Prefazione
Il lavoro che qui presentiamo nasce da un impegno comune, intrapreso nel corso del 1991 dal Crs e dal Csa[1], volto a promuovere iniziative per lo sviluppo delle attività di formazione all'impegno sociale e politico in Italia.
Quando avevamo intrapreso questo lavoro eravamo convinti che l'indispensabile rinnovamento politico e istituzionale italiano, da tempo maturo, non poteva essere solo il frutto di pur necessarie riforme elettorali e istituzionali, che faticosamente ma anche pacificamente, sono state avviate. Oggi siamo ancor più convinti che senza una larga partecipazione popolare e il rinnovamento delle culture politiche che danno strumenti e senso all'azione di milioni di cittadini italiani impegnati nella vita sociale e politica, non c'è una vera crescita: è sempre in agguato il rischio che nello sviluppo storico altrimenti finiscano per prevalere nuove e vecchie "oligarchie", contrarie allo spirito solidale che è alla base dell'associazionismo democratico, a quell'ispirazione etica prima ancora che politica, che è indispensabile per superare i grandi problemi e squilibri interni e internazionali che oggi e per un lungo periodo saranno ancore presenti. Nella seconda fase costituente della nostra Repubblica, che è in atto da tempo e che non si esaurirà presto, l'attuazione di questi obiettivi è per noi cosa essenziale.
A questo scopo ci siamo innanzitutto rivolti ai responsabili nazionali dell'associazionismo democratico: ai sindacati dei lavoratori, che nonostante i tanti problemi continuano e continueranno a costituire la più importante forma associativa di milioni di italiani per la difesa di interessi e bisogni sui luoghi di lavoro, e all'associazionismo e al volontariato di solidarietà, che nei più diversi campi - dal soccorso all'aiuto verso i più deboli, dalla solidarietà Nord-Sud alla promozione di iniziative di pace e sviluppo, dalla difesa dell'ambiente sino ai momenti di vita culturale e ricreativa - è costantemente cresciuto dagli anni settanta ad oggi.
I risultati di questo lavoro sono stati sia una prima pubblicazione, Imparare la democrazia[2], che l'avvio di momenti di coordinamento e di iniziativa dell'associazionismo democratico tesi allo sviluppo delle attività di educazione alla cittadinanza attiva e più in generale alla formazione e alla ricerca connesse con l'impegno sociale e politico[3].
Parallelamente all'avvio di queste iniziative, sin dall'inizio ci eravamo proposti di promuovere anche lavori di ricerca e di indagine, particolarmente sulla realtà europea, al fine di supportare con una valida istruttoria le proposte che andavamo facendo sul piano nazionale. La disponibilità della Comunità europea[4] a contribuire alle spese e successivamente l'appoggio della Fondazione Di Vittorio di Milano, hanno reso concretamente possibile l'attuazione e la pubblicazione della ricerca che qui presentiamo.
La ricerca non solo fornisce un'utile informazione al lettore italiano, ma è per ora l'unica nel suo genere a livello europeo, dopo i lontani e meritori lavori[5] promossi da Marcel David, con obiettivi e caratteristiche del resto in parte diverse. Pensiamo quindi che, al di là degli scopi che l'hanno motivata, essa costituisca un'opera utile alle organizzazioni sindacali europee e al superamento dei limiti che hanno caratterizzato la loro azione negli ultimi anni.
Hanno collaborato all'impostazione della ricerca Giuseppe Cotturri per il Crs, Lino Duilio del Centro sociale ambrosiano e Maurizio Ambrosini dell'Università cattolica di Milano.
Oltre i numerosi studiosi e i sindacalisti - citati all'inizio di ciascun saggio, che volentieri si sino sottoposti alle nostre interviste e che con noi hanno collaborato, ringraziamo anche Anne Raulier dell'Observatoir Social Europeenne, Giuseppe Faiertag dell'Istituto Sindacale Europeo e Jeff Bridgford coordinatore dell'Accademia Sindacale Europea, Cesare Poloni responsabile della rivista Formazione operaia del Bureau International du Travail, Ettore Gelpi, responsabile dell'ufficio Formazione permanente dell'Unesco, Michel Offerlé direttore dell'Institut des Sciences Sociales du Travail della Sorbona. Ringraziamo anche gli operatori della biblioteca centrale del Bit a Ginevra, degli uffici del Bit di Roma e Parigi, e dell'Istituto Sindacale Europeo a Bruxelles per la loro disponibilità. Un ringraziamento infine particolare a Ludovico Morozzo dell'Inca Cgil di Parigi e a Jean Pierre Favarin per la loro ospitalità e disponibilità preziosa e solidale.
Senza tutte queste collaborazioni, prestate del tutto disinteressatamente, questa pubblicazione non avrebbe potuto mai avere luogo.
Introduzione
Omogeneità e diversità nel movimento sindacale europeo
Forse l'errore più frequentemente commesso dagli organi di informazione e dall'opinione pubblica, ma anche dalle forze politiche, è quello di valutare e giudicare la realtà politica e sociale degli altri paesi senza tenere conto delle diverse caratteristiche e della diversa storia di ciascun stato. La rete dei rapporti economici e commerciali è andata nel corso dei secoli sempre più integrandosi, oramai tutti i popoli sono inseriti in una "economia mondo"[6] che tutti più o meno ci coinvolge e condiziona; i mezzi di comunicazione ci portano tutti i giorni, a tutte le ore e in tempo reale, notizie di eventi accaduti in ogni parte del mondo come se fossero accaduti fuori dalla porta di casa nostra. Le immagini televisive hanno poi di per sé tale forza di persuasione che pare non vi sia più nulla da spiegare. In realtà il mondo è diversità pur nell'intima eguaglianza degli uomini che travalica razze, culture e profonde diversità e sperequazioni economiche e sociali. Ma se le sperequazioni si può sperare e si deve lottare perché siano colmate, se le differenze di razza sono del tutto ininfluenti dal punto di vista delle qualità umane, ciò non significa che se ciascun popolo può raggiungere stadi di civiltà elevati non lo faccia con tratti suoi originali. Originalità e diversità locali che si ritrovano del resto anche all'interno di stati che hanno una storia millenaria comune, se è vero che anche un paese tradizionalmente centralizzato come la Francia in realtà, come ha scritto Fernand Braudel nella sua ultima e prima opera dedicata al suo paese[7], in realtà è diversità. Il movimento sindacale di ciascun paese ha caratteristiche sue proprie. Le ragioni di queste particolarità vanno più cercate nella storia d'insieme di ciascun paese, che in peculiarità esclusive al movimento sindacale[8].
Peculiarità della struttura sindacale.Benché rispetto ad altre aree del mondo il movimento sindacale dell'Europa occidentale, aderente alla Ces (Confederazione sindacale europea), sia accomunato da una forza e da un ruolo che non ha riscontro altrove, in realtà profonde sono le differenze tra i diversi paesi e tra le diverse aree: differenze tali da innescare dinamiche diverse di fronte a processi comuni che investono il movimento sindacale aderente alla Ces.
Se negli anni settanta abbiamo avuto il punto massimo di espansione per le organizzazioni sindacali, con gli anni ottanta si è ovunque aperta una fase difficile, caratterizzata da una crescita non congiunturale del tasso di disoccupazione e dal restringimento dei margini di intervento sulle politiche economiche e sociali a livello nazionale; un contesto che ha anche portato alla messa in discussione della filosofia e della pratica della stato sociale. La disoccupazione da un lato è legata ai processi di ristrutturazione conseguenti all'introduzione delle tecnologie elettroniche nei processi produttivi e nel trasferimento e trattamento delle informazioni, dall'altra a una recessione strisciante, a un rallentamento a livello internazionale dello sviluppo, dopo un processo di espansione praticamente ininterrotto che è durato dal secondo dopoguerra all'inizio degli anni settanta. In realtà ci troviamo di fronte ad un mercato sempre più interdipendente, sempre più internazionale e mondiale, ma con meccanismi di regolazione democratica prevalentemente ancora tutti a livello nazionale. Così abbiamo assistito contemporaneamente alla creazione di un mercato finanziario mondiale e all'esplosione dell'indebitamento dei paesi del Terzo mondo, o alla creazione di un mercato europeo mentre i poteri di regolazione democratica a livello comunitario sono ancora di fatto molto ridotti: a livello istituzionale perché comunque la Comunità rimane un accordo tra stati con limitati poteri di intervento, mentre a livello delle parti sociali c'è una dissimmetria tra i gruppi economici e finanziari che agiscono a livello sovranazionale e il movimento sindacale che timidamente e con fatica sta percorrendo i primi passi di un coordinamento sovranazionale e comunitario. Le conseguenze sono pesanti, perché la pretesa di trattare i paesi poveri come aree da cui trarre interessi e non come aree di investimento ha non solo peggiorato le condizioni di vita di questi popoli, ma bloccato a livello internazionale il meccanismo dello sviluppo, mentre l'indebolimento delle politiche sociali nei paesi più ricchi orienta tutto verso i consumi individuali, che oltre un certo livello è tra l'altro difficile espandere. A tutto ciò si aggiunga sia i processi di deindustrializzazione, che di diffusione del decentramento produttivo, che con lo sviluppo delle nuove tecnologie si presentano un po' dovunque.
L'insieme di questi processi ha aperto una fase difficile, che dura da oltre un decennio e che non si chiuderà presto poiché alla base non sono ragioni di carattere congiunturale ma strutturale, che pone il movimento sindacale sulla difensiva. In un simile scenario comune, nella maggior parte dei paesi i sindacati hanno perso iscritti, mentre in altri le iscrizioni sono stabili o addirittura sono cresciute. In particolare le iscrizioni hanno tenuto o sono cresciute proprio nei paesi già a più alto tasso di sindacalizzazione, dove il sindacato ha avuto storicamente un ruolo prioritario nell'estendere la rete di solidarietà tra i lavoratori oltre le mura della fabbrica: qui il sindacato gestisce in maniera prevalente l'erogazione della cassa di disoccupazione, che del resto era qui nata come iniziativa autonoma dell'organizzazione sindacale, spesso ha un ruolo determinante nella gestione della formazione professionale che interviene nei processi di riconversione produttiva. Insomma in alcuni contesti il sindacato è un'organizzazione di tutela a cui si ricorre di più nei momenti di difficoltà, mentre in altri è prevalentemente un'associazione per la gestione collettiva della contrattazione salariale, contrattazione che è tanto più efficace quanto più è alta la domanda di lavoro e che si indebolisce quando cresce la disoccupazione.
I paesi ad alto tasso di sindacalizzazione sono quasi tutti nel nord Europa[9] e qui vi è stata una crescita di iscritti tra i sindacati norvegesi, finlandesi e svedesi, con tassi di sindacalizzazione che ora variano dal sessanta a quasi il novanta per cento dei lavoratori attivi; mentre in Belgio c'è stata sostanziale stabilità con oltre il sessanta percento. Altri paesi hanno avuto un calo che si è rimangiato almeno in parte la crescita degli anni settanta: è il caso, con accentuazione crescente, della Germania, dell'Italia e della Gran Bretagna, che oggi si attestano a percentuali che variano all'incirca dal trentacinque a quaranta percento. In altri paesi come la Francia la sindacalizzazione riguarda oramai una ristretta minoranza sotto il dieci percento.
In realtà queste differenti caratteristiche tra le organizzazioni sindacali sono più da ascrivere all'influenza dei diversi contesti nazionale e statali, che a orientamenti e strategie politiche diverse delle organizzazioni del movimento operaio. Così in Francia il bassissimo tasso di sindacalizzazione, oggi intorno all'8-9% ma da sempre il più basso tra i paesi sviluppati con quello statunitense, non solo è ben spiegabile all'interno del caso francese, ma non è neppure un indice di estrema debolezza del sindacato, com'è oggi negli Usa. La Francia è un paese a bassissimo tasso di associazionismo politico e sindacale: al massimo del successo elettorale, il 37.5% dei voti nelle elezioni politiche del 1988, il Ps francese dichiarava circa 180.000 iscritti[10]. Meno di un quinto degli iscritti al Partito socialdemocratico svedese[11] che nello stesso periodo aveva una percentuale di voti di poco superiore, ma su una popolazione che è un sesto di quella francese: con un tasso di adesione quindi all'incirca quaranta volte più alto. Questa situazione francese trova la sua spiegazione in un protagonismo delle istituzioni pubbliche che ha pochi paragoni al mondo, una situazione esattamente contraria a quella Usa; protagonismo che nasce storicamente da un apparato statale già tradizionalmente forte, che ha poi trovato la sua legittimazione popolare nella Rivoluzione dell'89.
Mentre cioè altrove i partiti e altre strutture associative della società civile (chiese, associazioni varie, sindacati) assolvono una funzione di mediazione insostituibile tra istituzioni pubbliche e cittadini, in Francia il rapporto cittadini-istituzioni è molto più diretto. Così se viene spesso sottolineato il tradizionale ruolo centrale di governo di Parigi, ci si dimentica solitamente della grande capillarità dell'istituzione comunale francese, che con una dimensione media di circa 1500 abitanti non ha probabilmente pari al mondo[12]; mentre l'apparato statale è notoriamente tra i più efficienti e preparati. In questo contesto non è un caso che la contrattazione sindacale vede da sempre come protagonista rilevante il governo, e che i contratti assumano una validità erga omnes attraverso una ratifica legislativa. In compenso i lavoratori francesi sono tra quelli che votano di più[13]: eleggono i delegati del personale, i membri dei comitati di impresa, i magistrati del lavoro, i rappresentanti delle casse mutue.
Completamente diversa è la situazione nel confinante Belgio, con uno stato centrale nel passato anche forte ed aggressivo, si pensi all'impresa coloniale belga, grande per un così piccolo paese, ma poco legittimata dalla divisione tra fiamminghi e valloni; divisione che è diventata sempre più determinate con il passaggio dallo stato borghese a quello di massa. In questo contesto le organizzazioni della società civile hanno svolto un ruolo fondamentale nel legittimare a livello popolare lo stato democratico che ha fatto seguito alla fase liberale. É quella rete di associazioni che, utilizzando le parole dei belgi, vanno a costituire i due pilots, i pilastri cattolico e socialista su cui si basa la società belga. Non a caso quindi l'indice di sindacalizzazione è molto più alto di quello francese, in particolare proprio tra i belgi francofoni, culturalmente così vicini a loro.
A queste peculiarità nazionali e statali, su cui potremmo proseguire a lungo e che confermano quanto l'Europa sia diversità, bisognerebbe poi aggiungere altre caratteristiche di tipo sovranazionale, come la cultura religiosa. In genere dove i cattolici sono maggioritari siamo in presenza di un pluralismo sindacale di carattere ideologico e politico; mentre nei paesi a maggioranza protestante abbiamo o il sindacato unitario, come in Gran Bretagna o in Germania, oppure un pluralismo di categorie con il sindacato operaio, quello degli impiegati e quello dei quadri, come in Svezia e in altrove.
La formazione sindacale.Le diversità cui qui abbiamo fatto cenno, non sono evidentemente relative solamente all'insediamento del sindacato, ma sono presenti in maniera significativa anche nelle attività di formazione sindacale, che comunque nei paesi da noi esaminati sono ovunque svolte più intensamente di quanto avvenga in Italia. In particolare la formazione sindacale, oltre ad adattarsi alle esigenze e alle forme di ciascuna organizzazione sindacale, è in generale fortemente condizionata dal rapporto tradizionalmente instauratosi tra intellettuali e paese, che trova un riflesso nelle caratteristiche della struttura formativa.
Così se in Svezia e in Belgio le attività di formazione sindacale sono molto diffuse, e in Francia invece hanno più una caratteristica d'élite (nell'insieme comunque più ampia e attrezzata di quella svolta in Italia), evidentemente ciò dipende dalla diversa forza e presenza tra i lavoratori del sindacato.
Al contrario dal punto di vista della legislazione che protegge le attività di formazione sindacale e che garantisce dei sostegni pubblici al loro svolgimento, situazioni così diverse risultano molto più omogenee. Legislazioni e sostegni che non possono essere spiegati da una tradizione collaborativa e riformista di quelle organizzazioni sindacali, contrapposta a quella di carattere antagonista del caso italiano: non si può certo dire che al sindacato francese sia mancata e manchi una carica antagonista. In realtà è la sensibilità democratica, il senso di responsabilità civile degli intellettuali francesi che è stato determinante per avviare esperienze importanti. Se nel 1954 si è cominciato a Strasburgo ha svolgere attività di formazione sindacale presso l'Università, nell'Istituto di scienze sociali del lavoro appositamente creato, e se oggi questi istituti universitari atipici, con un consiglio di amministrazione presieduto da un sindacalista, sono presenti in diverse Università francesi, Sorbona compresa, non si può certo dire che il merito principale vada alle organizzazioni sindacali. Tradizionalmente divise, né presero l'iniziativa per questa interessante esperienza, né si sarebbero mai trovate d'accordo senza la paziente e tenace opera di convincimento svolta da un intellettuale come Marcel David[14]; del resto l'unica struttura in cui i sindacati francesi in tutti questi anni hanno operato costantemente assieme è costituita proprio dagli Istituti di scienze sociali del lavoro. Anche se David può sembrare atipico nel panorama degli intellettuali d'oltralpe per il suo profondo spirito religioso, in realtà è profondamente omogeneo alla tradizione di impegno civile degli intellettuali francesi, che comincia con l'Illuminismo, ma è testimoniata in questo secolo che volge al termine sia da laici come Sartre, che da cattolici come Maritain.
In genere nei paesi dove gli intellettuali in quanto tali hanno una tradizione di impegno civico e politico democratico, cosa ben diversa dal mettersi al servizio del principe di turno, si sono sviluppate già a partire dal secolo scorso attività di educazione permanente, di diffusione della cultura, tra le quali va collocata anche la formazione sindacale. Si tratta delle University extensions inglesi o delle Università popolari danesi, avviate alla metà del secolo scorso e che si svilupparono anche in altri paesi tra la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento.
Lo stesso concetto di educazione permanente e di formazione continua, che si è andato sempre più affermando in numerosi paesi europei, ma non in Italia, hanno il loro fondamento in queste attività e nello spirito che vi stava dietro, che si intreccia allo sviluppo del movimento operaio. Uno spirito lontano e contrario da una concezione di casta e patrimoniale della cultura: non un passaporto per varcare i confini invisibili, e tuttavia ben presidiati, che esistono tra i diversi livelli della gerarchia sociale (quindi un blocco o un permesso di mobilità a seconda dei diversi punti di vista sociali), ma uno strumento di innovazione costante, di tematizzazione critica della realtà e della propria azione.
Del resto nell'affermare l'idea della formazione permanente il movimento sindacale, soprattutto quando si è realizzato un intreccio tra movimento operaio e movimenti di carattere intellettuale, ha avuto un ruolo preminente. Così in Francia ha avuto un ruolo decisivo il movimento che ha legato intellettuali e lavoratori nel '68 e che ha portato agli accordi di Grenelle tra governo e sindacati, che hanno avviato la legislazione sulla formazione permanente e la formazione professionale continua. Le stesse imprese dopo le resistenze iniziali hanno imparato ad utilizzare la formazione come strumento di innovazione; se inizialmente la legge imponeva che lo 0,8% del monte salari dovesse essere versato al fondo per la formazione continua, oggi che questa percentuale è stata elevata all'1,5% le imprese investono in formazione complessivamente il 3,4%. I lavoratori possono godere di permessi retribuiti sino a sei mesi l'anno, a carico del fondo per la formazione. Inoltre si possono veder riconosciuta l'esperienza di lavoro come titolo per accedere all'università, anche quando non hanno conseguito un titolo di studio di scuola media superiore. Attraverso queste opportunità - oltre ai corsi svolti nell'ambito degli Istituti di scienze sociali del lavoro per Cfdt, Cgt e Fo - un sindacato tradizionalmente antagonista come la Cgt ha avviato da oltre dieci anni in collaborazione con l'Università Paris I-Panthéon Sorbonne, un corso di laurea che prepara i "sindacalisti in mobilità": nel caso dei funzionari dopo alcuni anni di un'esperienza sindacale spesso defatigante sono spesso loro stessi a desiderare una nuova esperienza di lavoro, mentre per l'organizzazione è opportuna una rotazione in funzioni che hanno tutti i caratteri tipici degli incarichi di rappresentanza, non assimilabili ad un impiego. Il corso di laurea, valorizzando l'esperienza accumulata nel lavoro sindacale, prepara quadri per quelle forme di economia sociale vicine al sindacato: dalla cooperazione all'associazionismo, dalle mutualità agli enti locali.
Il rapporto tra movimento sindacale, università e scuola pubblica, ha in Gran Bretagna una ancor più lunga tradizione[15], che parte dall'istituzione del Ruskin College a Oxoford nel 1899 con l'appoggio dei sindacati e che si amplia in maniera significativa dopo il 1920, quando a seguito degli indirizzi emersi dalla commissione governativa per la ricostruzione, l'Università di Nottingham per prima avvia una facoltà aperta, il cui fine non e quello di rilasciare titoli di laurea, ma di promuovere l'educazione permanente nella società. Nel 1922, sempre a Nottingham è istituita la prima cattedra di educazione degli adulti. Oggi, nonostante l'azione dei governi conservatori nel corso degli anni ottanta che ha ridotto i fondi a disposizione della formazione sindacale, in Gran Bretagna 382 sono i tutor assunti da università e college, che dedicano la maggior parte del loro tempo ai corsi sindacali: sia presso gli istituti superiori, tecnici o politecnici, dove si svolgono i corsi con permesso retribuito per i rappresentanti di reparto e gli addetti alla sicurezza sui luoghi di lavoro previsti da una legge dell'ultimo governo laburista, sia presso le università dove si svolgono altre attività in collaborazione con il sindacato.
La situazione italiana. Per vicende storiche e peculiarità della storia di lungo periodo dell'Italia, questa tradizione è debole tra gli intellettuali italiani. Questo naturalmente non vuol dire che non vi sia stato nulla, in particolare bisogna ricordare l'Unione italiana di cultura popolare sorta nel 1906 e la Federazione italiana delle biblioteche popolari del 1908[16], che però non solo dovettero sciogliersi nel corso del ventennio fascista, ma soprattutto, se si esclude la Società Umanitaria di Milano[17] e le sue diramazioni in alcune regioni,ebbero diffusione limitata e vita piuttosto stenta. Mancò un impegno delle organizzazioni e degli esponenti del movimento operaio, non a caso lo sviluppo dell’Umanitaria ha dietro la presenza della Camera del lavoro e di esponenti di rilievo del Partito Socialista; ma soprattutto mancò l’opera e l’iniziativa della parte più aperta e progressiva del mondo universitario e degli intellettuali, che altrove erano stati alla base delle Università popolari o delle University extensions.
Storicamente limitato l'impegno democratico-educativo degli intellettuali italiani soprattutto nel campo dell'educazione degli adulti, esso si è svolto quasi esclusivamente sul piano politico di partito, sia nel campo laico, socialista e comunista, come in quello cattolico, senza pervenire alla conquista di un diritto e di una legislazione all'educazione permanente per tutti. Nell'ambito di quell'impegno politico e di parte, sia pure limitatamente e strumentalmente rispetto a quell'impegno immediato, si sono bensì sviluppate, con molti alti e bassi, dal secondo dopoguerra ad oggi delle attività di formazione alla "cittadinanza attiva". É questa però stata un'attività educativa troppo strumentale e legata alla contingenza politica, con molti limiti e conseguenze negative. Non si è mai sviluppata in un'attività sufficientemente autonoma in grado di sopravvivere alle crisi cicliche che alternativamente hanno colpito e scompaginato la partecipazione politica all'interno delle diverse aree politiche; e che ora, nella più generale crisi e ridefinizione del rapporto cittadini-istituzioni, langue, al di là di alcune lodevoli e limitate eccezioni. Un'attività che finalizzata alle sole ragioni di parte, pur legittime e necessarie, si è limitata a coltivare coesione e identità di ciascuna organizzazione, trascurando i diritti alla conoscenza di ciascun cittadino che voglia partecipare consapevolmente e liberamente alla vita politica e sociale.
Si è trattato infine di attività che nell'area politica laica e di sinistra hanno privilegiato l'impegno culturale di partito, particolarmente nel Pci, l'unico partito di sinistra che ha sviluppato una consistente attività culturale e educativa, e che nel mondo cattolico ha invece privilegiato l'area dell'impegno in ambito sociale ed ecclesiale, con una scarsa attività invece della Democrazia cristiana; anche se nel mondo delle organizzazioni cattoliche, sia pure con questi limiti, vi è stato un impegno costante probabilmente a causa sia di un'esperienza educativa autonoma consolidata della Chiesa e degli ordini religiosi, non solo nel campo degli studi ecclesiastici, basti pensare all'Università cattolica o ai Gesuiti e ai Salesiani, ma anche per una maggiore attenzione di un movimento sociale di origine religiosa alla dimensione educativa e del mondo morale della persona.
Sostanzialmente occorre però sottolineare che si tratta di limiti che coinvolgono tutta l'area dell'impegno politico laico, cattolico e non cattolico, e che segnala innanzitutto un distacco ed una separazione tra istituzioni culturali pubbliche, tra "intellettuali tradizionali" e cittadini: se vi è stato anche un generoso impegno di singoli intellettuali nella vita politica e sociale non vi è stato un impegno delle istituzioni culturali e una forte coscienza civile della grande maggioranza degli intellettuali, che pure sono cresciuti continuamente con lo sviluppo del lavoro qualificato e di settori come quello informativo e dell'istruzione pubblica.
Non è quindi un caso che la legislazione italiana relativa alla formazione sindacale sia praticamente assente. Tra i sei paesi da noi esaminati, solo i sindacati italiani non godono di permessi retribuiti, tutelati dalla legge, per partecipare ad attività di formazione sindacale; i permessi retribuiti in alcuni casi riguardano tutti i lavoratori, mentre dovunque esistono per chi svolge attività sindacale a partire dai membri dei comitati di impresa, con un numero di ore più o meno esteso e con la possibilità in più di un paese di usufruire di permessi ancor più ampi per chi svolge la propria militanza sindacale come formatore. In Italia non solo non esistono i permessi retribuiti per la formazione sindacale, ma non esistono formalmente neppure i permessi non retribuiti: si finisce così spesso per utilizzare in maniera distorta gli articoli 30 e 31 dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Non è quindi un caso che, nonostante le organizzazioni sindacali italiane abbiano tutt'ora un tasso di iscrizione certamente non paragonabile a quello svedese ma pur sempre buono, con centinaia di migliaia di lavoratori impegnati a livello di impresa e territoriale, non è un caso che le attività di formazione di base siano sempre state scarse anche nei periodo di maggiore mobilitazione.
Sempre tra i paesi esaminati, solo in Italia non esistono forme di sostegno alla formazionesindacale. In alcuni paesi vi sono contributi appositi alla formazione svolta dai sindacati, in altri le forme di sostegno sono più in generale all'educazione permanente e degli adulti a cui accedono anche i centri di formazione sindacale; ed in genere si tratta più di contributi ad attività effettivamente svolte che stanziamenti generici, di cui è difficile controllarne il corretto uso. In Italia non esistono né gli uni né gli altri, mentre oggi non è pensabile di poter svolgere, sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo, attività formative all'altezza delle esigenze e dei bisogni che sono da tempo in campo basandosi solo sull'autofinanziamento. É da considerare del resto che ai sindacati italiani si pone un problema di riordino delle entrate dirette o indirette non provenienti dalle quote degli iscritti. Da questo punto di vista è meglio ricevere dei contributi per precise attività svolte, facilmente quantificabili e controllabili e che, come nel caso dei patronati, possono andare a centri di servizio le cui attività rimangono anche formalmente distinte da quelle di rappresentanza sindacale, evitando così commistioni che finiscono per istituzionalizzare e burocratizzare il sindacato.
Infine non si può non giudicare favorevolmente il legame che esiste in diverse forme in alcuni paesi - come Gran Bretagna, Francia e il Belgio - tra scuola pubblica, università e organizzazioni sindacali. Se le attività formative e di ricerca organizzate direttamente dal sindacato hanno un ruolo insostituibile nell'alimentare e socializzare l'elaborazione politica del sindacato, la collaborazione con l'università è essenziale per la formazione tecnica e scientifica, che è oramai necessaria a un quadro sindacale, che non solo ha conquistato più diritti di intervento, ma che si deve muovere in un quadro sempre più complesso. Questo tipo di formazione sarebbe inoltre uno stimolo costante all'innovazione per l'università e per la scuola.
Se il ritardo italiano nel settore dell'educazione permanete e degli adulti ha una storia lunga e origini lontane, con un'insensibilità che coinvolge le stesse organizzazioni sindacali, negli ultimi quindici anni nel generale malgoverno del paese questo ritardo si è venuto accentuando e investe l'insieme del sistema formativo. Dalla costituzione della Repubblica democratica ad oggi vi sono stati provvedimenti di riforma significativi per la scuola dell'infanzia, le elementari e le medie inferiori, mentre l'ordinamento degli studi superiori è rimasto sostanzialmente immutato; così oggi l'Italia non è solo il paese che ha il numero di anni di obbligo scolastico più basso di tutta la Comunità europea, ma tra i paesi con eguale livello di sviluppo e economico ha il minor numero di diplomati e laureati, con un elevatissimo tasso di abbandoni sia nella scuola media superiore che nell'università. In particolare penalizzata è la formazione professionale, confinata ad essere da sempre una scuola minore e di serie b, non l'anello di congiunzione tra scuola e lavoro[18].
Contrariamente ad un luogo comune diffuso la nostra tradizione culturale e la nostra scuola sono state molto meno influenzate di quanto si pensi dalla cultura umanistico-rinascimentale, nella quale era presente un circolo virtuoso pratica-teoria-pratica che non fu proprio solo dei grandi artisti-scienziati come Leonardo, ma ad esempio anche di pensatori politici come Machiavelli. In realtà è continuata a prevalere in diverse forme quella cultura astratta e formalistica propria di classi dominanti improduttive, per le quali il sapere tecnico era cosa umile che apparteneva alle classi subalterne. Se la legge Casati del 1859 recepiva in parte l'esperienza del Lombardo-Veneto dove il legame tra istruzione professionale e istruzione superiore era più stretto, rimanendo comunque ben lontani dalle "grandes écoles" francesi che avevano dietro la cultura dell'"Encyclopédie des sciences, des arts et des métiers" di d'Alembert e Diderot, in realtà già con la Casati vi fu un'emarginazione della formazione professionale, che con la riforma Gentile del 1923 si accentuò ancora di più. Questo mancato collegamento tra scuola e lavoro, che è un aspetto del più generale distacco tra intellettuali e popolo in Italia, è all'origine di molte arretratezze nell'ordinamento degli studi superiori e universitari, e interagisce anche con il ritardo della formazione sindacale. In realtà oggi in più di un paese europeo la formazione sindacale fruisce della legislazione più generale dedicata alla formazione professionale degli adulti. Anche da noi non è pensabile si possano distinguere nettamente le due cose, sia per problemi di merito che di forma: di merito perché le questioni tecnico produttive non sono separabili da quelle di politica sindacale, di forma perché non si può pensare ad una proliferazione legislativa per i diversi settori della formazione degli adulti e in particolare dei lavoratori.
Formazione sindacale e innovazione.Un'ultima considerazione, che scaturisce dalla nostra ricerca, prima di passare alle proposte. Diverse ricerche ci confermano che i bisogni formativi non diminuiscono con l'elevamento dei livelli di istruzione, ma al contrario crescono. Come si è ben espresso con noi Roger Cantigneau, responsabile formazione sindacale della Confederazione dei sindacati cristiani belgi, con l'elevamento dei livelli di istruzione oggi i lavoratori non accettano più di seguire le indicazioni dei gruppi dirigenti del sindacato senza discuterne a fondo le ragioni, è inoltre impensabile un maggior ruolo degli organismi di rappresentanza aziendali senza fornir loro gli strumenti culturali e informativi necessari. L'esperienza belga è esemplare per capire l'incidenza della formazione nell'innovazione e nella crescita della vita democratica nel sindacato. La Csc ha curato con particolare attenzione la formazione sindacale negli anni che abbiamo alle spalle, sia attraverso una forte crescita della struttura che nel sindacato si occupa della formazione, come attraverso il Ciep, il Centro d'informazione e di educazione popolare del Moc, il Movimento operaio cristiano di cui la Csc è parte. Il Ciep è una struttura di formazione e ricerca per l'insieme del movimento sociale cattolico, a cui fanno capo l'Isco (l'Istituto superiore di cultura operaia) e la Ftu (la Fondazione lavoro università). L'Isco svolge corsi quadriennali (di 600 ore l'anno) sui temi economici, sociali e politici, nelle diverse zone del paese, utilizzando in parte i permessi retribuiti (240 ore l'anno). La Ftu, svolge un lavoro di ricerca e di raccordo con l'università. Per avere un'idea della dimensione di questo lavoro si pensi che i formatori coinvolti (pagati attraverso i contributi previsti dalla legge sulla formazione permanente) sono circa 500. Terminato questo lungo corso con un anno dedicato ad una tesi relativa al campo di intervento di ogni allievo, chi lo desidera può proseguire i propri studi nella Fopes, (la Facoltà aperta di scienze politiche, economiche e sociali) presso l'Università cattolica di Louvain-la-Neuve, fondata per iniziativa della Ftu e con un consiglio di amministrazione in cui è rappresentata sia l'Università che il Moc. I risultati di quest'intenso lavoro culturale e formativo che coinvolge sia i quadri che gli eletti, già da quando sono candidati, nei consigli di impresa, si può dire che si vede: la Csc è in continua crescita negli ultimi anni, partita da posizioni minoritarie oggi ha sopravanzato la Ftgb socialista, un tempo largamente maggioritaria. Ftgb ha a lungo trascurato le attività di formazione sindacale e solo recentemente ha cominciato a recuperare un ritardo, sia per la qualità che per la quantità delle attività svolte, oramai notevole rispetto alla Csc.
Il caso della Csc e della Ftgb è molto interessante perché permette di mettere in evidenza sia l'importanza delle attività culturali, formative e di ricerca, sia come queste attività possano crescere e svilupparsi solo se vi sono una serie di sinergie e di condizioni. Per poter impostare il ragionamento occorre ricordare che da un lato la Csc è parte, importante ma parte, del Moc, che organizza l'associazionismo sociale del "pilot" cattolico vicino alla tradizione del movimento operaio; vi confluiscono oltre ai sindacati le mutualità - importanti in Belgio perché gestiscono concretamente le strutture sanitarie - la cooperazione, la Joc (Jeunesse ouvrière chrétienne, la Gioventù operaia cristiana), Vf (Vie féminine, l'associazione femminile), Ep (Equipes populaires, i Gruppi popolari che svolgono un'importante azione di animazione culturale nel paese), l'Ong di cooperazione internazionale legata al Moc, e infine altre strutture di servizio. Le strutture formative e di ricerca - il Ciep, l'Isco, la Ftu e la Fopes - sono al servizio non solo del sindacato, ma di tutte queste strutture associative che fanno capo al Moc. La Ftgb invece è parte del movimento socialista, l'altro "pilot" della società belga, che ha al suo interno una serie di associazioni democratiche simili e corrispondenti a quelle che abbiamo elencato per il Moc. Occorre a questo punto sottolineare che l'area nella quale è storicamente iniziata un'attività di formazione all'impegno sociale e politico è quella socialista, che a lungo ha detenuto nel movimento operaio un'egemonia sul piano politico-culturale. Nel 1911 il Partito fonda la Centrale di educazione operaia e nel 1921 la Scuola superiore operaia . L'egemonia socialista costruita nell'anteguerra, aveva il suo punto di forza nell'aver saputo edificare delle vere e proprie istituzioni culturali, capaci sia di raggiungere i militanti socialisti impegnati nelle diverse organizzazioni, che di costituire un punto di riferimento, di aggregazione e di crescita degli intellettuali che facevano riferimento alla cultura socialista. In misura diversa i partiti, socialisti o comunisti, sorti dal movimento operaio hanno avuto la caratteristica di essersi fatti "chiesa a se stessi"[19], non sono cioè stati solo sostenitori di un determinato programma politico-economico e sociale, ma anche di una determinata visione del mondo: il partito era cioè anche un punto di riferimento e di elaborazione culturale. I diversi partiti democratico cristiani europei, e gli stessi partiti borghesi, hanno sempre avuto un compito più limitato: non hanno mai costituito un punto di riferimento dal punto di vista culturale, si limitavano ad un compito di mediazione e direzione politica, che aveva come punto di riferimento una cultura che si elaborava altrove, in particolare nella Chiesa e nel movimento cattolico per i democratici cristiani, in altri circuiti, economici e culturali, per la cultura borghese[20]. Questo farsi "chiesa a se stessi" dei partiti sorti dal movimento operaio, ha evidentemente delle sue ragioni storiche: rappresentavano classi subalterne che si affacciano per la prima volta sulla scena politica, che nelle strutture di difesa economica e sindacale avevano il loro punto di forza e che non avevano una loro armatura culturale; mentre contemporaneamente scarsa era la loro influenza nelle struttura e culturali tradizionali, pubbliche e private. Finché i partiti operai hanno svolto storicamente un ruolo di opposizione e minoritario questo essere chiesa e partito contemporaneamente è stato un elemento di forza, ma quando hanno cominciato a svolgere un ruolo politico rilevante o sono andati alla guida dello stato, il problema si è complicato terribilmente. Così nell'Urss il marxismo da metodo critico di analisi della storia e della società, da orientamento e movimento culturale era diventato una filosofia di stato, e attraverso questa commistione tra potere e cultura non solo si è finito col pretendere di imporre con la forza ciò che solo può essere accettato liberamente dalla coscienza, ma si è anche decretato la morte del marxismo come pensiero in quei paesi, perché quest'ultimo può crescere solo nella libertà, avendo come unico vincolo la ricerca della verità, la comprensione della realtà. Nei paesi occidentali con una consolidata tradizione laica dello stato, che attraverso un processo secolare ha portato appunto alla separazione tra stato e chiesa, l'uscita da posizioni minoritarie e l'accesso al governo di questi partiti ha portato ad esiti diversi. La stessa azione dei partiti del movimento operaio ha fatto crescere nelle diverse aree culturali la sensibilità ai problemi da essi sollevati, sono così nate sia forme di liberal-socialismo che di cristianesimo sociale, determinando su obbiettivi concreti e programmi, non sulle visioni del mondo, convergenze prima impensabili. Questo ha portato a forme di unità di azione e collaborazione, in particolare in quelle associazioni della società civile che di obiettivi più settoriali e concreti fanno la loro ragion d'essere; com'è il caso del sindacato, ma oggi anche dell'associazionismo e del volontariato. Tutto ciò ha avuto come conseguenza l'affermazione di una maggiore autonomia delle organizzazioni della società civile rispetto ai partiti; ma anche la laicizzazione dei partiti, che hanno assunto sempre di più le scelte politiche come punto di riferimento per aggregare vasti schieramenti, contrariamente a visioni del mondo che finiscono per separare. A causa di questo processo, che ha avuto ed ha tempi diversi nei diversi paesi, i partiti originatisi nel movimento operaio hanno finito per non esser più un punto di riferimento culturale.
Concretamente, nel caso belga nel secondo dopoguerra la Ftgb in nome dell'unità d'azione con il sindacato cristiano e dell'autonomia sindacale, smise di mandare i propri militanti alle scuole di partito. Simile decisione assunsero le mutualità, ecc. Così quella struttura di formazione senza più utenti, costituita da una sede e da un coordinamento centrale con radici locali, ha finito per trasformarsi in una struttura di animazione culturale tutt'oggi presente nel paese. Sola eccezione in questo contesto è costituita dalle Fiandre, dove il Partito socialista ha mantenuto in parte una propria struttura formativa, ma qui non ha caso il partito è largamente minoritario e all'opposizione. Nella Ftgb per un lungo periodo nulla ha sostituito quelle attività di formazione che venivano a cessare, solo nel 1976 la federazione si è dotata di una propria struttura di formazione e ricerca, trasformata in istituto nel 1990, che comunque svolge solo corsi di base. Mentre il Partito socialista dell'area francofona, tradizionalmente maggioritario, tutt'ora non organizza, né direttamente né indirettamente, neppure per i propri iscritti e militanti, delle attività formative; a differenza di quanto avviene nei partiti dell'area socialdemocratica, ma anche in quello laburista, per molti versi omogenea a quella belga. In questi partiti ci troviamo però di fronte ad una tradizione più laica: le attività formative e culturali non sono gestite da tempo dal partito, ma da fondazioni o associazioni culturali autonome, in alcuni casi vicine al partito, in altri appartenenti sì all'area culturale della sinistra, ma unitarie e non dipendenti né dai partiti, né dai sindacati[21]. Bisogna dire che i risultati negativi della mancanza di un'attività culturale organizzata si vedono sia nel partito che nel sindacato, sia dal punto di vista della capacità di innovazione politico culturale, come, in particolare per il partito, nell'indebolimento del codice etico che lega base e vertice e che motiva ad un impegno per il bene comune. Non è probabilmente un caso che partiti come quello socialista belga, e ancor di più quello italiano, che dal dopoguerra hanno rinunciato a promuovere attività formative e culturali che tenessero costantemente vive le ragioni di un impegno politico non di breve respiro, siano stati infine investiti da fenomeni di arrivismo e corruttela. Il processo che si è vissuto all'interno del Movimento operaio cristiano rispetto al rapporto cultura-politica è stato opposto a quello vissuto nell'area socialista. La conquistata autonomia da un partito che certamente non si era mai fatto "chiesa a sé stesso" e che non aveva mai costituito un punto di riferimento culturale, ma un vincolo di carattere politico, insieme all'esistenza di un ricco retroterra di strutture culturali nell'ambito del movimento cattolico, hanno permesso al Moc di sviluppare a partire dalla fondazione dell'Isco nel 1962 un'attività formativa che a quei livelli non aveva mai svolto né per quantità, né per qualità, proprio mentre le strutture di formazione ed elaborazione del movimento socialista subivano un'involuzione.
Dall'esperienza belga si possono ricavare alcuni utili insegnamenti:
- Che un'attività di formazione e di ricerca di carattere politico-culturale cresce e si alimenta se si tratta di un'esperienza aperta, che mette assieme e confronta diverse esperienze, pur all'interno di una comune ispirazione culturale; la dispersione e la frammentazione penalizzano e bloccano lo sviluppo di attività formative e culturali, sia per la dispersione delle risorse, sia perché viene a mancare quella visione d'insieme che è il centro di una formazione di carattere politico-culturale.
- Che è essenziale per le strutture che si occupano di formazione e ricerca nell'ambito delle associazioni di impegno sociale e politico di poter godere di una propria autonomia. Se l'identificazione con un'area culturale e sociale è la ragione prima di esistenza, la stretta dipendenza da un organizzazione finisce o col far dipendere il lavoro culturale da interessi e scelte che la snaturano, oppure può portare alla cessazione di qualsiasi attività di carattere culturale. Ciò non significa che le organizzazioni non possano o non debbano gestire direttamente delle attività formative o di ricerca, ma che queste, al di là di alcune congiunture favorevoli, non riescono generalmente ad andare oltre a doverose attività di carattere limitato e propedeutico.
- Che queste attività sono essenziali se si vuol far crescere la democrazia ed innovare costantemente le strutture e le associazioni di partecipazione, pena un loro svuotamento sia di carattere etico che di capacità di rappresentanza.
É infine utile sottolineare che se la vicenda belga è esemplare, essa in effetti trova conferma nelle diverse e peculiari esperienze dei paesi esaminati, da quella italiana a quella svedese, come la lettura dei saggi contenuti in questa ricerca può agevolmente confermare.
Quale formazione e ricerca ?
In genere nel corso del nostro lavoro ci siamo limitati ad esaminare le caratteristiche delle strutture formative e di ricerca collegate al sindacato nei paesi da noi esaminati, ne abbiamo fatto la storia ed abbiamo esaminato la legislazione di sostegno a queste attività. Abbiamo ovviamente anche fornito sia informazioni sulla struttura sindacale che cenni sulla storia del sindacato per poter inquadrare le informazioni relative alla struttura di formazione e di ricerca.
Non abbiamo in genere esaminato con attenzione programmi e metodi delle attività svolte, la cosa non solo era al di fuori dei fini che ci eravamo preposti, ma avrebbe richiesto per quest'approfondimento risorse di cui non disponevamo. Ciò non significa che non ci interessi ragionare su cosa significhi oggi fare della formazione sindacale, quanto debba essere una formazione diffusa o una formazione dei quadri, quanto debba essere una formazione politica o un formazione tecnica e professionale. Ci sembrava già un obiettivo sufficiente dimostrare che esiste una relazione stretta tra partecipazione sindacale e formazione sindacale, tra tenuta e rinnovamento del sindacato e lo svolgimento costante e organizzato di attività di formazione e di ricerca. Ci sembra che questo risulti confermato sia dalla comparazione tra i diversi paesi, come dalle vicende interne a ciascun paese. Infine ci premeva di mettere in evidenza il ritardo italiano in questo campo: sia per quel che riguarda le attività svolte, che per la mancanza di un quadro legislativo che ne possa permettere lo sviluppo. Infine non si può non sottolineare anche il ritardo dello stesso sindacato, non solo nell'intraprendere delle iniziative, ma prima ancora nel percepirne la gravità di questo vuoto.
Sull'importanza che secondo noi assume la formazione e la ricerca sindacale, e sulle caratteristiche che debbono avere le attività di formazione e di ricerca nella vita delle organizzazioni democratiche, tra le quali il sindacato certamente ha un ruolo di rilievo, non è nostra intenzione di dilungarsi qui. Ci limitiamo, sia per quel che riguarda le iniziative che è necessario intraprendere nel nostro paese, che per il ruolo e le caratteristiche delle attività di formazione e di ricerca svolte nelle strutture di partecipazione democratica, a citare alcuni brevi brani della Carta d'intenti dell'associazionismo e del volontariato per la crescita della cultura della partecipazione e della solidarietà,che riportiamo del resto in appendice e che vi invitiamo a leggere. Sono solo poche battute, riferite all'associazionismo e al volontariato, ma che calzano a pennello anche per il sindacato e che ci ricordano non solo l'importanza che per la democrazia hanno queste attività, ma anche il valore innovativo che esse rivestono per la stessa struttura formativa e di ricerca "ufficiale":
La partecipazione consapevole necessita di occasioni di formazione, di autoformazione, di ricerca, a partire dalle attività concretamente svolte dalle associazioni e rispettose delle esperienze e delle sensibilità personali.
Se l'esperienza di volontariato ha già in sé una valenza formativa e di crescita culturale, occorre ribadire che esiste uno specifico formativo, e ambiti specifici per la ricerca, che devono essere organizzati in relazione stretta con i gruppi di volontariato, ma avere anche un'autonomia di gestione e organizzativa. Altrimenti travolti dalla pressione delle esigenze immediate si finisce per invocare continuamente la necessità di formazione e ricerca senza praticarle.
Al volontariato non serve una ricerca e una formazione già predefinita da ricercatori e formatori: occorre ricerca e formazione partecipata, che segua un itinerario di azione-ricerca-formazione-azione. La formazione non può seguire un'impostazione di carattere "militare", che cala metodi e contenuti decisi altrove e dall'alto; né può essere semplicemente concepita come una trasmissione di saperi nell'ambito delle discipline tradizionali. Occorre incentivare processi di autoformazione, di riflessione critica e creativa: a partire dalle esperienze svolte da ciascun gruppo e dai progetti di intervento. É questa un'esigenza imposta non solo da ragioni di democrazia, perché in una società complessa occorre una partecipazione intelligente dei singoli soggetti individuali e collettivi.
La formazione non è separabile dalla ricerca, deve essere preceduta dalla ricerca e deve essere ricerca e verifica essa stessa, attraverso un'immersione e un tirocinio nella realtà che si deve affrontare. La formazione deve stimolare imprenditività sociale, che coopera, ma se occorre anche confligge, con istituzioni e soggetti che operano sul territorio.
Occorre una formazione di base, diffusa, e di "quadri"; che deve essere sia formazione tecnica, tesa a creare concrete capacità di intervento nel proprio settore, come formazione politica. Finalizzata cioè alla conoscenza: del contesto sociale e politico nazionale e internazionale, degli altri soggetti sociali e istituzionali, delle politiche sociali e del quadro legislativo. La formazione è sì una risorsa per i gruppi e per le organizzazioni, ma occorre ribadire che è innanzitutto un diritto delle singole persone per una partecipazione critica e consapevole e per una crescita e adeguamento delle proprie capacità professionali, che quindi deve comunque prevedere accesi di carattere individuale.
Di volta in volta occorre stabilire un "contratto formativo" condiviso dai soggetti coinvolti".
"La formazione di adulti legati alla partecipazione, volontari o professionali, è caratterizzata da una elevata complessità, che rende improduttivo l'insegnamento cattedratico tradizionale: occorre cioè partire dalle specifiche realtà e problematiche nelle quali opera quest'alunno un po' atipico. L'insieme di questi fattori impone uno stile particolare di "formazione partecipata" in cui ricerca, formazione e operatività sul campo sono strettamente intrecciate in un processo di formazione-azione e ricerca-azione. Qui cioè si attua ai livelli più consapevoli il rapporto educativo, nel quale del resto ogni scolaro è sempre maestro e ogni maestro è sempre scolaro. Si tratta quindi anche di attività che hanno un elevato valore innovativo, un laboratorio permanente per la struttura formativa e di verifica sul campo per la ricerca, nel quale un flusso continuo di conoscenze che emergono dal sociale si incontra con le discipline tradizionali. Un laboratorio nel quale si inventano anche nuovi approcci a figure professionali consolidate".
Riferimenti bibliografici
Oltre ai testi e ai documenti citati nelle note, per la stesura della presente scheda si sono inoltre consultati:
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La Carta, infine, costituisce non solo una proposta per il Terzo settore, ma anche a tutto il Paese e in particolare alle altre associazioni democratiche; in particolare le organizzazioni sindacali con cui il confronto è stato aperto sin dall'elaborazione del documento.