inserimento sociale,
- da politiche per contrastare l'esclusione
sociale a politiche per promuovere l'inclusione sociale.
La legge quadro sul sistema integrato
di interventi e servizi sociali definisce le politiche sociali come politiche
universalistiche, rivolte alla generalità degli individui, senza
alcun vincolo di appartenenza.
Esse mirano ad accompagnare gli
individui e le famiglie lungo l’intero percorso della vita, in particolare
a sostenere le fragilità, rispondendo ai bisogni che sorgono nel
corso della vita quotidiana e nei diversi momenti dell'esistenza (in relazione
all’età, alla presenza di responsabilità familiari o all’esigenza
di conciliare queste ultime con quelle lavorative), sostenendo e.promuovendo
le capacità individuali e le reti familiari. Più in generale,
il sistema mira a costruire comunità locali amichevoli, favorendo,
dal lato dell'offerta, gli interventi e i modelli organizzativi che promuovono
e incoraggiano la libertà, e, dal lato della domanda, la cittadinanza
attiva e le iniziative di auto e mutuo aiuto.
Le politiche sociali perseguono
obiettivi
di ben-essere sociale. Lo strumento attraverso il quale tali
obiettivi sono realizzati è il Sistema integrato di interventi e
servizi. La promozione delle possibilità di sviluppo della persona
umana, e non l'erogazione di prestazioni e servizi, è l'obiettivo
ultimo degli interventi che gli Enti locali, le Regioni e lo Stato programmano
e realizzano in coerenza con quanto disposto dalla legge 328/2000.
Le politiche sociali tutelano il
diritto a stare bene, a sviluppare e conservare le proprie capacità
fisiche, a svolgere una soddisfacente vita di relazione, a riconoscere
e coltivare le risorse personali, a essere membri attivi della società,
ad affrontare positivamente le responsabilità quotidiane. Il diritto
a stare bene è il fondamento del diritto alle prestazioni
e ai servizi sociali, i quali devono essere offerti ai livelli, secondo
gli standard e con le modalità definite dalla normativa di riferimento.
Il sistema integrato di interventi
e servizi sociali promuove la solidarietà sociale attraverso
la valorizzazione delle iniziative delle persone, delle famiglie, delle
forme di auto-aiuto e di reciprocità, nonché della solidarietà
organizzata.
In coerenza con la legge 328/2000,
il Piano Nazionale Sociale 2001-2003 promuove lo sviluppo del Welfare
delle responsabilità, ovvero di un Welfare che può
essere definito plurale,
perché costruito e sorretto da responsabilità
condivise,
in una logica di sistema allargato di governo, che valorizzi il
federalismo
solidale in cui:
- tutti livelli di governo, Comuni,
Province, Regioni e Stato, ognuno nell'ambito delle proprie competenze,
concorrono a formulare, realizzare e valutare le politiche sociali,
- le organizzazioni sindacali
e
le associazioni sociali e di tutela degli utenti partecipano a formulare
gli obiettivi di ben-essere sociale e a valutarne il raggiungimento,
- le comunità locali,
le famiglie, le persone sono soggetti attivi delle
politiche sociali e, in quanto tali, svolgono un ruolo da protagonista
nella progettazione e nella realizzazione del sistema,
- l’aggregazione e l’autorganizzazione
degli
utenti, delle famiglie, delle persone è fattore di arricchimento
della rete dei servizi,
- le Istituzioni pubbliche di
assistenza e beneficenza
che operano in campo socio-assistenziale partecipano
alla programmazione regionale del sistema,
- le Onlus, la cooperazione,
il volontariato, le associazioni e gli enti di promozione
sociale, le fondazioni, gli enti di patronato e gli enti
riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato
accordi, concorrono alla programmazione, all'organizzazione e alla gestione
del sistema integrato,
- le Onlus, la cooperazione,
il volontariato, le associazioni e gli enti di promozione
sociale, le fondazioni, gli enti di patronato e gli altri
soggetti
privati provvedono, insieme ai soggetti pubblici, all'offerta e alla
gestione dei servizi.
Al Comune, ente territoriale più
vicino alle persone, è affidata la "regia" delle azioni dei diversi
attori, in un'ottica di condivisione degli obiettivi e di verifica dei
risultati.
Il diritto ad usufruire degli interventi
e dei servizi del sistema integrato è riconosciuto a tutti i cittadini
italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali e con le modalità
e i limiti definiti dalle leggi vigenti, ai cittadini dell’Unione Europea
ed ai loro familiari, nonché ai cittadini non comunitari con regolare
permesso di soggiorno.
Il sistema integrato di interventi
e i servizi sociali ha come primi destinatari, in un’ottica insieme
di prevenzione e di sostegno, i soggetti portatori di bisogni gravi. Nella
prospettiva universalistica e inclusiva della cittadinanza, il sistema
quindi dà priorità (art. 2, comma 3):
- ai soggetti in condizione di povertà
o con limitato reddito,
- ai soggetti con forte riduzione
delle capacità personali per inabilità di ordine fisico e
psichico,
- ai soggetti con difficoltà
di inserimento nella vita sociale attiva e nel mercato del lavoro, - ai
soggetti sottoposti a provvedimenti dell’autorità giudiziaria che
rendono necessari interventi assistenziali,
- ai minori, specie se in condizione
di disagio familiare.
Il criterio di accesso al
sistema integrato di interventi e servizi sociali è il bisogno.
La diversificazione dei diritti e delle modalità di accesso ad un
determinato intervento è basata esclusivamente sulla diversità
dei bisogni.
Affinché le politiche sociali
siano veramente universalistiche, è necessario che le persone e
le famiglie con situazioni di bisogno più acuto o in condizioni
di maggiore fragilità siano messe in grado di poter accedere ai
servizi rivolti a tutti, oltre che eventualmente a misure e servizi specificamente
dedicati. A questo scopo non basta definire graduatorie di priorità
che potrebbero, da sole, avere persino un effetto di segregazione sociale.
Occorre soprattutto sviluppare azioni positive miranti a facilitare e incoraggiare
l’accesso ai servizi e alle misure disponibili. Tali azioni dovranno riguardare
la messa a punto di strumenti di informazione adeguati, di modalità
di lavoro sociale (al contempo attive e rispettose della dignità
e delle competenze dei soggetti), di misure di accompagnamento che compensino
le situazioni di fragilità e valorizzino le capacità delle
persone e delle loro reti sociali e familiari.
Le Regioni e gli Enti locali sviluppano
specifiche azioni affinché coloro che hanno più bisogno e
perciò più titolo ad accedere al sistema integrato non vengano
esclusi o, comunque, non siano ostacolati da barriere informative, culturali
o fisiche nell'acceso ai servizi e agli interventi specificamente loro
dedicati e a quelli universalistici. Particolare attenzione sarà
riservata agli interventi a favore dei soggetti che risiedono nelle zone
svantaggiate, nelle aree rurali e nei piccoli centri.
Le persone e le famiglie possono
essere chiamate a concorrere al costo dei servizi universali in base alla
loro condizione economica, per salvaguardare il criterio dell’equità.
L’attuazione di un sistema di servizi
a rete presuppone una complessa interazione tra tutti i soggetti coinvolti,
pubblici e privati. L’art. 1, comma 3 della legge 328/2000 attribuisce
chiaramente la primaria responsabilità della programmazione e dell'organizzazione
del sistema integrato all’articolazione enti locali - regioni - Stato;
i commi successivi dello stesso articolo provvedono a riconoscere i vari
soggetti privati che forniscono servizi e che possono assumere un ruolo
attivo nella progettazione e nella realizzazione degli interventi.
Il principio di sussidiarietà
trova quindi attuazione in senso sia verticale sia orizzontale.
In primo luogo, risulta confermata
la scelta che privilegia i comuni quali titolari delle funzioni
relative ai servizi sociali offerti a livello locale (scelta già
presente nel d.lgs 616/77 e nel d. lgs 112/98), con alcune specificazioni
connesse al concetto di rete. In riferimento ai comuni, si passa dai compiti
di erogazione di servizi alla attribuzione della titolarità delle
funzioni (comprendenti la programmazione e la realizzazione in ambito locale;
l'erogazione di servizi e prestazioni economiche; le attività di
autorizzazione, accreditamento e vigilanza delle strutture erogatrici;
la definizione dei parametri per l'individuazione delle persone destinatarie
con priorità degli interventi). Assume anche particolare rilievo
la prevista partecipazione dei comuni al procedimento regionale per l’individuazione
degli ambiti territoriali del sistema locale della rete di servizi. La
natura delle funzioni attribuite ai comuni è ulteriormente connotata
dall’elenco, non esaustivo, previsto dall’art. 6 della legge quadro.
Le province concorrono alla
programmazione del sistema integrato secondo quanto previsto dalla normativa
e con le modalità definite dalle regioni.
Alle regioni sono attribuiti
compiti di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali,
nonché di verifica dell'attuazione del sistema integrato nell’ambito
territoriale di competenza. Le funzioni sono specificate all’art. 8, comma
3 della legge n. 328/2000, che contiene un elenco di compiti da attuarsi
"nel rispetto di quanto previsto" dal d.lgs n. 112 del 1998. Essi riguardano,
fra l'altro, la determinazione dei distretti (con il coinvolgimento degli
enti locali interessati), la definizione di politiche integrate con gli
altri settori di intervento, la promozione di modelli sperimentali e innovativi,
lo sviluppo di strumenti di valutazione. Spetta, inoltre, alle regioni
l’indicazione di una serie di criteri concernenti la determinazione del
concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni, la definizione
delle tariffe che i comuni sono tenuti a corrispondere ai soggetti accreditati
e la concessione di buoni-servizio che consentano l’erogazione di prestazioni.
Infine, l’accentuazione della responsabilità
politica e amministrativa delle regioni nell’implementazione del sistema
è alla base della previsione dei poteri sostitutivi ad esse conferiti.
Le residue funzioni statali
riprendono formulazioni presenti, in primo luogo, nel d.lgs n. 112 del
1998 e in altre leggi in materia di servizi sociali, che limitano le competenze
statali a quelle strettamente connesse ai compiti di indirizzo, coordinamento,
mediante l’indicazione di standard, e di ripartizione delle risorse. I
compiti indicati alle lettere a), b), c) e d) dell’art. 9, comma 1, riguardano
l’indicazione dei principi e degli obiettivi delle politiche sociali, mediante
l’adozione del Piano nazionale degli interventi e servizi sociali che
costituisce il fondamentale atto di programmazione in materia; l’individuazione
dei livelli essenziali ed uniformi delle prestazioni, dei requisiti minimi
strutturali e organizzativi per l’autorizzazione all’esercizio dei servizi
nonché dei requisiti e dei profili per le professioni sociali.
Secondo il principio della "sussidiarietà
verticale", fra le Istituzioni pubbliche, "l’esercizio
delle responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere
di preferenza sulle autorità più vicine ai cittadini" (articolo
4 della Carta Europea).
Secondo il principio della "sussidiarietà
orizzontale", fra Istituzioni pubbliche e società
civile (intesa, quest’ultima, come l’insieme dei soggetti individuali
e collettivi che la compongono e rispetto ai quali l’ordinamento giuridico
esprime una valutazione positiva di valore), per renderne compatibile l’applicazione
con l’adeguatezza del livello di risposta ai bisogni, è necessario
che l’Ente Locale titolare delle funzioni sociali svolga pienamente le
funzioni di lettura dei bisogni, di pianificazione e programmazione dei
servizi e degli interventi, di definizione dei livelli di esigibilità,
di valutazione della qualità e dei risultati. In alcun modo la "sussidiarietà
orizzontale" può essere intesa quale semplice supplenza delle istituzioni
pubbliche alle carenze della società civile, ma quale strumento
di promozione, coordinamento e sostegno che permette alle formazioni sociali(famiglie,
associazioni, volontariato, organizzazioni non profit in genere,
aziende, ecc.) di esprimere al meglio, e con la piena garanzia di libertà
di iniziativa, le diverse e specifiche potenzialità. Resta in capo
alle istituzioni il ruolo fondamentale di garanzia della risposta(esistenza,
qualità, accessibilità).
Nei casi in cui l’intervento sociale
provenga dalla comunità, esso è alternativo ai servizi sociali
forniti dall’Ente pubblico, soddisfacendo direttamente il bisogno. In un
quadro solidaristico che preservi le fondamentali funzioni dello stato
sociale, la corretta applicazione del principio di sussidiarietà
orizzontale deve conservare e rafforzare il ruolo delle Istituzioni pubbliche
in due direzioni:
a) sostegno costante alle risorse
della società civile e ai legami solidaristici,
b) sorveglianza sul sistema di offerta
complessivo, garanzie di imparzialità e completezza della rete degli
interventi e dei servizi presenti nel territorio.
La sussidiarietà deve essere
realizzata attraverso la concertazione a tutti i livelli istituzionali
(a
partire dalle Regioni e dagli Enti locali) con le organizzazioni sindacali
che
hanno il compito di formulare gli obiettivi di ben-essere sociale,
di
concorrere alla programmazione degli interventi e di verificarne il raggiungimento,
valorizzando il ruolo del volontariato del terzo settore nella coprogettazione
e nella realizzazione dei servizi. La concertazione a tutti i livelli istituzionali
è altresì volta a valorizzare tutti gli attori istituzionali
(Ipab) e gli attori sociali (volontariato, terzo settore) nella progettazione
e realizzazione del sistema integrato.
Il Piano nazionale sociale 2001-2003
si
propone di valorizzare il lavoro svolto dal Dipartimento per gli Affari
Sociali, in accordo con i referenti regionali e con i ministeri di riferimento,
nell'ambito della Programmazione dei Fondi strutturali 2000-2006,
nella individuazione delle misure di intervento dei Quadri comunitari di
sostegno nazionali e dei complementi di programmazione dei Fondi europei
(obiettivi 1 e 3), nonché attraverso la predisposizione di un piano
specifico di assistenza tecnica alle regioni e agli enti locali delle regioni
del centro nord e del mezzogiorno. L'assistenza tecnica del Dipartimento
per gli Affari Sociali si propone quale strumento di integrazione e raccordo
tra il quadro comunitario di sostegno dei fondi strutturali 2000-2006 e
l'attuazione della legge quadro sull'assistenza.
Parte II - Obiettivi di priorità
sociale
Premessa
Il Piano Nazionale Sociale 2001-2003
ha come obiettivo la promozione del ben-essere sociale della popolazione.
La realizzazione di un sistema integrato
di interventi e servizi sociali è lo strumento attraverso il quale
le politiche sociali perseguono gli obiettivi di ben-essere sociale.
Il primo Piano Nazionale Sociale
individua i seguenti obiettivi prioritari:
1. valorizzare e sostenere le responsabilità
familiari,
2. rafforzare i diritti dei minori,
3. potenziare gli interventi a contrasto
della povertà,
4. sostenere con servizi domiciliari
le persone non autosufficienti (in particolare le persone anziane e le
disabilità gravi).
Oltre a tali quattro obiettivi,
il Piano indica un quinto obiettivo riferito a una serie di interventi
che per la loro rilevanza, e in coerenza con quanto previsto dalla normativa
di settore, meritano specifico rilievo: l'inserimento degli immigrati,
la prevenzione delle droghe, l'attenzione agli adolescenti.
Gli obiettivi non esauriscono, nel
complesso, i bisogni di ben-essere sociale della popolazione. Altri bisogni,
non espressamente considerati nel Piano, potranno essere assunti dagli
enti locali e dalle Regioni sulla base di specifiche scelte di priorità
sociale, tenuto conto dei bisogni della popolazione di riferimento.
Le Regioni, entro 120 giorni dalla
entrata in vigore del Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali,
adottano i Piani Regionali ai sensi dell'articolo 18, comma 6 della legge
328/2000 e secondo le modalità previste nell'articolo 3 della legge
328/2000.
Obiettivo 1 Valorizzare e sostenere
le responsabilità familiari
Con l'obiettivo 1 il Piano Nazionale
Sociale 2001-2003 si propone di:
- promuovere e sostenere la libera
assunzione di responsabilità,
- sostenere e valorizzare le capacità
genitoriali,
- sostenere le pari opportunità
e la condivisione delle responsabilità tra uomini e donne,
- promuovere una visione positiva
della persona anziana.
1.1 - Promuovere e sostenere la libera
assunzione di responsabilità
La libera assunzione di responsabilità
da parte degli individui nei confronti dei più piccoli, dei più
anziani, dei non autosufficienti è non solo eticamente, ma anche
socialmente, un fatto positivo. Le politiche nazionali e locali devono
agevolare tali atti di libertà, correggendo o eliminando tutti quei
fattori che li rendono troppo gravosi o inconciliabili con altre esigenze
(in particolare, anche se non esclusivamente, con quelle delle donne con
carichi familiari).
Le politiche sociali devono sostenere
attivamente le scelte relative all’avere uno o più figli e
quelle relative all’assunzione di responsabilità verso persone
parzialmente autosufficienti nella propria rete familiare.
In tutti questi campi esistono forti
diversificazioni nelle politiche locali che potrebbero utilmente essere
messe a confronto anche per avviare processi di apprendimento reciproco
e di verifica delle "buone pratiche", pur nella consapevolezza delle specificità
locali.
Da questa diversità dei punti
di partenza deriva anche la necessità di definire obiettivi di breve
periodo diversificati per regione. Essi andranno chiaramente identificati
nei piani regionali, sia in termini di copertura (percentuali di soggetti
il cui bisogno si mira a soddisfare nell’arco del triennio, tasso di variazione
rispetto alla situazione di partenza), sia in termini di strumenti da attivare
(tipi di servizi e interventi).
1.2 - Sostenere e valorizzare le
capacità genitoriali
Il peso delle responsabilità
genitoriali e, soprattutto, le difficoltà a conciliare lavoro e
famiglia condizionano in modo significativo sia le scelte della coppia
circa l'avere uno o più figli, sia la partecipazione delle donne
al mercato del lavoro.
Alcuni comuni hanno iniziato a fornire
un sostegno economico vuoi per coprire le spese implicate dalla nascita
di un figlio, vuoi per consentire ai genitori, specie a reddito medio-basso,
di poter fruire effettivamente del congedo opzionale in presenza di figli
piccoli. Si tratta di misure importanti, ma che non possono essere considerate
alternative all’offerta di servizi di cura ed educazione di qualità
e a prezzo contenuto. Tali servizi, infatti, da un lato consentono con
maggior agio ad entrambi i genitori, e soprattutto all’eventuale unico
genitore presente, di avere un lavoro remunerato (ovvero di assicurare
nel tempo la sicurezza economica a sé e ai propri figli); dall’altro
costituiscono una risorsa aggiuntiva per i bambini e per i loro genitori:
come spazi di socializzazione, di esposizione a esperienze e stimoli diversificati,
di confronto e arricchimento personale. Possono inoltre costituire importanti
strumenti di prevenzione e ascolto del disagio.
Per quanto riguarda la presenza,
nei comuni, di asili nido e di servizi per minori in età prescolare
e scolare, l'indagine Istat del 1997 rivela una situazione particolarmente
grave. Nei piccoli comuni(meno di 5.000 abitanti), l'asilo nido è
ancora molto raro (solo il 10% dei comuni del nord dispone di un asilo
nido, 9% al centro e 1,9% al sud). Nei comuni medi la situazione è
estremamente.diversificata (si va dal 71,5% del nord al 28% del sud), mentre
nei comuni più grandi il divario tra nord e sud è minore,
ma ancora considerevole (92,7% al nord contro 64,8% al sud).
In tale contesto, è fondamentale
il ricorso alla rete di aiuti informali, oltre che dei servizi a pagamento.
Le famiglie con bimbi sono quelle che ricorrono più frequentemente
agli aiuti informali, in particolare dei nonni; le famiglie con bimbi in
cui la donna lavora sono quelle che ricorrono più frequentemente
sia ai servizi privati sia alla rete informale (si veda in proposito l’Allegato
statistico).
Ciò può produrre sia
elementi di costrizione e sovraccarico sulle famiglie e le loro reti informali,
sia forti disuguaglianze tra famiglie e anche tra bambini a seconda della
possibilità di ricorrere ad aiuti informali o a pagamento.
Alla luce della situazione descritta,
peraltro in maniera ancora parziale, dalle statistiche sulle responsabilità
e i carichi di lavoro delle famiglie con figli, le politiche sociali devono
proporsi almeno i seguenti obiettivi di carattere generale:
a) riconoscere il costo economico
legato alla presenza di uno o più figli;
b) facilitare la conciliazione delle
responsabilità genitoriali con la partecipazione al lavoro remunerato
delle madri e dei padri, in un’ottica di pari opportunità e di prevenzione
dalla vulnerabilità economica;
c) sostenere, valorizzare e integrare
le capacità genitoriali, fornendo strumenti per affrontare le normali
fasi di cambiamento e i momenti di crisi, in un’ottica di prevenzione.
Tali obiettivi coinvolgono, in primo
luogo, le politiche nazionali, in particolare quelle fiscali e di regolazione
dei rapporti di lavoro e, in secondo luogo, le politiche locali, in particolare
(ma non esclusivamente) per quanto riguarda l’offerta di servizi e l’armonizzazione
dei tempi delle città.
Con riguardo agli obiettivi di sostegno
e potenziamento della libera assunzione di responsabilità familiari
e genitoriali, e in stretto collegamento con le azioni previste per l'obiettivo
2, i piani di zona dovranno prevedere misure e servizi in ognuno dei seguenti
campi:
a) interventi a sostegno della conciliazione
tra responsabilità familiare e partecipazione al mercato del lavoro,
in particolare per le madri (ad esempio, servizi scolastici integrati,
incentivi e cooperazione con le imprese per l’adozione di orari amichevoli),
anche in collegamento con la legge 8 marzo 2000;
b) servizi di cura per i bambini,
sviluppando le opportunità e la logica della legge 285/97;
c) agevolazioni e misure di sostegno
economico a favore delle famiglie con figli (ad esempio, nelle politiche
tariffarie o abitative);
d) forme di agevolazione e sostegno
delle famiglie con figli minori
che presentano particolari carichi
di cura (ad esempio, famiglie con un solo genitore o con un minore con
handicap grave);
e) strumenti di incentivazione
dell’affidamento familiare nei confronti di minori in situazione di
forte disagio familiare e per i quali è impossibile, anche solo
temporaneamente, rimanere presso la propria famiglia;
f) misure di sostegno alle responsabilità
genitoriali (ad esempio, centri per le famiglie e consultori pedagogici,
entrambi aperti anche ai gruppi di auto e mutuo aiuto).
All’interno delle politiche di sostegno
alle responsabilità familiari, specifica attenzione deve essere
dedicata alle famiglie che, di fronte alle responsabilità genitoriali,
si trovano in condizioni di particolare difficoltà; ciò attraverso
sia lo sviluppo di servizi (anche domiciliari) che sostengano le competenze
genitoriali sia (quando queste misure non sono sufficienti a garantire
la sicurezza e lo sviluppo dei minori) il ricorso temporaneo all’affido.
I piani di zona devono indicare
gli obiettivi di breve e medio periodo, e gli strumenti adottati per la
realizzazione degli obiettivi.
1.3 - Sostenere le pari opportunità
e la condivisione delle responsabilità tra uomini e donne
La responsabilità di una
famiglia comporta un rilevante carico di lavoro sulla donna: il
48% delle donne occupate lavora più di 60 ore a settimana, tra lavoro
domestico e extradomestico (contro il 20% degli occupati). Il carico di
lavoro è maggiore per le donne lavoratrici con bimbi piccoli. Fra
le 637 mila coppie con bimbi piccoli (da 0 a 2 anni) in cui la donna lavora,
ben il 64% delle donne lavora più di 60 ore a settimana. E fra quelle
in cui il bimbo più piccolo ha tra i 3 e i 13 anni e la.madre lavora
(oltre 1 milione di famiglie), il 58% delle donne lavora più di
60 ore a settimana (Allegato statistico).
Le responsabilità familiari
sono la principale causa di abbandono dell'attività lavorativa da
parte delle donne: tra quelle con due figli, una su cinque ha abbandonato
il lavoro in occasione della nascita di un bimbo, addirittura una su quattro
se in età compresa tra 25 e 34 anni (Allegato statistico). Inoltre,
nonostante la normativa a tutela della maternità, una percentuale
significativa di donne interrompe il rapporto di lavoro nel periodo di
maternità protetta (circa il 10% in media e oltre il 15% in alcune
regioni come il Veneto, la Lombardia, il Trentino Alto Adige) (si veda
l’Allegato statistico).
Nel rispetto delle libertà
di scelta individuale, e nella consapevolezza che esistono diversi modelli
culturali e valoriali di famiglia, il Piano nazionale Sociale 2001-2003
propone
che le Regioni e gli enti locali nel progettare il sistema integrato di
interventi e servizi affrontino esplicitamente (anche tramite l’ampliamento
dell’offerta dei servizi di cura, la piena attuazione della legge 8 marzo
2000,la collaborazione con i comitati pari opportunità nazionale
e locali) il problema relativo all'abbandono del lavoro da parte delle
donne: a) nel periodo di maternità protetta e b) in occasione della
nascita di un figlio. Le statistiche disponibili (vedi allegato statistico)
consentono alle diverse regioni di conoscere la propria posizione di partenza
e il divario rispetto alla media nazionale e rispetto alle regioni con
le posizioni più favorevoli (verso le quali le regioni e i comuni
devono puntare).
1.4 - Promuovere una visione positiva
della persona anziana
La dinamica demografica pone l’Italia
fra i Paesi con la più alta percentuale di anziani. All’1.1.2000
le persone di età superiore ai 65 anni sono oltre 10 milioni, pari
al 18% della popolazione. I grandi vecchi, di età superiore agli
80 anni, rappresentano il 22% degli anziani. L'allungamento dell'aspettativa
di vita (sono stati aggiunti più di trent’anni alla vita media dall’inizio
del XX secolo),insieme alla riduzione del tasso di fecondità totale
(il numero di nati per donna in età feconda è stato nel 1998
di 1,19, tra i più bassi al mondo) ha portato l'Italia ad essere
il primo Paese in cui la popolazione degli ultra sessantacinquenni ha superato
quella dei giovani con meno di 15 anni (tab. 1, Allegato statistico).
L’invecchiamento della popolazione,
soprattutto in alcune regioni e comunità locali, sta modificando
fortemente le reti familiari e l’insieme dei bisogni cui esse tradizionalmente
facevano fronte. Le famiglie con almeno un anziano sono (secondo l’indagine
Multiscopo dell’Istat) il 34,8% del totale (con un solo anziano nel 22,9%
dei casi, con due o più anziani nell’11,9% - vedi Allegato statistico).
Tale situazione è ulteriormente complicata dall'instabilità
matrimoniale, dalla crescente diversificazione dei modi di "fare famiglia",
oltre che dalla mobilità territoriale delle generazioni giovani
e adulte (per lo più per motivi legati al lavoro).
Gli anziani che vivono soli sono
oltre 2,6 milioni (il 27% degli anziani), di cui l'81% donne. La variabilità
territoriale è molto accentuata, si passa dal 20% di anziani soli
in Sardegna al 34% in Val d'Aosta. Una così alta percentuale di
single
non
deve peraltro essere interpretata come indice di isolamento. Al contrario,
segnala sia l’adesione ad un modello di autonomia nella vita quotidiana
reso possibile anche dalle migliorate condizioni di salute in età
anziana, sia l’esistenza di forti reti parentali che consentono autonomia
senza abbandono. Il 24% degli anziani soli riceve aiuti informali e (soltanto)
il 5% riceve aiuti dal Comune o da altri enti ed istituzioni.
Particolarmente a rischio appaiono
555 mila anziani soli che non hanno figli, fratelli, sorelle, oppure hanno
figli che vedono solo raramente. Il 77% di questi è al di fuori
di qualunque rete di aiuto(allegato statistico).
A fronte di tale situazione, va
peraltro osservato che aumenta il numero di persone anziane che contribuiscono
attivamente alla vita sociale o che offrono un sostegno (aiuto) informale
alla famiglia. Il 58% dei nonni – pari a circa 6,3 milioni di persone –
ha almeno un nipote con meno di 14 anni. La maggioranza dei nonni con nipoti
piccoli contribuisce alla loro cura. Infatti, complessivamente, l’84,2%
dei nonni si prende cura dei nipoti almeno in qualche occasione. Le nonne
sono più spesso partecipi della vita quotidiana dei nipotini: solo
il 13% delle nonne non si occupa mai di loro. Ben il 29,8% dei nonni si
occupa dei nipoti mentre i genitori lavorano, ma sono.soprattutto quelli
meno istruiti ad essere più spesso impegnati in questa attività.
I nonni con maggiori livelli di istruzione sembrano invece più spesso
occupati con i nipotini in occasioni di svago (per il tempo libero dei
genitori e durante le vacanze).
Emerge un segmento maggioritario
di nonni che si cura dei nipoti occasionalmente o in momenti di emergenza.
Il segmento dei nonni impegnati a tempo pieno nella cura dei nipoti appare
dunque minoritario. I nonni "a tempo pieno" sono di più nel Nord
del Paese, ove sono più alti i tassi di occupazione femminile, a
conferma del fatto che, in assenza di servizi adeguati, sono le reti familiari
a consentire la conciliazione tra partecipazione al lavoro e responsabilità
familiari, esigenze di reddito ed esigenze di cura.
L’invecchiamento è un processo
naturale che riguarda tutte le persone e che si sviluppa in modo differenziato
secondo i contesti sociali, culturali e familiari nei quali esso avviene.
Non si tratta di un processo omogeneo e lineare: le condizioni che esprimono
la vecchiaia sono diverse, come sono diversi i bisogni ad essa correlati.
Dal punto di vista funzionale ci sono situazioni di totale autonomia e
situazioni di totale dipendenza. Rispetto ai legami con la comunità,
e quindi ai meccanismi di appartenenza sociale, mentre aumentano le persone
anziane che contribuiscono alla vita sociale permangono situazione di debolezza
e fragilità dipendente dall’indebolimento dei ruoli sociali.
L’invecchiamento si sviluppa all’interno
delle reti familiari e nei contesti comunitari, per cui implica l’assunzione
di precise responsabilità da parte delle componenti giovani e adulte
della famiglia, relativamente ad ognuna delle varie fasi in cui si sviluppa
l’invecchiamento e non soltanto nel momento in cui si manifesta la dipendenza
in rapporto a condizioni di non autonomia.
Nella famiglia tali responsabilità
riguardano di norma i figli, indipendentemente dalla condizione di convivenza,
figli che a loro volta possono già essere coinvolti in un loro processo
di invecchiamento. E’ in aumento la quota di anziani (per lo più
donne) che ha responsabilità di cura nei confronti di altri anziani
nella generazione precedente. Riconoscere e valorizzare il rapporto di
tutela e di sostegno che i figli possono offrire ai genitori anziani, comporta
offrire ai figli una serie di servizi e di aiuti, destinati ad integrare
il lavoro di cura (quotidianamente o per periodi di sollievo), a sostenere
psicologicamente la persona, a offrire risorse economiche (quando necessarie)
per far fronte ai maggiori impegni. Occorre inoltre tenere presente che
la forma della famiglia e delle reti familiari cambia lungo il ciclo di
vita e che vi sono individui e famiglie nucleari che possono trovarsi a
contare solo sulle proprie risorse ristrette, mentre altri possono vivere
da soli, ma contando su una più o meno fitta rete di relazioni familiari.
E’ assodato che la crescente necessità
di differenziare i servizi rivolti alla popolazione anziana nasce non tanto,
e non solo, dalla carenza di risorse in rapporto al sempre crescente numero
di potenziali utenti, quanto al maturare di una nuova coscienza circa la
necessità di restituire alle persone anziane il potere di autodeterminazione,
cioè di scegliere tra i vari servizi possibili quello più
rispondente alle proprie preferenze, fermo restando l’appropriatezza dello
stesso e la valutazione del rapporto costi/benefici per quanto a carico
della collettività. In particolare occorre che l’anziano non sia
visto solo come soggetto passivo, ma al contrario sia recuperato il ruolo
fondamentale dell’anziano, come memoria, come saggezza, come capacità
di ridefinire le priorità dei valori, all’interno della società.
Il complesso di fenomeni legati
ai mutamenti demografici e sociali richiede una forte innovazione e
diversificazione nell’offerta di servizi e interventi
nonché
nella creazione di sinergie e collaborazioni tra servizi, reti familiari,
associazioni di auto e mutuo aiuto, volontariato. Richiede anche di guardare
alla famiglia in modo non statico e omogeneo, prestando attenzione alle
risorse e potenzialità effettivamente disponibili, ma anche ai vincoli
e alle difficoltà di tipo organizzativo e relazionale ed ai rischi
di impoverimento e dipendenza che può provocare per alcuni soggetti
un troppo esclusivo affidamento alla solidarietà familiare.
In una logica analoga vanno valorizzate
e sostenute le risorse che la stessa comunità può mettere
a disposizione, in particolare attraverso le associazioni e i gruppi di
volontariato (anche di volontariato anziano), secondo principi di solidarietà
(inter ed intra-generazionali).
Le politiche nei confronti della
popolazione anziana possono qualificarsi con programmi improntati ad una
visione positiva dell’età anziana, promuovendo una cultura che valorizzi
l’anziano come.soggetto sociale in una società integrata e solidale,
garantendo condizioni di maggiore equità nella erogazione dei servizi.
Le politiche sociali devono proporsi
almeno i seguenti obiettivi:
- sostenere le famiglie con anziani
non autosufficienti bisognosi di assistenza a domicilio (anche a tutela
dell'autonomia della donna, sulla quale ricade nella maggior parte dei
casi l’onere dell’assistenza),
- innovare e diversificare l'offerta
di servizi e interventi,
- riconoscere il diritto dell'anziano
a scegliere dove abitare.
Tali obiettivi coinvolgono le politiche
nazionali, in particolare quelle fiscali (di riconoscimento delle spese
per l'adeguamento delle abitazioni alle esigenze delle persone anziane
e delle spese per l'assistenza) e le politiche locali, in particolare (ma
non esclusivamente) per quanto riguarda l’offerta e l’innovazione dei servizi.
Il Piano nazionale Sociale 2001-2003
propone
che le Regioni e gli enti locali nel progettare il sistema integrato di
interventi e servizi affrontino esplicitamente il problema relativo al
sostegno alle famiglie con a carico persone anziane non autosufficienti
prevedendo specificamente misure e interventi volte a:
- potenziare i servizi di assistenza
domiciliare, prevedendo, in ogni caso, almeno un servizio in ogni comune
(o consorzio di comuni),
- sviluppare l’offerta di servizi
di sollievo, prevedendo, in ogni caso almeno un servizio in ogni comune
o consorzio di comuni.
Le statistiche disponibili (vedi
allegato statistico) consentono alle diverse regioni di conoscere la propria
posizione di partenza nonché il divario rispetto alla media nazionale.
Gli interventi sociali a sostegno
delle persone anziane ed in particolare delle persone anziane non autosufficienti
devono coordinarsi con il Progetto Obiettivo Anziani in particolar modo
con le politiche di integrazione tra sanità ed assistenza così
come definito dall'Atto di Indirizzo e Coordinamento relativo alla integrazione
socio-sanitaria.
Con riguardo all'obiettivo di promozione
di una visione positiva dell'anziano, e in stretto collegamento con quanto
delineato per l'obiettivo 1 e l'obiettivo 4, i piani di zona dovranno prevedere
misure e servizi in ognuno dei seguenti campi:
· istituzione, d'intesa con
le organizzazioni delle persone anziane, di un servizio civile, al
quale partecipano le persone anziane (insieme ai i più giovani)
al fine di valorizzarne le esperienze e competenze,
· servizi di assistenza
domiciliare (anche integrata con i servizi sanitari) con personale
qualificato, con particolare attenzione allo sviluppo delle capacità
relazionali degli operatori nel leggere le richieste non formulate o le
sofferenze inespresse e nel saper dare risposte che tengano anche in considerazione
il bisogno di ascolto,
· centri diurni
che
sappiano coniugare il sollievo alle famiglie e l’offerta di attività
riabilitative, ricreative, di socializzazione sia per persone non autosufficienti
fisiche sia per affetti da demenza senile o morbo di Alzheimer,
· servizi a sostegno della
domiciliarità, trasporti adeguati che permettano una sufficiente
mobilità e l’autonomia nelle attività quotidiane,
· mini-alloggi per gli
anziani che per la posizione territoriale (es. montagna) o per lo stato
della propria abitazione siano impossibilitati a rimanervi (per alcuni
periodi o definitivamente),
· ospitalità temporanea,
da
un giorno a un massimo di tre mesi, nelle strutture residenziali, in posti
associati ai centri diurni, al fine di risolvere urgenti necessità
familiari o per sollievo alla famiglia ospitante, affinché possa
soddisfare bisogni essenziali del nucleo ed in particolare dei minori presenti,
· affidamento a famiglie
selezionate
anche sulla compatibilità reciproca relativa ad abitudini di vita,
a gusti, ad ambito territoriale,
· offerta di attività
di volontariato o di utilità sociale in particolare favorendo
lo sviluppo dell’auto-mutuo aiuto in tutti i settori del bisogno sociale,
·
apertura delle strutture
residenziali e diurne
alla comunità locale nella quale sono
inseriti e promozione di incontri intergenerazionali in particolare tra
bambini e anziani,
· soggiorni marini o in
altre località, anche per persone non autosufficienti sia ricoverate
in strutture sia residenti al proprio domicilio.
Obiettivo 2 Rafforzare i diritti
dei minori
Con l'obiettivo 2, il Piano Nazionale
Sociale 2001-2003 si propone di consolidare le risposte per l'infanzia
e per l'adolescenza, in una logica di rafforzamento dei diritti dei minori,
compresi gli immigrati.
2.1 - Consolidare e rafforzare
le risposte per l’infanzia e l’adolescenza
La diminuzione della natalità,
il progressivo invecchiamento della popolazione, l'aumento del tasso di
occupazione della donna, talvolta la crisi dei rapporti coniugali, stanno
introducendo rapidi mutamenti nella struttura familiare e nella condizione
dei minori. Oggi i bambini ed i ragazzi, soprattutto nel nord del paese,
hanno raramente molti fratelli e cugini mentre dispongono di un maggior
numero di nonni e bisnonni con i quali passano molto tempo e dai quali
vengono spesso accuditi. In questo quadro, la condizione e i bisogni dei
minori sono in rapido cambiamento; stanno anche emergendo nuove fragilità
e disagi evolutivi che, in molti casi, a causa del progressivo aumento
delle condizioni di povertà, sfociano in difficoltà conclamate.
La legge 328/00 precisa (art. 22,
comma 1, lettera c) che gli interventi per la promozione dei diritti dell'infanzia
e dell'adolescenza, nonché gli interventi a sostegno dei minori
in situazione di disagio rientrano nel "livello essenziale delle prestazioni
sociali erogabili sotto forma di beni e servizi". La legge precisa inoltre
che gli interventi del sistema integrato sono realizzati secondo le finalità
della legge 285/'97 (diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza).
Si tratta di una precisazione importante, perché volta a recepire
la legge 285/'97 che nelle sue finalità, si ispira alla convenzione
dell'Onu sui diritti del fanciullo.
Gli interventi per infanzia ed adolescenza
vanno pertanto inquadrati in una logica di esigibilità dei diritti
e di costruzione di opportunità. Le politiche si rivolgono tanto
a situazioni di disagio conclamato e di disadattamento, quanto al cosiddetto
"disagio evolutivo". Nella progettazione degli interventi per infanzia
e l’adolescenza è importante passare dalla progettazione di singoli
servizi alla progettazione di politiche pubbliche di territorio, organiche
e di comunità, che tengano conto delle esigenze delle nuove generazioni
in una logica - al contempo - promozionale, preventiva (primaria e secondaria)
e curativa, nella prospettiva di sostenere ed accompagnare i minori verso
uno sviluppo evolutivo sano. Le politiche sociali per infanzia e adolescenza
si propongono inoltre, con iniziative di sostegno alla genitorialità,
di formare ed accompagnare gli adulti più vicini ai bambini ed ai
ragazzi.
Lo strumento strategico per la costruzione
delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, per il loro consolidamento
e la loro qualificazione è il Piano territoriale di intervento
per l’infanzia e l’adolescenza (l. 285/97, art. 2, comma 2).
Il Piano territoriale di intervento
per l’infanzia e l’adolescenza
si propone infatti di:
· dare compiuta attuazione
al Piano d’Azione nazionale elaborato dall’Osservatorio Nazionale
sull’infanzia e l’adolescenza ai sensi dell’articolo 2 della legge 23 dicembre
1997, n°451;
· consolidare e dare più
organicità agli interventi preesistenti rivolti a bambini e ragazzi,
valutando costantemente la loro appropriatezza e adeguatezza,
· evidenziare sul territorio
nuovi bisogni e nuove attese delle giovani generazioni, promuovere interventi
innovativi che rispondano a tali bisogni e attese,
· promuovere idee ed iniziative
sperimentali per conoscere nuovi bisogni e aprire nuovi fronti di soddisfazione
delle esigenze delle nuove generazioni.
Alla costruzione del Piano territoriale
partecipano, nel medesimo territorio, tutti gli attori istituzionali e
della società civile coinvolti nell'erogazione delle politiche per
i minori.
Il Piano territoriale per l’infanzia
e l’adolescenza
è costruito in stretta connessione con gli altri
strumenti strategici di programmazione locale, previsti dalla legge 328/2000
(in particolare, il Piano di zona e la Carta dei servizi sociali). E' importante
che l’ente locale (comune capofila o associazione di Comuni) si ponga in
un ottica di regia di tale processo progettuale, investendo energie e risorse.
E’ altrettanto importante che gli
altri livelli di governo (Province, Regioni, Dipartimento per gli Affari
Sociali) sostengano questo processo con adeguati accompagnamenti ed interventi
di promozione, assistenza tecnica e formazione, che rappresentano condizione
essenziale per utilizzare a pieno gli strumenti e le opportunità
di sviluppo, anche culturale, delle politiche italiane per l'infanzia e
l'adolescenza.
In particolare si propone la prosecuzione
e l’implementazione dei positivi rapporti tra regioni, enti locali ed il
Centro
Nazionale di documentazione ed analisi sull’infanzia e l’adolescenza
previsto
dall’articolo 3 della citata legge 451/97.
In stretto collegamento con quanto
indicato per il sostegno alle responsabilità familiari e la conciliazione
tra responsabilità familiari e lavorative, le politiche sociali
devono proporsi almeno i seguenti
obiettivi, da realizzare nel triennio
2001-2003: attivazione di forme di partecipazione degli adolescenti
alla
vita della loro comunità locale, creazione di spazi di socializzazione
e
per il tempo libero "protetti", anche in collaborazione con gli istituti
scolastici, rafforzamento ed estensione dell’affidamento familiare come
modalità di risposta al disagio familiare, in alternativa alla istituzionalizzazione,
programmazione di
campagne informative
e di consulenza sulle dipendenze
e sulle possibilità di affrancamento da esse, in particolare mediante
gruppi di auto-mutuo aiuto, realizzazione di almeno una struttura di
accoglienza per minori a carattere famigliare (art. 22, c. 2 lett.
c) per ciascun ambito territoriale definito dalla Regione, attivazione
di servizi quali educatori di strada e simili.
Ogni regione, sulla base degli obiettivi
che precedono, provvederà ad istituire un osservatorio generale,
in collaborazione con le province, dello stato dei servizi rivolti all’infanzia
e all’adolescenza, a seguito del quale, entro il primo anno di vigenza
del Piano nazionale, individuerà con gli enti locali le priorità
di istituzione dei servizi, modulate sulle caratteristiche demografiche,
territoriali, socio-culturali.
Il Piano regionale ed i piani di
zona stabiliranno gli obiettivi concretamente raggiungibili per ciascun
anno di vigenza del
Piano.
Con riguardo all'obiettivo di consolidare
le risposte per l'infanzia e l'adolescenza, e in stretto collegamento con
quanto delineato per l'obiettivo 1, i piani di zona dovranno prevedere
lo sviluppo di misure e servizi in ognuno dei seguenti campi:
· servizi di tipo prescolastico,
a completamento della rete di scuole per l'infanzia, gestiti con la partecipazione
dei genitori;
· realizzazione di servizi
per la prima infanzia, attraverso lo sviluppo e la qualificazione di
nidi
d’infanzia e di servizi ad essi integrativi che consentano una
risposta qualificata e flessibile a bisogni sociali ed educativi diversificati;
· offerta di spazi di
gioco
di libero accesso per i bambini da 0 a 3 anni, con genitori,
nonni, ecc., anche con la presenza di operatori di supporto alle funzioni
genitoriali;
· luoghi di gioco "guidato",
accessibili anche ai bambini residenti in zone ad alta dispersione, mirato
a favorire la socializzazione, la tolleranza, il rispetto e un rapporto
positivo con se stessi e con il mondo circostante;
·
sostegno psicologico
e sociale per nuclei famigliari a rischio di comportamenti violenti e maltrattamenti,
attraverso interventi di prevenzione primaria e a forte integrazione sociosanitaria;
· servizi di cura e recupero
psico-sociale di minori vittime di maltrattamenti e violenze, anche
sessuali, attraverso interventi con caratteristiche di forte integrazione
tra i settori sociale, sanitario, giudiziario e scolastico;
· servizi di sostegno
per
i minori sottoposti ad abusi;
· servizi di supporto
per
gli studenti con difficoltà di apprendimento, anche come aiuto alla
famiglia nel seguire il percorso scolastico del figlio;
· offerta di spazi e stimoli
ad attività di particolare interesse da parte degli adolescenti,
con la presenza di persone di altre generazioni, con o senza la presenza
di operatori qualificati, per assicurare l’inclusione sociale, le pari
opportunità, nonché lo sviluppo di capacità di autogestione
degli spazi e delle attività;
· percorsi sperimentali
di formazione ed inserimento lavorativo che assecondino le capacità,
la creatività, le positive aspirazioni dei giovani, soprattutto
di quelli a rischio di devianza, riducendo il divario di opportunità
rispetto ai coetanei inseriti in contesti sociali più favorevoli;
· luoghi di ascolto immediatamente
accessibili, al di fuori dei consueti spazi istituzionali e preferibilmente
interni o attigui ai luoghi abitualmente frequentati, che permettano ai
giovani di conoscere, instaurando rapporti di fiducia ed amicali, operatori
esperti cui esprimere la proprie difficoltà;
· gruppi appartamento
per adolescenti, anche non ancora maggiorenni, previo nulla-osta del
Tribunale dei Minori, privi di validi supporti familiari, eventualmente
accompagnati da operatori esperti nel percorso di autonomizzazione.
I servizi sopra indicati dovranno
fare riferimento alle esperienze già avviate nell’applicazione della
L. 285/97, consolidandone gli obiettivi e la metodologia, e perfezionando
la qualità degli interventi, anche attraverso la conoscenza e la
valutazione delle sperimentazioni effettuate.
Obiettivo 3 Potenziare gli interventi
a contrasto della povertà
Con l'obiettivo 3, il Piano Nazionale
Sociale 2001-2003 si propone di potenziare gli interventi volti a contrastare
la povertà (e in particolare le povertà estreme) e a restituire
alle persone le capacità di condurre una vita con dignità.
Il contrasto alla povertà
e all’esclusione sociale è uno degli obiettivi strategici ripetutamente
indicati dal Consiglio Europeo, in particolare da quello del 17 dicembre
1999 e quello del marzo 2000 a Lisbona, e ancora nell’accordo sull’agenda
sociale europea approvata a Nizza nel novembre 2000.
In occasione del Consiglio Europeo
di Lisbona si è concordato che ciascun paese metterà in campo
un piano di azione nazionale di contrasto alla povertà, in cooperazione
con la Commissione. Tali piani di azione dovranno contenere obiettivi di
breve e medio termine specifici e l’indicazione degli strumenti messi in
campo. E’ fatta esplicita menzione sia della competenza specifica dei governi
locali sia della necessità di coinvolgere le associazioni non lucrative
come soggetti particolarmente attivi.
In Italia si trova in condizione
di povertà relativa (cioè consuma meno della metà
del consumo medio procapite) l’11,9% delle famiglie: 2.600.000 di famiglie,
pari a 7.500.000 persone. Se guardiamo alla povertà assoluta (cioè
alla impossibilità di soddisfare bisogni essenziali) la percentuale
scende, ma rimane significativa: essa coinvolge il 4,8% delle famiglie
(pari a circa 1.038.000 famiglie). La povertà è concentrata
nel Mezzogiorno e nelle isole, ove risiede il 66% delle famiglie povere.
E’ inoltre concentrata nelle famiglie numerose, con quattro, e soprattutto
cinque o più, componenti, specialmente se tra questi ci sono tre
o più figli minori. Anche le famiglie in cui c’è almeno un
anziano sono più vulnerabili alla povertà, toccando il 15,7%.
Infine vi è un nesso stretto tra mancanza di lavoro della persona
di riferimento e povertà della famiglia: è povero il 28,7%
delle famiglie in cui la persona di riferimento è in cerca di lavoro.
Anche se vi sono famiglie povere anche là dove la persona di riferimento
è lavoratore dipendente (9%) o autonomo (7%).
Gli interventi di contrasto alla
povertà riguardano innanzitutto le politiche attive del lavoro e
di sviluppo locale e le politiche formative. In parte riguardano anche
le politiche di conciliazione tra partecipazione al mercato del lavoro
e responsabilità di cura familiare, nella misura in cui molta povertà
è dovuta all’esclusivo impegno domestico delle madri, specie nel
caso di famiglie con un solo genitore e nelle famiglie numerose. Anche
le misure di sostegno economico alla crescita dei figli costituiscono una
forma di prevenzione e contrasto della povertà, in quanto correggono
la potenziale inadeguatezza del reddito familiare rispetto al numero di
persone che da questo dipendono.
In questa prospettiva è importante
che le iniziative di sviluppo locale, incluse quelle che si avvalgono dei
fondi europei, si pongano esplicitamente (anche) obiettivi di contrasto
e prevenzione della povertà, individuando sia i soggetti potenzialmente
più vulnerabili, sia gli strumenti più adatti a sostenerne
le potenzialità (in termini di occupabilità, ma anche di
capacità di condurre una vita dotata di senso per sé e per
altri, di possibilità di sostenere relazioni significative e di
assumere responsabilità verso altri).
Se un'occupazione adeguatamente
remunerata è la via maestra per contrastare la povertà, non
sempre in un momento e in un contesto dato vi è una domanda di lavoro
sufficiente a coprire l’offerta e non sempre chi si trova in povertà
è immediatamente in grado di accettare una eventuale occupazione
(per formazione inadeguata, per fragilità fisica o psichica, per
gravosità del carico.familiare di cura). Inoltre vi è chi
è povero nonostante abbia una occupazione, perché la remunerazione
non è adeguata ai bisogni familiari o anche solo ai bisogni individuali.
Come hanno mostrato molte ricerche italiane e straniere, infatti, i motivi
per cui si entra in povertà sono diversificati, così come
lo sono le risorse per uscirne. Di questa diversificazione devono tenere
conto le politiche per essere efficaci, non tanto per quanto riguarda il
sostegno economico, ma per quanto riguarda le misure di accompagnamento
sociale e il tipo di patti che si stipulano con i beneficiari del sostegno
economico.
La legge quadro, all’art. 23 stabilisce
che, tramite un apposito provvedimento legislativo, venga esteso su tutto
il territorio nazionale il Reddito Minimo di Inserimento, RMI, attualmente
in corso di sperimentazione in un limitato numero di Comuni italiani come
misura di sostegno al reddito e di integrazione sociale rivolta a chi si
trova al di sotto di una determinata soglia di reddito familiare.
Ciò consentirà anche
al nostro Paese di ottemperare alla raccomandazione europea del 1992 relativa
all’impegno di ogni Paese a fornire a tutti i cittadini la garanzia di
un livello minimo di risorse e prestazioni sufficiente a vivere conformemente
alla dignità umana.
In assenza di una misura nazionale
di sostegno al reddito di ultima istanza, i governi locali (regionali,
provinciali e comunali) hanno sviluppato negli anni modalità di
intervento fortemente diversificate nel livello di sostegno, nei soggetti
beneficiari, nella durata dei benefici. Tale diversificazione raramente
è spiegabile con la diversità dei bisogni; viceversa produce
forti disuguaglianze tra cittadini a parità di bisogno oltre che
forme di discrezionalità difficilmente accettabili.
Nel breve periodo, in attesa che
il Reddito Minimo di Inserimento venga messo a regime, è quindi
necessario che i governi locali inizino a modificare i propri sistemi di
assistenza economica nella prospettiva di intervento prevista dal RMI:
uniformità e chiarezza dei criteri di accertamento del reddito,
riferimento al bisogno e non alla appartenenza categoriale, orientamento
alla valorizzazione delle capacità e potenzialità dei soggetti,
sviluppo di forme di accompagnamento sociale in collaborazione con i diversi
soggetti pubblici, non lucrativi e privati presenti sul territorio, inserimento
di queste attività nei piani di sviluppo locale.
Il reddito minimo di inserimento
è in prospettiva lo strumento di base di una politica di alleviamento
della povertà per chi, in modo più o meno temporaneo, non
ha le risorse personali o le opportunità necessarie per essere economicamente
autonomo. Ad esso devono accompagnarsi politiche di sostegno e incentivazione
alla formazione (per i giovani) e alla riqualificazione (per gli adulti),
di facilitazione all’accesso all’abitazione per le famiglie a basso reddito
(anche in collegamento con le misure nazionali), di facilitazione all’utilizzo
dei servizi sociali, formativi e sanitari da parte di chi si trova in condizioni
di particolare vulnerabilità. In attesa dell’estensione del RMI
su base nazionale, gli enti locali potranno e dovranno iniziare a ridefinire
la propria attività anche in questi settori, indicando nei propri
piani gli obiettivi di medio e breve termine rispetto alla situazione di
partenza.
Tra coloro che si trovano in situazione
di grave disagio economico e di rischio di esclusione sociale particolare
attenzione va prestata alle
persone senza dimora. A queste persone
vanno dirette specifiche misure sia per favorirne l’inserimento e il re-inserimento
nei servizi (inclusi quelli sanitari), sia per accompagnarle in un percorso
di recupero delle capacità personali e relazionali, sia infine per
affrontarne i bisogni di sopravvivenza fisica.
In questa prospettiva la legge quadro
ha indicato le persone senza dimora tra i beneficiari prioritari del RMI
a regime (nel suo duplice aspetto di sostegno al reddito e di accompagnamento
sociale) e ha allocato un finanziamento ad hoc per due anni, per sollecitare
i governi locali, specie metropolitani, ad attivare una gamma articolata
di misure e servizi specifici.
Tali indicazioni vanno nella direzione
indicata dal Consiglio Europeo il quale, con riferimento ai piani nazionali
di azione per l’inclusione sociale che anche il nostro Paese dovrà
predisporre, ha precisato le seguenti direttrici di sviluppo:
1. la promozione della partecipazione
al lavoro e dell’accesso, da parte di tutti, alle risorse, ai diritti,
ai beni e ai servizi,
2. la prevenzione dei rischi di
esclusione,
3. l’azione a favore dei più
vulnerabili,
4. la mobilitazione dell’insieme
degli attori.
Il Piano nazionale sociale 2001-2003,
in coerenza con quanto sancito dalla legge 328/2000 e in linea con gli
orientamenti del Consiglio europeo, si propone i seguenti obiettivi:
- promuovere l'inserimento nei piani
di zona delle azioni a contrasto della povertà,
- estendere e uniformare progressivamente
le forme di sostegno al reddito di chi si trova in povertà,
- creare le condizioni organizzative
e professionali necessarie per la messa a regime del RMI,
- sviluppare forme di accompagnamento
sociale e di integrazione sociale personalizzate, mirate - ove possibile
- al raggiungimento della autonomia economica,
- ridurre l’evasione scolastica.
A tal fine, i piani di zona dovranno
prevedere, attraverso il coinvolgimento attivo dei destinatari e previa
precisazione delle condizioni organizzative, tecniche e professionali più
adeguate all'attuazione delle politiche di contrasto della povertà,
lo sviluppo di misure e interventi nei seguenti campi:
- avvio di forme di collaborazione
tra scuole e servizi sociali al fine di prevenire l’evasione scolastica
e di sostenere la frequenza,
- sviluppo di servizi di accompagnamento
sociale,
- avvio di una razionalizzazione
delle forme di sostegno al reddito
esistenti,
- sperimentazione, sotto
la regia delle regioni, di forme di erogazione di "pacchetti di risorse"
(integrazione del reddito, accesso gratuito ai trasporti, aiuti per il
pagamento delle utenze e per l’acquisto di alcuni beni di consumo, ecc.)
alle famiglie e agli individui in condizione di povertà,
- avvio di sperimentazioni di
"contratti di inserimento" con i beneficiari di aiuti economici, in
collaborazione con i diversi soggetti presenti sul territorio,
- rilevazione delle condizioni
di povertà a livello locale.
Per quanto riguarda i "senza dimora",
il presente Piano indica quale obiettivo specifico la generalizzazione
sul territorio di servizi e azioni che consentano di prendere contatto
con i senza dimora e di offrire loro condizioni di riduzione del danno
e percorsi di recupero. A tal fine, i piani di zona dovranno prevedere
lo sviluppo di misure volte a:
- approntare, per i diversi livelli
subterritoriali (quartieri/zone di particolare frequentazione dei senza
dimora), almeno un servizio di bassa soglia,
- sviluppare almeno un servizio
di seconda accoglienza e di accompagnamento,
- avviare iniziative di collaborazione
tra servizi sociali, sanitari, del lavoro (oltre che con il volontariato)
per consentire il progressivo re-inserimento nei servizi di tutti.
Obiettivo 4 Sostenere con servizi
domiciliari le persone non autosufficienti, in particolare gli anziani
e le disabilità gravi
Con l'obiettivo 4, il Piano nazionale
si
propone in particolare di:
- favorire la permanenza a domicilio,
o l'inserimento presso famiglie, persone o strutture comunitarie di accoglienza
di tipo familiare, di persone anziane e/o disabili con problemi di non
auto sufficienza, in particolare delle disabilità gravi, sostenendone
l'autonomia e limitando quanto più possibile il ricorso all'istituzionalizzazione,
- sostenere i nuclei familiari nelle
responsabilità di cura domiciliare di persone anziane e/o disabili
non autosufficienti, in particolare di quelli gravi.
Dall’indagine multiscopo dell’Istat
sulle condizioni di salute emerge che nel 1999 i disabili sono il 5% della
popolazione di 6 anni e più, oltre 2,6 milioni di persone. Il dato
si riferisce alla popolazione che vive in famiglia e non tiene conto delle
persone residenti permanentemente in istituto.
Le persone con disabilità
sono prevalentemente concentrate tra gli anziani (73,2%, per un totale
di 1,9 milioni di persone), per i quali il rischio di malattie, in particolare
di quelle invalidanti, aumenta esponenzialmente con il passare degli anni.
Tra le persone di 65-74 anni, i disabili sono il 9,3%, passano al 20,7%
tra 75 e 79 anni, per arrivare al 47,5% tra le persone con più di
80 anni. Vanno comunque considerati i disabili non anziani: 87 mila minori,
127 mila persone tra 18 e 34 anni e 505 mila persone tra 35 e 64 anni (vedi
allegato statistico).
Considerando i diversi livelli di
disabilità, quello più grave è rappresentato dal confinamento
che implica la permanente costrizione a letto o su una sedia con livelli
di autonomia pressoché nulli, nonché il confinamento in casa
per impedimento fisico o psichico. Risultano confinati il 2,2% delle persone
di 6 anni e più (tra le persone di più di 80 anni il tasso
raggiunge il 24%).
Complessivamente, possono essere
considerati disabili gravi 1,5 milioni di persone (2,8%); sono state considerate
tra queste i confinati a letto o su una sedia, le persone con molti problemi
(cioè coloro che presentano almeno due tipologie di problemi tra
difficoltà nelle funzioni, nel movimento, nella vista, udito, parola)
e i confinati a casa che non sono autonomi nella gestione di soldi, nell’uso
del telefono, dei mezzi di trasporto e nell’assunzione delle medicine.
La centralità della famiglia
nella cura della malattia e nella tutela della salute è un dato
consolidato. Le famiglie con almeno un disabile sono 2 milioni 396 mila,
l’11,2% del totale; in 246 mila famiglie vive più di un disabile.
Le famiglie con almeno un disabile grave sono 1 milione 403 mila, il 6,6%
delle famiglie italiane. Il problema delle barriere architettoniche all’interno
del proprio edificio risulta particolarmente grave per i disabili. Il 48,2%
dei disabili è confinato o ha difficoltà di movimento e abita
a piani superiori al piano terra senza avere l’ascensore.
Sono 2 milioni 673 mila le persone
di 14 anni e più che vivono con disabili, il 5,4% della popolazione,
quasi quanto i disabili. Esiste anche un altro settore di persone che pur
non vivendo con persone disabili (o non autonome) se ne prendono cura nell’ambito
della rete informale: 1,5 milioni di persone tra i 35 e i 69 anni di età
hanno almeno un genitore non convivente con problemi di autonomia. L’82,7%
di questi vede i propri genitori almeno una volta a settimana. L’aiuto
è dato dal 30,9% di questi, in maggioranza donne (allegato statistico).
Il sostegno e l'affiancamento delle famiglie in cui siano presenti anziani
o disabili non autosufficienti, siano esse composte da anziani soli, da
coppie di anziani ovvero siano famiglie plurigenerazionali, può
essere reso concreto solo attraverso un effettivo sviluppo della rete dei
servizi e delle prestazioni, purché la stessa rete abbia caratteristiche
di flessibilità funzionale ed organizzativa adeguata alle diverse
esigenze delle famiglie. Queste vanno considerate a partire dalla possibilità,
per le famiglie, di entrare in comunicazione con il sistema dei servizi;
di veder accolte e considerate le proprie proposte nella ricerca di soluzioni
rispetto ai problemi che si trovano ad affrontare; di poter fruire di programmi
individualizzati che tengano conto della trasformazione nel tempo delle
condizioni di bisogno. Se è vero, infatti, che le responsabilità
di cura e assistenza riguardano, di solito, i genitori per quanto riguarda
i disabili, ed i figli per quanto riguarda gli anziani, le risposte devono
tener conto delle difficoltà di organizzazione della vita domestica,
di quelle legate all'attività lavorativa dei familiari, dei problemi
di relazione e di comunicazione, della fatica e del logoramento dei membri
su cui grava l'onere dell'accudimento quotidiano delle persone bisognose
di cure, specie quando essi stessi sono già coinvolti in un loro
processo di invecchiamento, delle difficoltà infine di natura economica
che possono derivare dalla necessità di far fronte ad impegni onerosi
e prolungati nel tempo.
La rete dei servizi deve poter disporre
di strumenti, professionalità e strutture sufficienti a garantire
l'attivazione di forme di supporto flessibili a soddisfare innanzitutto
le esigenze organizzative e psicologiche della famiglia, che possono richiedere,
nei diversi momenti e nelle diverse situazioni, forme di affiancamento
nei compiti di assistenza e servizi di sollievo che prevedano interventi
a domicilio, semiresidenziali o residenziali, ovvero la possibilità
di disporre di informazioni e conoscenze che possano contenere e ridurre
i danni e gli scompensi conseguenti alla situazione di non autosufficienza.
La comunità locale può
fornire risposte ai problemi della famiglia con anziani e disabili non
autosufficienti attivando sia il sistema dei servizi, sia le risorse del
volontariato e più in generale della cittadinanza attiva, considerando
in prima istanza le esigenze effettive della famiglia e la sua possibilità
di condurre una vita il più possibile piena ed autonoma.
Con riguardo al sostegno domiciliare
per le persone anziane non autosufficienti, la legge 328/2000 prevede esplicitamente
una riserva di risorse, a valere sul Fondo nazionale per le politiche sociali,
allo scopo di favorire l'autonomia della persona anziana non autosufficiente
e di sostenere il nucleo familiare nell'assistenza domiciliare. Coerentemente
con tale previsione, il Piano nazionale sociale 2001-2003 indica
specificamente fra le aree di intervento in base alle quali è
definito il riparto funzionale delle risorse complessivamente disponibili
(vedi Parte III, paragrafo 3) la macro-area "persone anziane", a
favore della quale sono allocate risorse che tengono conto di quanto di
quanto indicato nell'articolo 15, comma 1 della legge 328/2000. Ferme restando
le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione,
cura e riabilitazione, gli interventi a favore degli anziani non autosufficienti
a sostegno della domiciliarità dovranno essere realizzati prestando
particolare attenzione alla necessaria integrazione tra assistenza e sanità,
secondo gli indirizzi della legge 328/2000, anche tenuto conto di quanto
previsto dall'atto di indirizzo e coordinamento di recente emanazione sull’integrazione
sociosanitaria.
Il Piano sociale 2001-2003 propone
alle Regioni e agli Enti locali, in applicazione dell'articolo 15 delle
legge 328/2000, di promuovere un
Progetto nazionale per le persone anziane
non autosufficienti con l'obiettivo di consentire alle persone anziane
di vivere a casa o in un ambiente simile alla casa, contro il rischio di
abbandono, di sradicamento dalle abitudini e dal contesto sociale, di segregazione
in istituto. Alla elaborazione e alla realizzazione di tale progetto concorrono
le organizzazioni del volontariato, del privato sociale nonché le
Ipab.
Con riferimento all'handicap, il
Piano
nazionale sociale 2001-2003
si propone di dare piena attuazione all'articolo
22, comma 2, lettera f, della legge 328/2000, alla legge 162/'98 nonché
al Programma di Azione per le politiche dell'handicap 2000-2003 adottato
dal Consiglio dei Ministri del luglio 2000. Nell'ambito di tale Programma
di azione
e nel quadro del processo di integrazione.dei servizi sociali
e di quelli sanitari, per favorire una piena tutela dei disabili e delle
loro famiglie e promuovere opportunità di integrazione, assumono
particolare rilievo i seguenti obiettivi:
- sostenere e sviluppare tutta l’autonomia
e le capacità possibili delle persone non autosufficienti, in particolare
dei disabili gravi,
- rimuovere gli ostacoli che aggravano
la condizione di disabilità,
- creare condizioni di pari opportunità,
- sostenere, ma anche sollevare
le famiglie,
- monitorare, attraverso una commissione
permanente attivata presso la segreteria della Conferenza Stato / Regioni,
i livelli di attivazione degli interventi per disabili gravi nei termini
di misure assistenziali, educative, riabilitative e scolastiche.
Con riguardo all'obiettivo di sostenere
e sviluppare l'autonomia delle persone non autosufficienti, e in stretto
collegamento con quanto delineato per gli obiettivi 1 e 2, i piani di zona
dovranno prevedere, con particolare riferimento alla disabilità
grave e gravissima, lo sviluppo delle seguenti misure:
- progetti personalizzati di riabilitazione
e reinserimento sociale, anche dei soggetti seguiti in strutture ad alta
integrazione assistenziale,
- individuazione di soluzioni abitative
adeguate alla disabilità fisica, anche grave, favorendo la ristrutturazione
delle abitazioni degli interessati, l’utilizzo di patrimoni comunali finalizzati
a interventi sociali o di edilizia popolare, la dotazione di tecnologie
adeguate,
- sviluppo di servizi di assistenza
a domicilio per favorire la permanenza dei disabili presso la propria abitazione
anche quando privi di sostegno familiare, per sollevare la famiglia (quando
presente) e per permettere al disabile un soddisfacente uso del tempo libero,
- sviluppo di piani di apprendimento
o recupero di capacità nella gestione della vita quotidiana, anche
in vista del "dopo di noi", cioè del momento in cui la famiglia
non è più in grado di assistere il disabile, - promozione
delle famiglie - comunità per il "dopo di noi"
- misure volte a consentire al disabile
grave una vita di relazione e sociale il più possibile piena e indipendente
(garantendo efficaci mezzi di trasporto, promuovendo programmi di accesso
ai servizi per il tempo libero, favorendo la pratica sportiva, ecc.),
- previsione di soluzioni residenziali
di emergenza o di sostegno domiciliare per necessità temporanee
o imprevedibili,
- sviluppo di centri diurni a sostegno
della permanenza in famiglia di persone con handicap grave,
- misure di sostegno all’inserimento
scolastico e lavorativo attraverso servizi adeguati, coinvolgendo le famiglie
quali parti attive del processo di autonomizzazione dei propri congiunti,
garantendo la dignità del soggetto inserito, ricercando la migliore
collocazione possibile per lo sviluppo delle capacità del disabile,
- sperimentazione di programmi di
assistenza, anche in forma indiretta ed autogestita, per la vita indipendente
delle
persone non autosufficienti.
I Piani di zona devono garantire
almeno i seguenti servizi a favore delle famiglie e delle persone con disabilità
grave e gravissima:
- centro diurno a carattere educativo,
- assistenza domiciliare e servizi
di sollievo per le famiglie così come previsto dalla legge 162/'98,
- famiglie - comunità per
il "Dopo di noi".
Le Regioni, in collaborazione con
gli enti locali, nell'ambito del Sistema informativo regionale dei servizi
sociali, anche prevedendo il coinvolgimento dell'Istat, provvedono a promuovere,
in ogni ambito territoriale, un censimento della domanda esplicita di prestazioni
e servizi domiciliari, nonché studi e ricerche volti a rilevare
il bisogno complessivo e la domanda sommersa.
Provvedono altresì alla rilevazione
quantitativa dell'offerta di servizi di assistenza domiciliare disponibile
sul territorio.
I Piani regionali ed i Piani di
zona prevedono come obiettivo da perseguire nel triennio un incremento,
anche con il concorso del fondo sanitario regionale, per ogni anno del
livello di.copertura del bisogno, in particolare con riferimento agli anziani
non autosufficienti, sulla base delle rilevazioni di cui in precedenza..Obiettivo
5 Altri obiettivi di particolare rilevanza sociale
Oltre agli obiettivi di cui in precedenza,
il Piano 2001-2003 indica quali settori cui rivolgere particolare
attenzione a livello locale le aree volte a favorire l’inclusione della
popolazione immigrata, la prevenzione delle dipendenze e l'impegno nei
confronti dell'adolescenza.
La prevenzione delle dipendenze,
e in particolare delle tossicodipendenze, richiede lo sviluppo di un'esplicita
strategia di intervento. Le azioni di prevenzione, soprattutto dell'uso
di droghe sintetiche, devono comprendere:
- aiuto e sostegno alle famiglie
e alla scuola,
- interventi di riqualificazione
del tessuto urbano e sociale e creazione, per i giovani, di opportunità
di aggregazione e di partecipazione alla vita della comunità,
- misure volte a costruire relazioni
di fiducia fra le generazioni, a supportare le motivazioni e le capacità
dei giovani, a sviluppare il senso di appartenenza positiva all'ambiente
in cu1 vivono,
- interventi volti a promuovere
modelli e stili di vita che rifiutino il ricorso a sostanze tossicodipendenti
o all'abuso di alcool,
- interventi di informazione sugli
effetti dell'uso delle sostanze tossicodipendenti, e in particolare delle
droghe sintetiche.
I piani di zona di sviluppo delle
politiche sociali devono prestare specifica attenzione alle misure volte
a favorire l’inclusione degli immigrati, con specifico riferimento agli
interventi diretti ad affrontare i problemi legati a:
- la tutela dei diritti dei minori
immigrati,
- la condizioni abitativa degli
immigrati,
- l'accesso ai servizi alla persona.
Per quanto riguarda l'attenzione
nei confronti dell'adolescenza si rimanda a quanto indicato nei capitoli
relativi agli obiettivi 1 e 2.
Parte III - Lo sviluppo del sistema
integrato di interventi e servizi sociali
Lo sviluppo del sistema integrato
di interventi e servizi sociali richiede la precisazione di una serie
di strumenti, di seguito delineati nei loro aspetti essenziali e con riferimento
agli elementi prioritari nella prima fase di attuazione della legge quadro
per l'assistenza.
1 - Il livello essenziale delle
prestazioni sociali
I livelli essenziali delle prestazioni
sociali sono disegnati, nei limiti delle risorse del fondo nazionale per
le politiche sociali e tenuto conto delle risorse ordinarie già
destinate dagli enti locali alle politiche sociali, con riferimento a:
- un insieme di principi generali,
ispiratori della legge quadro e alla base della programmazione delle politiche
sociali,
- una griglia articolata su tre
dimensioni:
1) le aree di intervento,
2) le tipologie di servizi e prestazioni,
3) le direttrici per l'innovazione
nella costruzione della rete degli interventi e dei servizi I principi
ispiratori, enunciati nella parte prima del presente Piano, sono richiamati
in questa sede in quanto alla base del delicato e complesso processo di
realizzazione di un sistema in grado di garantire, sull'intero territorio
nazionale, un insieme di interventi giudicati prioritari ed essenziali
ai fini delle politiche di sostegno alla piena realizzazione della persona.
I principi esplicitano gli obiettivi di ben-essere che le politiche
sociali intendono perseguire.
Le tre dimensioni contribuiscono
a connotare, ognuna da una diversa angolatura, i possibili contenuti dei
livelli essenziali.
La prima dimensione (aree di intervento)
contribuisce a rispondere al quesito "livelli essenziali per chi? per rispondere
a quali bisogni?".
La seconda dimensione (tipologie
di servizi) contribuisce a rispondere al quesito "livelli essenziali per
erogare quali prestazioni e servizi?"
La terza dimensione (direttrici
per l'innovazione) contribuisce a risponde al quesito "livelli essenziali
garantiti come? con quali criteri organizzativi e di erogazione dei servizi
e delle prestazioni?".
Le aree di intervento costituiscono
una articolazione, per macro categorie, delle aree rispetto alle quali
le politiche sociali devono prevedere interventi e risposte. Le aree sono
individuate con riferimento ai bisogni da soddisfare, tenuto conto delle
indicazioni della legge quadro e delle priorità del presente Piano.
Esse sono così definite:
1. responsabilità familiari
2. diritti dei minori
3. persone anziane
4. contrasto della povertà
5. disabili (in particolare,
i disabili gravi)
6. droghe
7. avvio della riforma
Le prime sei aree fanno riferimento
a ambiti di bisogno, la settima è proposta tenuto conto della esigenza
di prevedere interventi specifici, e adeguati finanziamenti, per l'avvio
e la piena attuazione della riforma da parte dell'Amministrazione centrale,
delle regioni degli enti locali. Si noti che l'area relativa all'inserimento
degli immigrati non è stata individuata come area a sé, bensì
ricompresa trasversalmente nelle altre aree.
Le tipologie di servizi e prestazioni
costituiscono
una articolazione, per macro categorie, degli interventi e delle prestazioni
che possono essere programmate e realizzate per rispondere alle esigenze
proprie delle aree di bisogno di cui alle citate aree di interventi. Esso
sono definite con riferimento a quanto previsto dall'articolo 22, comma
4, della legge 328/00 come segue:
1. servizio sociale professionale
e segretariato sociale per l’informazione e consulenza al singolo e ai
nuclei familiari
2. servizio di pronto intervento
sociale per le situazioni di emergenza
personali e familiari
3. assistenza domiciliare
4. strutture residenziali e semi-residenziali
per soggetti con fragilità sociali
5. centri di accoglienza residenziali
o diurni a carattere comunitario
Le direttrici per l'innovazione
nelle
politiche sociali e, in particolare, nella costruzione della rete degli
interventi e servizi (terza dimensione) descrivono i criteri progettuali,
di organizzazione e di funzionamento della rete, anche con l'obiettivo
di consolidare e rafforzare le leggi innovative sulle politiche sociali.
La complessità dei fenomeni legati ai mutamenti sociali richiede,
infatti, una forte innovazione nella definizione delle politiche sociali,
la creazione di sinergie e collaborazioni fra tutti i soggetti coinvolti
e la valorizzazione delle risorse e delle potenzialità disponibili.
Tali direttrici possono essere così delineate:
- partecipazione attiva delle
persone nella definizione delle politiche che le riguardano,
- integrazione degli interventi
nell'insieme delle politiche sociali, mobilitando a tal fine tutti gli
attori interessati e prevedendo una strategia unitaria per l'integrazione
sociosanitaria,
- promozione del dialogo sociale,
della concertazione
e della collaborazione tra tutti gli
attori pubblici e privati, in particolare coinvolgendo i soggetti non lucrativi,
le parti sociali e le organizzazioni dei servizi sociali, incoraggiando
l’azione di tutti i cittadini e favorendo la responsabilità sociale
delle imprese,
- potenziamento delle azioni per
l'informazione,
l'accompagnamento, gli sportelli per la cittadinanza,
- sviluppo degli interventi per
la
domiciliarità
e la deistituzionalizzazione,
- interventi per favorire l’integrazione
sociale,
- sviluppo delle azioni e degli
interventi per la diversificazione e la personalizzazione dei
servizi e delle prestazioni sociali,
- innovazione nei titoli per
l’acquisto
dei servizi.
Le direttrici attraversano trasversalmente
le aree di intervento e le tipologie di servizi.
Con riguardo alle tipologie di servizi
e prestazioni sociali e alle direttrici per l'innovazione si richiamano
i seguenti aspetti.
La funzione di segretariato sociale
(art.
22, comma 4 lett. a) risponde all’esigenza primaria dei cittadini di:
- avere informazioni complete in
merito ai diritti, alle prestazioni, alle modalità di accesso ai
servizi,
- conoscere le risorse sociali disponibili
nel territorio in cui vivono, che possono risultare utili per affrontare
esigenze personali e familiari nelle diverse fasi della vita.
In particolare l’attività
di segretariato sociale è finalizzata a garantire: unitarietà
di accesso, capacità di ascolto, funzione di orientamento, funzione
di filtro, funzioni di osservatorio e monitoraggio dei bisogni e delle
risorse, funzione di trasparenza e fiducia nei rapporti tra cittadino e
servizi, soprattutto nella gestione dei tempi di attesa nell’accesso ai
servizi.
È quindi un livello informativo
e di orientamento indispensabile per evitare che le persone esauriscano
le loro energie nel procedere, per tentativi ed errori, nella ricerca di
risposte adeguate ai loro bisogni. A questo scopo occorre in particolare
evitare che proprio i cittadini più fragili e meno informati vengano
scoraggiati nella ricerca di aiuto a fronte di barriere organizzative e
burocratiche che comunque vanno rimosse per ridurre le disuguaglianze nell’accesso.
Sul piano organizzativo occorre
quindi istituire in ogni ambito territoriale, definito ai sensi degli articoli
6 e 8, comma 3 lettera a) della legge n. 328/00, una "porta unitaria
di accesso"
al sistema dei servizi, tale da essere accogliente nei
confronti della più ampia tipologia di esigenze e tecnicamente capace
di assolvere le funzioni sopra indicate.
Nel piano di zona vanno individuate
le soluzioni più idonee per unificare non solo l’accesso ai servizi
sociali ma, più in generale, l’accesso al sistema dei servizi sociosanitari
presenti nell’ambito del distretto, tramite accordi operativi con l’azienda
sanitaria, ai sensi dell’art. 3 quater del d.lgs n. 229/'99.
La funzione di segretariato sociale
risulterà tanto più efficace quanto sarà progettata
e attuata in modo collaborativo con tutti gli attori sociali della rete
e in particolare con le organizzazioni solidali presenti nel territorio,
cioè con le forme di cittadinanza attiva nella tutela dei soggetti
deboli e nella promozione dei loro diritti.
Il cittadino rivolgendosi al segretariato
sociale, oltre ad avere informazione e orientamento nel sistema di offerta
pubblica, solidaristica e di auto-aiuto presente nel welfare locale, potrà
avere informazioni anche sui soggetti privati che erogano servizi a pagamento,
sulle tariffe praticate e sulle caratteristiche dei servizi erogati.
Per svolgere le funzioni di segretariato
sociale è necessario disporre di professionalità idonee,
dotate delle competenze necessarie per riconoscere le ricadute organizzative,
gestionali nonché le implicazioni tecnico-professionali di quanto
viene proposto al cittadino.
Le funzioni del servizio sociale
professionale
sono finalizzate alla lettura e decodificazione della
domanda, alla presa in carico della persona, della famiglia e/o del gruppo
sociale, all'attivazione ed integrazione dei servizi e delle risorse in
rete, all'accompagnamento e all'aiuto nel processo di promozione ed emancipazione,
in riferimento al dettato dell'articolo 22 della legge 328/2000.
Per qualificare le scelte finalizzate
all'integrazione sociosanitaria è necessario garantire unitarietà
al processo programmatorio rendendo tra loro compatibili le scelte previste
dal Programma delle attività territoriali (di cui all'articolo
3 quater
del d.lgs n. 229/99) e dal Piano di zona (di cui
all'articolo 19 della legge n. 328/2000). Il Programma delle attività
territoriali
è il piano di salute distrettuale in cui sono definiti
i bisogni prioritari e gli interventi di natura sanitaria e.sociosanitaria
necessari per affrontarli. Allo stesso tempo il Piano di zona è
lo strumento per definire le strategie di risposta ai bisogni sociali e
sociosanitari. E' pertanto necessario che i due strumenti siano gestiti
all'interno di un'unica strategia programmatoria, attuata in modo collaborativo
tra azienda sanitaria ed enti locali, finalizzata alla promozione e alla
tutela della salute delle persone e delle famiglie.
Con riguardo alle innovazioni introdotte
con i "titoli per l'acquisto dei servizi sociali", già sperimentati
in alcuni comuni ed espressamente previsti dall'articolo 17 della legge
328/2000, i comuni possono diversificare gli interventi assicurati dal
sistema integrato prevedendo la concessione, su richiesta dell'interessato,
di buoni-servizio
utilizzabili per "acquistare" servizi da uno degli
erogatori (pubblici o privati) accreditati ai sensi della legge 328/2000,
operanti sul territorio. I comuni possono assegnare i buoni servizio
anche
come alternativa a proprie prestazioni economiche. L'obiettivo è
introdurre una maggiore libertà di scelta in merito a come
e
da
chi farsi assistere (elementi sempre più essenziali per un servizio
di
qualità), all'interno di un sistema regolato in maniera tale da
non produrre esiti negativi sotto il profilo dell'equità e dell'appropriatezza
degli interventi. A tal fine la legge 328/2000, nell'introdurre i "titoli
per l'acquisto dei servizi sociali" precisa che essi dovranno essere
forniti "nell'ambito di un percorso assistenziale attivo per la integrazione
o la reintegrazione sociale dei soggetti beneficiari".
La conoscenza dei bisogni è
indispensabile sia per una adeguata programmazione degli interventi, sia
per il monitoraggio e la valutazione delle politiche. Perciò
i diversi livelli di governo, oltre a partecipare al sistema informativo
dei servizi sociali di cui all’articolo 21 della legge 328/2000 e al punto
7, Parte III di questo Piano, si dotano di strumenti di verifica
periodica dei bisogni della popolazione e della adeguatezza delle risposte
ad essa forniti.
Va privilegiata l'adozione di modelli
organizzativi e di gestione orientati ai risultati, così da
rendere possibile la gestione per processi, con le relative fasi di controllo
e di valutazione. Anche per questo vanno richiamate le norme già
in vigore per gli enti in materia di controllo di gestione, norme che valorizzano
proprio i risultati, riducendo la "centralità" della prestazione.
Potrebbero essere inoltre introdotti
anche strumenti per la diffusione e il confronto delle "buone pratiche",
utilizzabili nella logica dell’apprendimento continuo (learning organisation)
e all’interno dei sistemi premianti.
2 - La programmazione partecipata
I piani regionali
Le Regioni sono chiamate ad esercitare
un ruolo incisivo nella programmazione dei servizi alle persone, attraverso
la predisposizione di piani regionali secondo i tempi stabiliti dall'articolo
18, comma 6, e le modalità previste dall'articolo 3 della legge
328/2000, volti a selezionare le priorità, a definire le risorse
disponibili, a precisare le modalità di funzionamento del sistema
integrato e a verificare i risultati raggiunti.
Il Piano di Zona.
In base al principio di sussidiarietà,
lo sviluppo del sistema integrato di interventi e servizi sociali spetta,
negli ambiti definiti dalle regioni e compatibilmente con le risorse disponibili,
ai Comuni associati.
Il Piano di Zona, PdZ,è lo
strumento fondamentale attraverso il quale i Comuni, con il concorso di
tutti soggetti attivi nella progettazione, possono disegnare il sistema
integrato di interventi e servizi sociali con riferimento agli obiettivi
strategici, agli strumenti realizzativi e alle risorse da attivare.
La legge 328/00 specifica (art.
19, comma 2), le
finalità strategiche del Piano di Zona,
il quale è volto a:
- "favorire la formazione di sistemi
locali di intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili….",
- "responsabilizzare i cittadini
nella programmazione e nella verifica dei servizi",
- "qualificare la spesa, attivando
risorse, anche finanziarie, derivate dalla concertazione" con i soggetti
interessati,
- "definire criteri di ripartizione
della spesa a carico di ciascun comune, delle aziende unità sanitarie
locali e degli altri soggetti firmatari dell'accordo, prevedendo anche
risorse vincolate per il raggiungimento di particolari obiettivi",
- "prevedere iniziative di formazione
e di aggiornamento degli operatori…".
La predisposizione del PdZ assume
un significato strategico ai fini della precisazione delle condizioni da
garantire su tutto il territorio. In tale contesto, vanno valorizzate le
esperienze programmatorie degli enti locali, realizzate sia in occasione
dell'attuazione della legge 285/97 sia nei limitati (ma significativi)
casi di predisposizione di documenti analoghi, laddove previsti dalle normative
regionali.
In particolare, pare utile richiamare
alcuni aspetti generali in grado di qualificare il processo di pianificazione:
- il processo non deve essere visto
in termini meramente amministrativi (e di adempimento formale), ma deve
prevedere l'attivazione di azioni responsabilizzanti, concertative,
comunicative che coinvolgano tutti i soggetti in grado di dare apporti
nelle diverse fasi progettuali;
- l'attenzione va concentrata, in
primo luogo, sui
bisogni
e sulle opportunità da garantire
e, solo in secondo luogo, sul sistema di interventi e servizi da porre
in essere;
- devono essere valorizzate le risorse
e
i
fattori
propri e specifici di ogni comunità locale e di
ogni ambito territoriale: ciò al fine non solo di aumentare l'efficacia
degli interventi, ma anche di favorire la crescita delle risorse presenti
nelle singole realtà locali;
- particolare attenzione deve essere
riservata, sin dalle prime fasi della programmazione, alle condizioni tecniche
e metodologiche che consentono di effettuare (successivamente) valutazioni
di processo e di esito;
- vanno puntualmente definite le
responsabilità,
individuando, negli "accordi di programma", gli organi e le modalità
di gestione ed esplicitando le azioni da porre in essere nei confronti
dei soggetti eventualmente inadempienti.
La predisposizione del PdZ può
essere articolata nelle seguenti fasi metodologiche:
a) attivazione della procedura,
prevedendo il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati e la definizione
dei singoli ruoli ,
b) ricostruzione della "base conoscitiva",
ai fini dell'analisi dei bisogni e della conoscenza dell'esistente,
c) individuazione degli obiettivi
strategici,
d) precisazione dei contenuti, con
riferimento a quanto indicato all'articolo 19, comma 1 della legge 328/00),
e) approvazione del PdZ e sottoscrizione
di un '"accordo di programma", ai sensi dell'articolo 27 della legge 142/90
e successive modificazioni.
3 - Il finanziamento delle politiche
sociali.
La legge 328/2000 costituisce, anche
dal punto di vista delle risorse finanziarie disponibili, una svolta significativa
rispetto alla precedente visione frammentaria, discontinua e settoriale
del finanziamento delle politiche sociali. L'istituzione del Fondo Nazionale
per le Politiche Sociali, FNPS, pone infatti le basi per una concreta,
complessiva programmazione degli interventi.
Il FNPS è alimentato, attraverso
stanziamenti di bilancio, a carico della fiscalità generale, da
un insieme di fonti che, originariamente disciplinate da una pluralità
di disposizioni legislative, contribuiscono alla formazione dell'ammontare
complessivo delle risorse specificamente destinate alle politiche sociali.
Nel triennio 2001-2003, le risorse
complessivamente confluite al fondo sono determinate in relazione a quanto
previsto dalle leggi di settore. Nella tabella di seguito riportata sono
indicate le risorse destinate alle politiche sociali per il triennio di
validità del Piano. Gli importi comprendono anche le risorse relative
a interventi e a specifiche finalizzazioni la cui destinazione funzionale
è già definita da provvedimenti legislativi ovvero si riferiscono
a benefici economici la cui erogazione risulta già attribuita per
via legislativa ad altri enti (in particolare, assegni di maternità
e assegni al nucleo familiare). Sono per contro esclusi gli assegni agli
invalidi civili.
Per quanto ancora inadeguato rispetto
ai livelli di molti altri paesi sviluppati dell'Unione Europea, le innovazioni
introdotte nel corso dell’ultimo quinquennio in materia di assistenza consentono
di garantire alle politiche sociali un ammontare di risorse in continua
crescita.
Risorse destinate alle politiche sociali per il triennio 2001-2003
|
|
|
|
|
|
266/1991 e 318/1994 | Volontariato: funzionamento Osservatorio naz. per il volontariato |
|
|
|
|
104/1992 | Handicap: ex comit. naz. e commiss.perm. per le politiche dell'handicap |
|
|
|
|
309/1990 | Lotta alla droga: Drogatel |
|
|
|
|
309/1990 | Lotta alla droga: funzionamento organismi di valutazione |
|
|
|
|
309/1990 (art. 127, c. 10) | Lotta alla droga: funzionamento organismi consultivi |
|
|
|
|
285/1997 (art. 8) | Infanzia: funzionamento servizio d'informazione |
|
|
|
|
284/1997 (art. 3, c. 2) | Handicap: somma da corrispondere alle regioni |
|
|
|
|
284/1997 (art. 3, c.3) | Handicap: contributo annuo Fed. Naz. Pro-ciechi |
|
|
|
|
Bilancio 1998 (III nota) | Protezione sociale: contributi famiglie monoparentali con prole a carico |
|
|
|
|
162/1998 | Handicap: somma da corrispondere alle regioni |
|
|
|
|
309/1990 | Lotta alla droga: fondo nazionale lotta alla droga |
|
|
|
|
285/1997 (art.1) | Infanzia: somma da corrispondere alle regioni (al netto della l. 53/2000 sui congedi parentali) |
|
|
|
|
40/1998 (art. 43, c. 1) | Immigrazione: ondo nazionale per le politiche migratorie |
|
|
|
|
476/1998
|
Infanzia: funzion. commissione adozione internazionale |
|
|
|
|
104/1992 (art. 33) Rif. 413/93 | Handicap: agevolazioni per i genitori di persone handicappate |
|
|
|
|
342/2000 - art.96 | Volontariato |
|
|
|
|
328/2000 - art. 20 | Integrazione del Fondo per le politiche sociali |
|
|
|
|
328/2000 - art.28 | Senza fissa dimora |
|
|
|
|
388/2000 - art.80 | Reddito minimo d'inserimento |
|
|
|
|
388/2000 - art.81 | Handicap |
|
|
|
|
388/2000 - art.81 | Fondo contro l'abuso sessuale |
|
|||
448/1998 - art.65 | Assegni di maternità |
|
|
|
|
448/1998 - art.66 | Assegni al nucleo familiare |
|
|
|
|
342/2000 – art. 96 | Volontariato (residui anno 2000) |
|
|||
328/2000 | Incremento del Fondo per le politiche sociali (residui anno 2000) |
|
|||
53/2000 | Congedi parentali |
|
|
|
|
TOTALE |
|
|
|
(1) C = stanziamento continuativo
Le risorse afferenti il Fondo nazionale
per le politiche sociali per il corrente anno ammontano, in realtà,
a lire 3.080.050.000.000.
A tale cifra si aggiunge lo stanziamento
disposto dalla legge 53/2000 – disposizioni emanate per il sostegno della
maternità e della paternità, per il diritto alla cura ed
alla formazione - pari a lire 499.000.000.000 che, pur non contribuendo
alla formazione del Fondo in parola, concorrono alla determinazione del
totale delle risorse stanziate per il corrente anno in materia di politiche
sociali, per un importo complessivo di circa lire 3.500.000.000.000.
3.1 - Schema generale del processo
di allocazione delle risorse
L'innovazione introdotta con l'istituzione
del FNPS impone la definizione ex novo di un meccanismo di allocazione
delle risorse, fra settori di intervento e fra aree territoriali, che tenga
conto dei bisogni complessivi delle diverse realtà geografiche e
degli obiettivi prioritari definiti dalla programmazione nazionale e locale.
Lo schema generale del processo
di allocazione delle risorse finanziarie destinate alla realizzazione degli
obiettivi di politica sociale è delineato come segue.
La metodologia di riparto è
definita tenuto conto dell'insieme delle risorse disponibili per
i procedimenti di riallocazione. A tal fine sono considerati gli stanziamenti
previsti per il FNPS, compresi quelli disponibili in base alle disposizioni
legislative di cui all'articolo 80, comma 17, della legge finanziaria per
l'anno 2001. Particolare attenzione è riservata alle esigenze di:
- evitare sovrapposizioni nel
finanziamento di specifici settori o programmi di intervento (articolo
20, comma 5, lettera
a,
della legge 328/00),
- garantire opportune integrazioni
ai
settori e ai programmi di intervento che, pur beneficiando di risorse assicurate
da specifiche leggi di settore, accedono al FNPS, nel rispetto degli equilibri
generali e compatibilmente con le disponibilità complessive..Con
riferimento alle procedure operative, la metodologia proposta è
volta a favorire:
- la semplificazione delle
procedure di assegnazione delle risorse (in coerenza con quanto previsto
dall'articolo 20, comma 5, lettera a, della legge 328/00), prevedendo il
riparto in un'unica soluzione, ai sensi dell'articolo 80, comma
18, della legge finanziaria per l'anno 2001,
- la funzionalità rispetto
alle esigenze di programmazione degli enti decentrati, prevedendo tempi
e modalità tali da consentire alle Regioni e agli enti locali di
conoscere
i) con certezza,
ii) con sufficiente anticipo
iii) su un orizzonte temporale
tendenzialmente
triennale, le risorse disponibili, sulla base delle quali procedere alla
programmazione delle politiche,
- la trasparenza delle procedure,
con riferimento sia alla ricognizione degli stanziamenti previsti dai diversi
provvedimenti normativi, sia ai criteri adottati per la loro allocazione
(fra settori di intervento e fra aree territoriali),
- la snellezza della metodologia
adottata, garantendo il miglior equilibrio possibile fra semplicità
delle procedure e completezza degli elementi considerati.
Con riferimento alla metodologia
di allocazione, lo schema logico propone un riparto a due livelli,
per aree di intervento
e per aree territoriali:
- per aree di intervento, con
riguardo alla articolazione degli interventi in base ai bisogni da soddisfare
(evitando, in linea di principio, il riparto in base ai servizi da erogare),
- per aree territoriali, con
riguardo alle dimensioni della popolazione destinataria dei programmi di
intervento (o di suoi sotto-insiemi), opportunamente corretta secondo i
fattori di correzione di seguito individuati sulla base di quanto previsto
dalla 328/2000.
Con riferimento ai criteri e
ai parametri di riparto, per il primo triennio di validità del
Piano
Nazionale Sociale
la metodologia è definita con riferimento
a:
- gli obiettivi di priorità
sociale individuati per il periodo 2001-2003,
- l'esigenza di assicurare un congruo
ammontare di risorse per l'attuazione della legge quadro e per l'avvio
del sistema integrato di interventi e servizi sociali,
- i criteri generali (demografici,
economici e occupazionali) indicati dall'articolo 18, comma 3, lettera
n) della legge 328/2000,
- le statistiche disponibili (con
riferimento all'ultimo dato noto) circa gli elementi demografici, economici
e occupazionali di cui all'articolo 18, comma 3, lettera n) della legge
328/2000.
Con riferimento alle esigenze di
sostegno
e
incentivazione
del
sistema
integrato di interventi e servizi sociali, la metodologia di riparto
prevede quote di risorse specificamente destinate a:
- incentivare l'associazionismo
degli
enti locali, in particolare dei comuni, ai sensi dell'articolo 20, comma
5, lettera b) della legge 328/00, anche tenuto conto dell'inadeguatezza
della dimensione comunale per una efficiente organizzazione di molti servizi
e programmi di intervento,
- sostenere l'integrazione fra
programmi di intervento e fra enti locali, favorendo la realizzazione di
reti
di
servizi.
Con riferimento alle esigenze di
responsabilizzazione
degli
enti che accedono al riparto, la procedura contempla misure volte a:
- garantire che gli stanziamenti
a favore delle regioni e degli enti locali costituiscano quote di cofinanziamento
dei
programmi e dei relativi interventi (ai sensi dell'articolo 20, comma 5,
lettera
c), della legge 328/2000), prevedendo anche modalità
di accertamento mediante lo sviluppo del sistema informativo dei servizi
sociali,
- prevedere l'adozione di strumenti
di analisi,
valutazione
e verifica delle risorse impiegate,
dei programmi svolti e dei risultati raggiunti (ai sensi dell'articolo
20, comma 5, lettera d), della legge 328/00),
- prevedere l'introduzione di procedure
per la
revoca
dei finanziamenti in caso di mancato impegno da parte
degli enti destinatari (ai sensi dell'articolo 20, comma 5, lettera e),
della legge 328/00).
Con riferimento ai vincoli di
destinazione dei finanziamenti, pare utile precisare che, mentre è
assolutamente chiara l'intenzione del legislatore di assicurare esplicitamente
la finalizzazione del FNPS alle politiche sociali (e, quindi, di escludere
- almeno nel breve-medio periodo - la sua equiparazione agli altri trasferimenti
interessati dal provvedimento sul federalismo fiscale di cui al d. lgs.
56/00), il riparto per aree di intervento è da considerarsi, in
fase di prima applicazione e in attesa dell’emanazione del regolamento
di cui all’art. 20, comma 5, della legge 8 novembre 2000, n. 328 (salvo
diversa indicazione della normativa vigente), indicativo delle priorità
definite dalla programmazione nazionale per il triennio 2001-2003 e, in
quanto tale, non vincolante per le Regioni, fermo restando l’impegno delle
Regioni a: a) prevedere programmi e azioni in ciascuna delle aree di intervento;
b) garantire che le risorse ripartite non siano sostitutive di quelle già
destinate dai singoli enti territoriali.
In particolare ogni regione potrà
utilmente prevedere modalità di allocazione fra i diversi settori
di intervento (all'interno, ovviamente, delle politiche sociali) che tengano
conto dei bisogni specifici della popolazione di riferimento, dello sviluppo
esistente (e auspicato) della rete locale dei servizi e delle priorità
definite dalla programmazione regionale.
3.2 - Metodologia e criteri di
riparto
La metodologia di allocazione delle
risorse prevede un riparto per aree di intervento e per aree
territoriali.
Ai fini del riparto delle risorse
disponibili per il triennio 2001-2003, considerate le priorità individuate
dal presente
Piano nazionale, sono definite le seguenti macro-aree
di intervento:
Aree di intervento
1. responsabilità familiari
2. diritti dei minori
3. persone anziane
4. contrasto della povertà
5. disabili (in particolare, disabili
gravi)
6. immigrati
7. droga
8. avvio della riforma
L’articolazione per aree di intervento
corrisponde
a quella prevista per i livelli essenziali del sistema integrato (punto
1 della parte III), con l’aggiunta dell’area relativa agli immigrati
che
in quella sede è considerata (e inserita) trasversalmente (rispetto
alle diverse aree), mentre in questa sede è considera a parte, stante
la presenza di una specifica legge di settore che ne dispone il finanziamento.
Il riparto per aree di intervento
riflette il principio in base al quale le risorse devono essere allocate
agli obiettivi da realizzare (e non alle prestazioni da erogare), posto
che le politiche sociali perseguono obiettivi di ben-essere (e non di produzione
di servizi); esso è funzionale inoltre all'esigenza di favorire
l'integrazione degli interventi all'interno
delle singole aree (integrazione
infra-settoriale) e fra le diverse aree di intervento (integrazione
inter-settoriale). L'area n. 8 "avvio della riforma" è inserita
alla scopo di garantire il finanziamento di azioni e progetti specificamente
destinati all'avvio del sistema integrato di interventi e servizi, elaborati
dalle regioni o dagli enti locali, finalizzati a:
- lo sviluppo del sistema informativo
dei servizi sociali, in una logica di condivisione delle informazioni
e di integrazioni dei sistemi informativi dei diversi livelli di governo,
- lo sviluppo di forme di aggregazione
e associazione degli enti locali, al fine di evitare diseconomie e
duplicazioni di esperienze (articolo 20, comma 5, lettera a, della legge
328/2000),
- la sperimentazione di forme
innovative di organizzazione ed
erogazione
degli interventi,
anche al fine di assicurare l'effettivo accesso alle categorie più
fragili,
- lo sviluppo di programmi di intervento
di valenza sovra-regionale o nazionale,
- la realizzazione di progetti
obiettivo e di azioni programmate
con particolare riferimento
alla definizione di percorsi attivi a favore delle persone in condizioni
di povertà e di difficoltà psico-fisica (articolo 18, comma
3, lettera b, della legge 328/2000),
- la realizzazione di progetti
obiettivo finalizzati alla realizzazione di specifici obiettivi individuati
come particolarmente prioritari dalla programmazione regionale e locali
e pertanto meritevoli di una quota vincolata di finanziamenti,
- il funzionamento del Dipartimento
per gli Affari Sociali, per quanto attiene alle funzioni di indirizzo,
coordinamento e monitoraggio delle politiche sociali, affidate allo Stato
(art. 9, l. 328/2000), in relazione all’attuazione della riforma.
In fase di prima applicazione, tenuto
conto dei vincoli - soprattutto temporali - che limitano la realizzazione
di specifici progetti, le risorse riservate all'area n. 8 "avvio della
riforma" sono contenute entro i limiti ritenuti sufficienti a garantire
il finanziamento di attività preliminari allo sviluppo dei programmi
di intervento.
Il riparto per aree territoriali
ha come principale riferimento la popolazione destinataria delle politiche
sociali, di volta in volta definita con riguardo alle caratteristiche demografiche,
economiche e occupazionali verosimilmente correlate al fabbisogno finanziario
delle singole realtà regionali (o locali). Il riferimento alla popolazione,
quale criterio principe ai fini del riparto per aree territoriali, rimanda
alla quota capitaria
di finanziamento, calcolata con riguardo:
a) alla popolazione complessiva,
per tutte le aree di intervento destinate alla generalità della
popolazione, senza alcuna significativa differenziazione,
b) alla popolazione obiettivo,
per tutte le aree di intervento destinate a specifici sotto-insiemi di
popolazione, caratterizzati in base alla struttura demografica, la condizione
reddituale e occupazionale (articolo 18, comma 3, lettera n, della legge
328/2000).
Ne risulta un riparto per quota
capitaria
corretta
tenuto conto delle diverse caratteristiche della
popolazione.
L'individuazione dei parametri di
riparto è effettuata assegnando maggiore importanza alla "struttura
demografica" della popolazione, rispetto ai livelli di reddito e alle condizioni
occupazionali. Tale scelta è motivata da una serie di considerazioni,
di principio e tecniche.
Innanzitutto, esiste ampio consenso
circa il fatto che le caratteristiche socio-demografiche della popolazione
(età, genere, tipo e dimensione della famiglia di appartenenza,
ecc.) costituiscono il più importante indicatore (e predittore)
di bisogno, cui le politiche sociali devono fare riferimento.
In secondo luogo, gli indicatori
demografici presentano alcune importanti caratteristiche che ne facilitano
(e ne giustificano) l'impiego: sono disponibili in modo sistematico e a
livello territoriale disaggregato, sono comprensibili e semplici da utilizzare.
Gli indicatori di reddito e di occupazione sono, per contro, meno oggettivi
e completi.
Infine, la preferenza accordata
ai dati demografici discende dalla convinzione che le esigenze della persona,
all’interno della famiglia, debbono essere al centro dell’attenzione di
chi progetta e governa il sistema dei servizi..Tenuto conto delle considerazioni
esposte, lo schema di riparto è sintetizzato nella tavola 3.4.3,
il quale riporta anche gli indicatori utilizzabili per la concreta quantificazione
della quota di risorse allocabile nelle diverse aree territoriali. Il dettaglio
degli indicatori terrà conto delle indicazioni contenute nelle diverse
leggi di settore.
In fase di prima applicazione, tenuto
conto delle finalizzazioni previste dalle leggi di settore che assicurano
- in particolare alle aree immigrati
e
droga - stanziamenti
che possono essere ritenuti adeguati in termini comparativi rispetto alle
disponibilità complessive, il riparto funzionale delle risorse indistinte
è
effettuato sulla base delle quote riportate nella tavola seguente (colonna
centrale). La quota proposta per l'area "persone anziane" è
definita nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 15, comma 1 della
legge 328/2000 e considerata l'assenza di ogni altro finanziamento riservato
nonostante le particolari esigenze del settore.
Tav. n. 3.4.3
|
|
|
Responsabilità familiari | 15% | Popolazione residente |
Diritti dei minori | 10% | Popolazione <18 anni
Popolazione < 4 anni |
Persone anziane | 60% | Popolazione > 65 anni
Popolazione > 75 anni |
Contrasto povertà | 7% | tasso disoccupazione
% poveri |
Disabili (gravi, in particolare) | 7% | n. disabili gravi |
Immigrati | - | n. immigrati |
Droga | - | popolazione obiettivo |
Avvio della Riforma | 1% | popolazione residente |
I livelli di governi destinatari del riparto sono le regioni e gli enti locali, secondo le indicazioni della normativa di riferimento.
3.3 - Sostegno e revoca in caso
di mancato utilizzo dei finanziamenti
Ai sensi dell'articolo 20, comma
5, lettera d), della legge 328/00, le Regioni e gli enti locali
diretti destinatari dei finanziamenti di cui al FNPS predispongono annualmente
una relazione sulle attività svolte, sulle risorse impegnate
e sui risultati raggiunti.
La relazione è oggetto di
ampia pubblicizzazione presso la popolazione e le parti sociali.
La relazione, contenente anche il
dettaglio degli stanziamenti erogati da almeno 2 anni e non ancora impegnati,
è trasmessa al Dipartimento per gli Affari Sociali della Presidenza
del Consiglio dei Ministri. In caso di mancato impegno di parte (o dell'insieme)
dei finanziamenti, il Dipartimento per gli Affari Sociali e l'ente destinatario
dei finanziamenti costituiscono, entro 3 mesi dall'avvenuta verifica, un
Comitato paritetico per l'analisi delle cause del mancato utilizzo delle
risorse disponibili e per la individuazione delle possibili forme di accelerazione
dei programmi di intervento..Qualora, a 30 mesi dall'erogazione degli stanziamenti,
le somme risultassero ancora non impegnate, l'ente che ha provveduto al
trasferimento è tenuto, ai sensi dell'articolo 20, comma 5, lettera
d),
della legge 328/00, a procedere alla revoca degli stanziamenti stessi.
Della revoca è data ampia pubblicizzazione presso la popolazione
dell'area territoriale interessata. Le somme revocate sono riallocate fra
tutti i destinatari; esse possono altresì essere destinate alle
aree e alle amministrazioni alle quali sono state revocate, per il finanziamento
di programmi speciali volti a superare gli ostacoli che precedentemente
hanno impedito lo sviluppo dei programmi di intervento.
4 - La qualità del sistema
integrato di interventi e servizi sociali
Le Regioni hanno da tempo regolamentato
in varie forme la qualità dei servizi socio-assistenziali e socio-educativi.
Questo complesso di norme, procedure e strumenti valgono nel territorio
di riferimento e spesso per singoli settori d’intervento.
Nell’ambito sociale, lo sviluppo
dal basso dell’iniziativa dei cittadini, delle associazioni, del volontariato
e delle imprese si fonda da un lato sull’autonoma capacità dei soggetti
di "fare qualità" e dall’altro su una visione condivisa degli elementi
qualificanti dei servizi sociali. La concertazione, già ampiamente
sperimentata per la programmazione dei servizi, è altrettanto importante
per la valutazione e lo sviluppo di un sistema di qualità, che si
basa su valori comuni, regole condivise e controlli imparziali.
Infine, le regole per la qualità
che si vanno determinando in ambito pubblico riguardano per lo più
i servizi sociali essenziali di cui l'Ente Locale è titolare e che
sono definiti nei piani regionali. Tranne poche esperienze esemplari, finora
le Regioni e gli Enti Locali non sono ancora intervenuti per regolare la
qualità dei servizi che i cittadini e le famiglie acquistano direttamente
e/o organizzano in proprio avvalendosi di personale non sempre inquadrato
con contratti appropriati. In particolare, quando a questo personale viene
affidata l'assistenza a domicilio di anziani con ridotta autonomia (diurna
o continuativa) e l'assistenza educativa dei bambini (singoli o in gruppi),
il servizio assume un carattere sociale che deve sottostare a principi
di qualità, a tutela delle persone che ne usufruiscono. In tale
contesto, devono essere avviate politiche che utilizzino incentivi mirati
alle famiglie che acquistano servizi alla persona accreditati dal pubblico.
Tale scelta, da un lato favorisce l'emersione del lavoro sommerso e, dall'altro,
consente di affermare nel concreto che la qualità dei servizi è
strettamente legata alla qualità del lavoro impiegato. Ciò
implica una progettualità integrata fra i servizi per l'impiego,
i servizi per la formazione professionale e i servizi alla persona.
Si tratta allora di costruire un
"sistema
qualità sociale", inteso come insieme di regole, procedure,
incentivi e controlli atti ad assicurare che gli interventi e i servizi
sociali siano orientati alla qualità, in termini di adeguatezza
ai bisogni, efficacia dei metodi e degli interventi, uso ottimale delle
risorse impiegate, sinergie con servizi e risorse del territorio, valutazione
dei risultati, apprendimento e miglioramento continuo.
A tal fine, le Regioni e gli Enti
Locali:
- individuano la tipologia dei servizi
da includere nel sistema per la qualità sociale,
- promuovono sedi di concertazione
sui principi generali ispiratori della qualità dei diversi interventi
e servizi sociali, invitando tutti i soggetti interessati al sistema, enti
pubblici, produttori privati, professionisti del sociale e rappresentanti
dei cittadini fruitori dei servizi,
- definiscono le norme per l'autorizzazione
al funzionamento e le norme per l'accreditamento, operando, ove possibile,
l’accorpamento in un testo unico delle molteplici normative, procedure
e adempimenti richiesti ai produttori di servizi,
- individuano i soggetti istituzionali,
le metodologie e gli strumenti, atti a controllare l'applicazione delle
norme in modo omogeneo sul territorio regionale, trasparente e imparziale,
- programmano e attuano piani di
formazione e di incentivazione, ai fini di favorire e sostenere l'applicazione
delle norme e diffondere una cultura della qualità sociale,
- adottano propri strumenti di valutazione
della qualità dei servizi, del funzionamento e dell'impatto del
sistema qualità.
Contestualmente all'adozione di
norme che definiscano i requisiti professionali degli operatori addetti
ai servizi, le Regioni programmano piani di formazione professionale
finalizzati
a:
1) garantire agli utenti livelli
di professionalità tendenzialmente omogenei,
2) consentire agli operatori in
servizio di ottenere titoli professionali riconosciuti a livello nazionale,
3) assicurare agli enti che gestiscono
servizi di poter reperire sul mercato del lavoro locale la quantità
e qualità di personale richiesto dalle norme.
5 - Rapporti tra enti locali e
terzo settore
L’attuale sistema di erogazione
dei servizi sociali è fortemente incentrato sulla relazione tra
ente locale e terzo settore. Per questo la legge di riforma introduce rispetto
al tema della esternalizzazione dei servizi sociali rilevanti novità,
definendo le diverse funzioni svolte dagli enti pubblici e dal privato
sociale, riconoscendo espressamente al privato sociale un ruolo in termini
di co-progettazione dei servizi e di realizzazione concertata degli stessi.
Coerentemente a questa impostazione,
e riconoscendo una grande crescita del terzo settore, gli enti locali dovranno
ricorrere a forme di aggiudicazione dei servizi che "consentano ai soggetti
operanti nel terzo settore di esprimere pienamente la propria progettualità".
Questo significa privilegiare, ove possibile e funzionale, il ricorso all’appalto
concorso, lo strumento che più di ogni altro consente la progettualità
dei partecipanti e la possibilità di valutare la qualità
delle prestazioni offerte e del personale che si propone di impiegare.
Nel procedere alla valutazione dei
servizi esternalizzati, gli enti locali dovranno accogliere una concezione
di valutazione che si distingua nettamente dal concetto di adeguamento
a standard, assumendo parametri riferiti all’efficacia, all’efficienza
e ai risultati degli interventi.
La legge di riordino dei servizi
sociali, nel ribadire implicitamente il divieto delle gare al massimo ribasso
nell'ambito dei servizi alla persona, ha assegnato alle regioni importanti
funzioni di regolazione delle modalità di interazione tra enti pubblici
e terzo settore.
Alle regioni sono, infatti, assegnate
due funzioni estremamente delicate: definire gli indirizzi per regolare
i sistemi di affidamento dei servizi alla persona e definire le modalità
con cui valorizzare il volontariato.
La funzione regolativa della regione
è opportuno si fermi alla indicazione in generale dei parametri
da considerare per la valutazione delle offerte, lasciando ad ogni singolo
ente appaltante di definire quali siano in concreto i criteri di scelta
da adottare e gli indicatori da predefinire: una previsione analitica da
parte della regione dei criteri e degli indicatori per la individuazione
del soggetto cui affidare l'erogazione dei servizi alla persona, infatti,
sarebbe incoerente con le finalità di flessibilità e di negozialità
contenute nella legge di riordino.
Per ogni tipo di servizio e per
ogni singola gara d'appalto, del resto, è necessario che l'ente
appaltante ridefinisca i criteri di scelta, gli indicatori di riferimento
e il sistema di ponderazione.
Rispetto al tema della valorizzazione
dell’apporto del volontariato nell'erogazione dei servizi, la legge di
riforma non innova rispetto a quanto previsto dalla legge 266/91, che non
prevede che le organizzazioni di volontariato vendano servizi in un regime
di convenzionamento che leghi la quantità di prestazioni ad un corrispettivo.
Nell’affidamento al volontariato
di interventi o servizi, l’ente locale dovrà dunque prevedere nella
convenzione una modalità di rimborso spese coerente con le caratteristiche
di gratuità e solidarietà che caratterizzano le organizzazioni
di volontariato. L’ente locale potrà evidentemente anche erogare
contributi alle organizzazioni di volontariato. Al fine di favorire un
corretto rapporto tra enti locali e terzo settore, le regioni sono chiamate
ad istituire gli albi regionali di soggetti autorizzati all'esercizio
dei servizi socio-assistenziali sulla scorta di una valutazione di indicatori
oggettivi di qualità. La definizione degli indicatori rappresenterà
per le regioni un grande impegno anche culturale, oltre che una occasione
per intervenire molto concretamente nel mercato delle imprese sociali:
è dunque opportuno che la definizione dei requisiti avvenga in modo
partecipato, attraverso un processo di individuazione di caratteristiche
di qualità che ad una istruttoria tecnica faccia seguire una successiva
fase di confronto e validazione che coinvolga sia il pubblico che il privato
sociale.
6 - La carta dei servizi sociali
La carta dei servizi sociali,
intesa
e realizzata come "carta per la cittadinanza sociale", non si limita
a regolamentare l’accesso ai servizi riproducendo la logica dei soggetti
erogatori, ma si concentra sulle persone che hanno bisogno di accedere
ai servizi. In tal senso la carta dei servizi sociali viene a caratterizzarsi
come percorso progettuale finalizzato a conseguire gli obiettivi di promozione
della cittadinanza attiva, consapevole nella popolazione, nelle istituzioni
e nei servizi. Il termine "cittadinanza" si collega strettamente ai diritti
che ogni persona ritiene le debbano essere riconosciuti nella vita quotidiana
e nelle situazioni di bisogno. La logica dei diritti sociali nella carta
per la cittadinanza si collega strettamente con la logica dei doveri o
meglio ancora dell’incontro tra diritti e doveri sociali.
Con riferimento ai contenuti,
la carta dovrà prevedere:
- le condizioni per un patto di
cittadinanza sociale a livello locale,
- i percorsi e le opportunità
sociali disponibili,
- la mappa delle risorse istituzionali
e sociali,
- i livelli essenziali di assistenza
previsti,
- gli standard di qualità
da rispettare,
- le modalità di partecipazione
dei cittadini,
- le forme di tutela dei diritti,
in particolare dei soggetti deboli,
- gli impegni e i programmi di miglioramento,
- le regole da applicare in caso
di mancato rispetto degli standard.
Ogni comune, in quanto responsabile
dell’offerta dei servizi sociali, deve adottare una propria "carta", nella
quale saranno riflessi i suoi orientamenti e le sue possibilità.
Al fine di favorire una certa omogeneità, è opportuno che
le carte abbiano un "nocciolo" di contenuti comuni.
In particolare è necessario
che, almeno per i tipi di prestazioni più diffuse, alcuni indicatori
siano definiti a livello nazionale, ferma restando la possibilità
di affinarli e integrarli in sede locale e, soprattutto, fermo restando
l'esclusiva responsabilità delle amministrazioni comunali nella
determinazione dei valori (e quindi nella concreta determinazione degli
standard di qualità). A tale esigenza corrisponderà la produzione
dello Schema di riferimento
che il Dipartimento per gli Affari Sociali
dovrà presentare, nonché l’eventuale implementazione che
potranno farne le regioni.
Di particolare rilevanza è
il processo di costruzione delle carte. In primo luogo esso costituisce
una preziosa occasione di coinvolgimento della collettività, con
la quale potranno essere confrontati i principi cui si ispirano le strategie
di offerta e negoziati gli standard di qualità e gli strumenti
in caso di mancato rispetto. Così facendo si potrà dar corpo
all'affermazione secondo la quale le carte costituiscono un "patto" tra
i comuni e i cittadini. In secondo luogo, la loro costruzione costituisce
una preziosa occasione di verifica, all'interno delle amministrazioni,
dello stato dei servizi sociali e delle possibilità di miglioramento,
dando così corpo all'affermazione secondo la quale le carte costituiscono
uno strumento, oltre che di tutela dei cittadini, di crescita organizzativa..La
legge 328/2000 stabilisce che l’adozione della carta dei servizi sociali
da parte degli erogatori è condizione per il loro accreditamento.
Evidentemente tale previsione non può essere riferita alle amministrazioni
comunali e sta piuttosto ad indicare che anche i gestori dei servizi –
in quanto diversi dalle amministrazioni comunali – devono dotarsi, ognuno,
di una propria carta. Il contenuto di quest’ultima, peraltro, deve essere
diverso da quello fin qui considerato: le "carte" dei soggetti in questione
devono contenere impegni (nei confronti dei comuni) riferiti al possesso
di strumenti e al rispetto di regole di funzionamento coerenti con un effettivo
"orientamento alla qualità", caratterizzandosi dunque per la presenza
di standard di tipo organizzativo. In ogni caso si deve escludere che gestori
dei servizi diversi dalle amministrazioni comunali stabiliscano, essi stessi,
gli standard di qualità delle prestazioni. Anche nel caso di gestioni
"esterne", infatti, questi ultimi devono restare di competenza dei comuni
che, al riguardo, potranno procedere come segue: definire un insieme di
indicatori e valori di base; sollecitare quanti competono per l’affidamento
di un servizio a formulare proposte migliorative; convalidare la proposta
contenuta nell’offerta più rispondente al proprio insieme di obiettivi
e di vincoli, assumendone a tutti gli effetti la responsabilità
nei confronti dei cittadini.
7 - Il sistema informativo dei
servizi sociali
Il sistema informativo dei servizi
sociali (Siss) risponde alle esigenze della programmazione, della gestione
e della valutazione delle politiche sociali. E’ strumento di conoscenza
di
fondamentale importanza per gli operatori, i responsabili delle politiche
(ai diversi livelli) e i cittadini. La sua funzione non è (solo)
quella di descrivere le risorse impiegate e le attività svolte nelle
diverse articolazioni territoriali e organizzative, ma (soprattutto) quella
di facilitare la lettura dei bisogni e di sostenere il processo
decisionale a tutti i livelli di governo, sulla base di una rigorosa
analisi delle attività e dei risultati raggiunti rispetto ai risultati
attesi e alle esigenze della popolazione. La disponibilità di informazioni
è inoltre funzionale alla diffusione della cultura del confronto
e
alla valutazione comparativa delle esperienze e dei risultati.
Lo sviluppo del Siss deve prevedere
il potenziamento della produzione statistica ufficiale nell’ambito
delle indagini presso le famiglie e presso le istituzioni (pubbliche e
private).
Lerilevazioni statistiche ufficiali
presso le famiglie devono permettere di valutare la rete degli aiuti che
i cittadini ricevono dal settore sociale (pubblico e privato), e degli
aiuti informali (familiari e non) che i cittadini si scambiano, nonché
i bisogni emergenti. Le rilevazioni ufficiali presso le istituzioni devono
garantire un flusso di informazioni continuo rispetto all’offerta dei servizi,
con particolare riferimento ai servizi attivati localmente per i diversi
soggetti sociali (bambini, anziani, disabili, ecc).
Specifica attenzione dovrà
essere dedicata ai sistemi di rendicontazione degli enti locali (in particolare,
ai bilanci dei Comuni) al fine di renderli più funzionali alla rilevazione
delle informazioni sulla spesa e sulle attività sociali.
Per sviluppare la massima potenzialità,
il sistema informativo dei servizi sociali (Siss) dovrà essere organicamente
collegato, fra l’altro, al sistema informativo sanitario (Sis) e a quello
europeo (Eurostat).
Fra le funzioni specifiche del
Siss, assumono particolare rilievo:
a) il monitoraggio dei livelli
essenziali di cui all’articolo 22 della legge 328/2000;
b) il monitoraggio di specifiche
misure di intervento
promosse dalle politiche sociali, in particolare
il Reddito minimo di inserimento (Rmi) e il Reddito minimo per la disabilità;
c) l’analisi della qualità
dei servizi
e della loro effettiva rispondenza ai bisogni da soddisfare,
anche attraverso l'utilizzo di un insieme (essenziale) di indicatori collegati
al sistema delle Carte dei servizi sociali.
Per essere funzionale alle esigenze
di governo delle politiche sociali, il Siss deve essere essenziale ovvero
disegnato in modo da evitare la proliferazione delle informazioni e l’inflazione
di.dati. Particolare attenzione dovrà essere riservata alle esigenze
di flessibilità e tempestività, evitando di
sacrificarle alle richieste di esaustività e completezza. Il modello
di funzionamento dei flussi informativi (chi rileva le informazioni, con
chi e come sono condivise, come sono trattate ed elaborate, come sono aggregate,
come ritornano a chi le ha prodotte) deve essere improntato ad estrema
chiarezza,
entro una logica sufficientemente decentrata, perché è
a livello locale che si gioca l’affidabilità del sistema.
Al fine di evitare la sovrapposizione
o (addirittura) la contrapposizione di più sistemi informativi (uno
o più nazionali, tanti regionali, tanti locali) è essenziale
che i diversi soggetti (ai diversi livelli di governo) si integrino e condividano
il disegno complessivo del Siss. In particolare, la partecipazione di
tutti gli attori alla costruzione del sistema, favorendo il superamento
dei limiti propri della visione da mero debito informativo, è garanzia
di collaborazione allo sviluppo del sistema e fonte di fertili aspettative
nei suoi confronti. A tutti i livelli di governo, il bilancio informativo
fra,
da un lato, i dati che si rilevano o si acquisiscono e, dall’altro, le
conoscenze che si ricavano o si restituiscono, deve essere rispettato,
caratterizzando in senso circolare i rapporti tra i diversi attori coinvolti
(all’interno degli enti e tra centro e periferia).
E’ essenziale che alla definizione
dell’architettura del Siss collaborino esperti di politiche sociali (in
particolare, di valutazione di programmi e servizi), esperti statistici
(in particolare dell’Istat, in modo da sviluppare sinergie e omogeneità),
esperti di sistemi informativi (in modo da garantire lo sviluppo di connessioni
di rete, in un’ottica di interoperabilità funzionale), responsabili
delle politiche sociali e, in primo luogo, responsabili locali (perché
la partecipazione di chi produce e utilizza le informazioni è condizione
indispensabile per la qualità del sistema). E’ inoltre necessario
che essi sappiano cogliere (in una logica di costante ascolto) i
fabbisogni conoscitivi delle principali istituzioni interessate, inclusa
la Commissione di Indagine sull'Esclusione Sociale.