I Centri di Servizio per il Volontariato. Una riflessione.

Autore: 

Nino Mantineo

Ad oltre dieci anni dallo loro costituzione i Centri di servizio del volontariato possono e debbono riflettere sulla loro esistenza, sul loro ruolo e funzione. Ciò si deve fare non costretti dalla crisi finanziaria che incombe - dalla quale non si esce con i provvedimenti adottati dal Governo, né quello nazionale né quello dell’Unione - e che determina un ridimensionamento delle risorse che le Fondazioni bancarie destinano, ai sensi dell’art. 15 della legge sul volontariato. Se fosse solo questo l’elemento che determina una presa di coscienza, che riteniamo necessaria, ci si muoverebbe in un orizzonte molto limitato e condizionati dalle contingenze che non aiutano a analizzare per progettare.

La vita e la crescita dei Centri di servizio è diversificata sul territorio nazionale e varia secondo i tempi, le modalità e la diversa disciplina delle Regioni  chiamate a dare attuazione alla legge-quadro sul volontariato del 1991.

A tal proposito, vorrei offrire qualche elemento di riflessione, a partire dal contesto in cui opero, una città “provincia” dell’Impero, ove la previsione della istituzione dei Centri di Servizio era contenuta solo nella legge n. 22 del 1994: solo allora la Regione Sicilia aveva disciplinato sul volontariato, alla luce della legge-quadro, prima richiamata. Si dovette attendere altri sei anni, però,  perché fossero istituiti ed avviassero le loro attività i Centri di servizio nelle tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina. E’ eccessivo riferire di una condizione “da provinciale” per  qualificare di quello stato d’animo con il quale si avviò la vita del Centro, avvertito come marginale rispetto al cuore pulsante della finanza, delle fondazioni bancarie presenti e diffuse in quei territori ove maggiore e frequente è lo scambio di beni, servizi e conoscenze e dove tradizionalmente gli istituzioni finanziari e con essi le fondazioni hanno concorso alla crescita civile ed economica delle comunità? Allora come ora, ci appare un sistema  ben strutturato, con i suoi manager, i suoi collegamenti con la politica, la capacità di concorrere e di determinare, in buona parte, l’indirizzo delle scelte economiche e finanziarie. Da tutto questo eravamo molto distanti e non solo fisicamente, in quanto la concezione pauperistica - che è comune a molti responsabili di organizzazioni sociali, quasi sempre subita e solo qualche volta frutto di una opzione etica, era, senza dubbio, frutto di una lettura troppo rigida, al limite dell’intolleranza, della concezione cattolica, ed alimentata da condizionamenti politici - ci faceva apparire il denaro come elemento che può corrompere o, quanto meno, compromettere. Si, stiamo estremizzando per descrivere un sentimento avvertito in molti della mia generazione che hanno ritenuto mammona inconciliabile con giustizia sociale e democrazia egualitaria. Forse, anche queste confidenze possono aiutare a comprendere come un Centro di servizio del Sud, povero di risorse pubbliche e private destinate alle politiche sociali, che interpretavano i volontari ed i volontariati come stampelle per un sistema ed amministrazioni deficitarie, si sia sentito nel suoi primi anni di attività come avvantaggiato rispetto al territorio in cui era impegnato ad operare, utilizzando delle risorse che venivano erogate da quelle Fondazioni che poco erano parte della nostra cultura giuridica, ma, ancor di più, sociale.

Lo stato d’animo appena descritto, in particolare quello di ritenersi  collocati in un contesto già di per sé difficile, serve per comprendere come uno dei primi atti politici adottati dal Centro di Servizi di Messina fu quello di aderire al Collegamento dei Centri di servizio con sede a Roma, che rappresentava per noi il luogo di confronto per radicare la nostra giovane struttura in città, non rendendola vulnerabile dalle pressioni esterne, quelle della politica, in particolare; e, secondo obiettivo altrettanto chiaro, quello di entrare in relazione con la rete complessiva dei Centri di servizio sparsi in Italia per arricchirsi del confronto con realtà diverse e lontane. Così, un centro del sud guadagnava “cittadinanza piena” nel rapporto con il Nord e con le aree più ricche.

Cosa hanno rappresentato questi anni nella vita del Centro di cui sono Presidente e del quale sento di portare una grande responsabilità sociale? E cosa dell’esperienza nell’organismo CSV.net che ha raccolto l’eredità di quella prima forma di collegamento ?  

Due elementi vorrei qui porre in evidenza per facilitare uno scambio e una riflessione, che è ancora agli inizi e che richiede un confronto il più ampio possibile. Quanto all’esperienza di Messina ritengo che - nella crisi generale cui abbiamo assistito in questi dieci anni e che hanno significato una riduzione drastica e drammatica dei servizi alla persona e dei servizi sociali – il Centro sia diventato un punto di riferimento nell’opinione pubblica locale per definire ambiti, spazi, prospettive del welfare municipale: un welfare deficitario, insoddisfacente, di tipo assistenziale, quello della nostra città e della Regione Sicilia, ma tant’è: abbiamo agito in anni ove le esperienze più significative di welfare sociale sono state ridimensionate dai minori investimenti. Se a ciò si unisce il ritardo grave delle amministrazioni locali di molte città del Sud, e fra queste di Messina, condannata all’immobilismo, mentre si ripropone la chimera della megaopera e si distrugge il territorio, senza porlo in sicurezza, allora si può comprendere come si agisca con il volontariato e per il volontariato per alzarsi faticosamente da una condizione di arretratezza sociale ed economia, da ultimi posti. Il secondo elemento, collegato al precedente, è relativa alla dimensione culturale assunta e di agenzia formativa di cittadinanza attiva, assunta dal Centro. Certo questa dimensione politica l’ha guadagnata anche perché  tra i  propri soci, l’Associazione Cesv di Messina, fin dal suo atto costituivo, ha annoverato oltre che le organizzazioni di volontariato, cui per legge debbono essere erogati i servizi, a cura del Centro, l e associazioni di promozione sociale e, in numero ridotto ma non per questo con un ruolo minoritario, le cooperative sociali. Anche questa era stata una scelta, in parte osteggiata in ambito regionale, allo scopo di rendere concreta e visibile l’alleanza circolare tra i diversi soggetti del terzo settore, senza la quale un rinnovamento del ruolo politico del volontariato, sarebbe impresa ancor più ardua, quasi impossibile.

Non vogliamo con ciò ricadere nel falso problema di un ruolo politico del Centro che avrebbe soppiantato e si sia sostituito ad una funzione (che è) propria del volontariato. Perché tale dimensione il volontariato organizzato l’ha smarrita da tempo, per troppe responsabilità ed omissioni  “interne” e per una perdita di credibilità delle forme di rappresentazione storicamente consolidate, che forse non riescono, seppure lo cerchino, di porsi come soggetto e movimento collettivo. Da ciò non discende che non sia utile ritrovare forme di collaborazione e di rappresentazione condivisa con le grandi rete associative, ma ciò si deve tentare sul presupposto che si ritrovi capacità di leggere i grandi cambiamenti sociali e che si formino forme nuove di rappresentanza, nell’ottica di rendere più partecipate, più trasparenti, più cooperative le sperimentazioni sociali, proprie dei soggetti orientati alla solidarietà sociale e alla rimozione delle cause di ingiustizia sociale.      

Qualche valutazione merita l’altro profilo, prima richiamato: un primo bilancio sulla vita ultradecennale di CSV.net.

Non si vuole in alcun modo incidere nella fase delicata interna di questo organismo. Semmai porre due priorità per trovare le ragioni da coltivare per stare insieme, le quasi ottanta esperienze locali dei Centri di sevizio.

Occorre uscire dalla fase in cui si esaminano le difficoltà correnti finanziarie come fossero quelle che determinano in modo irreversibile il futuro prossimo.

In fondo, i movimenti collettivi si sviluppano se sanno adattarsi ai cambiamenti  e trarre nuovo vigore dalle sfide ambientali.

E’, piuttosto, necessario ritrovare la funzione dello stare insieme nella grande rete che ha senso si mantenga quella di CSVnet, ricercando le ragioni di prospettiva culturale, tali che si percepisca e condivida insieme quale sia la responsabilità sociale che attraverso quel tipo di organizzazione si vuole svolgere.

Non per definire e potenziare la dimensione di lobby, quasi per accampare richieste finalizzate al bene “egoistico e particolare” dei Centri in quanto tali;  né per ricercare le motivazioni tutte “difensive” ed interne che possano giustificare la loro esistenza. Piuttosto, si deve tornare a  leggere ed interpretare  la loro collocazione collettiva, costituita dall’insieme delle esperienze e delle diversità dei Centri, nel contesto sociale e nel loro rapporto con le altre tante esperienze di reti  e di movimenti sociali, per definire i compiti che possano concorrere ad una democrazia partecipata e plurale, come delineata dalla nostra Costituzione e che richiede alla Repubblica – nella sua articolazione non solo istituzionale ma, appunto,  anche pluralistica -  e alle formazioni sociali, e, fra esse, alle organizzazioni di volontariato e alle forme di collegamento fra loro costituite,  lo svolgimento dei  “doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Insomma la ripresa democratica del nostro Paese e la capacità di rinnovare le forme di partecipazione per  offrire risposte in termini di giustizia sociale, di uguaglianza sostanziale, per offrire speranze e futuro alle giovani generazioni, oggi deluse, emarginate ed in “fuga” debbono essere le grandi sfide cui si è chiamati. Non si tratta, quindi, di una scommessa che si può giocare solo nel recinto tutto interno costituito dai Centri di servizio e dalle organizzazioni di volontariato, quali “azionisti di maggioranza”, perché oggi questo mondo deve relazionarsi con un ambiente più aperto che richiede grande slancio e una generosa responsabilità per credere e scommettersi nel cambiamento sociale e politico. Se non noi, chi? E senza di noi, con chi?     

 
 
 

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