Volontariato e TS in Puglia: dall’adattività subalterna al protagonismo sociale e politico

Autore: 

Guido Memo

Premessa

Chi scrive non è né un giovanotto, né uno studioso accademico e le considerazioni che qui scrivo sono nate innanzitutto riflettendo sulle esperienze svolte. Come giovane studente confesso che studiavo molto poco e devo ringraziare l’espansione dei diritti sociali avvenuta in Italia dopo la Liberazione e la Costituzione, altrimenti un bambino come me molto somigliante allora a quelli di cui si occupò Don Milani, anche se vivevo nella periferia milanese, negli anni ‘50 e ‘60 non avrebbe mai avuto accesso agli studi e mai avrebbe imparato a studiare.

Cominciai però a studiare, legandomi alla sedia sull’esempio dell’Alfieri, cercando di capire il “che fare” di fronte alla presa di coscienza di quanto c’era da cambiare al mondo, sono della generazione del ‘68. Da allora quel poco che ho scritto ha questo scopo e così è anche per quel che segue. Partendo dai problemi e dalla promozione delle attività di formazione politica, di formazione alla partecipazione democratica, dall’inizio degli anni novanta ho seguito la crescita del movimento di volontariato e della cittadinanza attiva, che oggi quantitativamente è divenuto una forza sociale rilevante, come l’ultimo censimento del non profit testimonia. Come in tanti hanno rilevato, però quel movimento si è un po’ smarrito o bloccato rispetto alla carica iniziale di innovazione politica e sociale, sino a parlare da tempo di “crisi del volontariato”. Io non credo siano cambiati i valori, le scelte sociali e politiche del volontariato oggi, ci sono tante belle esperienze in Italia e ce n’è più oggi di prima, ma il percorso del volontariato è come quello di chi cammina in montagna fuori dalle mulattiere ben tracciate, si vede con facilità la cima che si vuole raggiungere, ma il cammino è lungo, in salita, il sentiero poi spesso si biforca e non si sa mai bene quale prendere: serve quindi un passo lento guardando bene dove si mettono i piedi e dove si sta andando, lungo il cammino ogni tanto bisogna alzare la testa e vedere a che punto siamo. Quanto ci sia riuscito non so, ma lo scopo dello scritto che segue era quello di richiamare le ragioni di quel cammino, di cercare di capire a che punto siamo rispetto ad un caso regionale, che ho seguito prima un po’ sporadicamente nel ‘95/’96 e d’appresso dal 2001, prima nel promuovere la nascita dei Centri servizi al volontariato (Csv), poi dal 2008 attraverso il percorso di Formazione dei quadri del terzo settore (Fqts), che insieme ad altri abbiamo promosso nel 2007 e che tutt’ora prosegue.

E’ mio convincimento che in questo cammino si pongano da tempo problemi di innovazione degli stessi strumenti di raccordo, rappresentanza e servizio che ci siamo dati, la cui impostazione è ancora troppo ferma all’imprinting imposto dalle esigenze iniziali di far rete tra soggetti diversi e di far emergere alla luce e legittimare, nelle norme e nel senso comune, una nuova forza sociale che andava crescendo. Spero di essere stato sufficientemente chiaro e utile allo scopo che mi ero prefisso.

1. L’emergere del Volontariato come soggetto sociale

E’ solo con gli anni ’70 del ‘900 che si comincia a parlare di volontariato in Italia nel senso in cui lo intendiamo oggi. Il percorso che portò nel senso comune al ribaltamento di significato di quel termine, che prima era stato usato per designare chi partiva volontariamente per imprese di guerra, è cominciato forse non a caso con i volontari accorsi, accanto a vigili del fuoco ed esercito, negli anni ’60 ad aiutare le popolazioni colpite dai gravi “disastri naturali” che colpirono il Paese [1].

Di certo organizzazioni che si basavano su attività svolte gratuitamente dai soci e nell’interesse della comunità esistevano anche prima degli anni ’70, persino secoli prima, basti pensare alle Misericordie o all’Anpas [2]. E’ una storia che affonda le sue radici nelle Confraternite, eredi dei Collegia romani, associazioni di mestiere che avevano funzioni anche di assistenza e come le Misericordie in Toscana si occupavano anche delle esequie dei soci [3].  Nell’Italia dei Comuni si facevano carico di problemi sociali: esemplare il caso del brefotrofio di Firenze, lo Spedale degli innocenti, completato nel 1429 ad opera dell’Arte della seta, ospitato nell’edificio appositamente costruito su progetto del Brunelleschi.

Ma benché presente da secoli nella nostra società, il volontariato solo dagli anni ’70 comincia ad essere un soggetto sociale e con un proprio autonomo profilo, come soggetto principale della cittadinanza attiva, e delTerzo Settore (TS), perché ciò che distingue le organizzazioni di TS è l’essere non per profitto e l’avvalersi del volontariato [4], che si tratti delle Organizzazioni di volontariato (Odv) previste dalla 266/91 o di altre organizzazioni non profit, anzi, sono molti di più i volontari presenti al di fuori delle Odv [5]. Della questione, di una legislazione a “canne d’organo” che separa i volontari, se ne è spesso discusso e ci fu anche un tentativo nell’Osservatorio nazionale del volontariato tra ’96 e ’98 di far maturare un orientamento che considerasse i diversi “Volontariati” e non solo quello della 266/91, ma la presa di coscienza di tutto ciò allora bloccata dai veti corporativi presenti nel movimento è in seguito andata avanti troppo poco [6].

Insomma il problema qui non è stabilire quando sono apparse storicamente le prime forme di volontariato, ma quando hanno assunto una dimensione sociale e una consapevolezza di sé tale da diventare un soggetto sociale riconosciuto [7]. Questo in Italia, ma anche nei Paesi liberal/democratici a capitalismo maturo, avviene sostanzialmente a partire dagli anni ’70. È in quel periodo che vecchie forme di associazionismo non profit presenti nella società italiana, nate nell’ambito del mondo cattolico e del movimento operaio, e nuove, formatesi con i movimenti sociali degli anni ’60, assumono un loro profilo autonomo, senza essere più “cinghie di trasmissione”, articolazioni senza una piena soggettività autonoma di un movimento di carattere politico o confessionale.

Del resto in quegli anni si andò sviluppando anche l’ “autonomia sindacale”, sfociando in un rapporto completamente diverso con i partiti di riferimento, con la rivendicazione e l’esercizio di un ruolo politico autonomo [8].

Quel che è certo è che il volontariato e il TS sono andati continuamente crescendo in questi anni e tutto sembra indicare che andranno crescendo. La Tav. 1 (vedi appendice) che illustra i primi dati del Censimento del non profit ci dà un quadro di forte crescita, crescono gli occupati in maniera consistente e sopratutto crescono i volontari di quasi un milione e mezzo in dieci anni, nonostante gli ultimi quattro siano stati anni di crisi economica e sociale come non la si vedeva dal 1929.

Un incremento che risulta anche da altra fonte per quel che riguarda il volontariato nel periodo 1995/2010 (vedi Tav. 2): qui inoltre si nota una crescita più intensa, quasi doppia delle Odv iscritte a registro (le uniche di cui abbiamo i dati antecedenti il 2010) al Sud, una crescita che però sembra essere del solo mondo delle Odv, mentre così non è per le altre organizzazioni non profit (vedi Tav. 3). L’altro dato importante che possiamo rilevare è che contrariamente al pregiudizio diffuso tra gli stessi volontari, e non solo, le organizzazioni di volontariato, di TS, non profit in generale, sono particolarmente presenti nelle regioni più sviluppate economicamente e con politiche di welfare pubbliche più presenti, di modo che si può dire che il volontariato e il TS non compensano la mancanza di politiche sociali pubbliche, ma si accompagnano a queste politiche interagendo positivamente con esse, né lo sviluppo del TS corrisponde ad una diminuzione dell’intervento pubblico, ma ad un suo ampliamento. È un ampliamento ed una diversa articolazione della sfera pubblica, dove non ci sono solo più istituzioni, ma anche più privato sociale o pubblico sociale. Il dato risulta particolarmente evidente guardando alla presenza delle Odv, delle organizzazioni non profit e dei volontari nelle diverse regioni italiane (vedi Tav. 2), ma forse il fenomeno è ancor più evidente guardando alla presenza dei volontari nell’Unione Europea (vedi tav. 4). Presenza che se confrontata con la spesa pubblica e quella sociale, sia per le regioni italiane come per i Paesi UE (Vedi Tav. 5, 6, 7, 8), risulta ancor più evidente, sfatando inoltre la leggenda metropolitana molto interessata e ripetuta pedissequamente dalla quasi totalità dei media che l’Italia avrebbe sia una spesa sociale eccessiva, come un numero di dipendenti pubblici elevato in particolare al Sud, quando invece siamo i penultimi nell’Europa a 27 per numero di dipendenti pubblici e in particolare la Puglia, è la regione con il più basso numero di dipendenti pubblici per abitanti in Italia. Smentendo inoltre il paradigma, anche qui dominante in maniera interessata e ripreso dalla gran parte dei media acriticamente, che lo sviluppo economico o i provvedimenti per uscire dalla crisi attuale debbano essere relativi al contenimento della spesa pubblica, a crescenti privatizzazioni di servizi pubblici, al contenimento dei salari diretti e indiretti per reggere la concorrenza internazionale. Tutto ciò mentre le aree in Europa e le regioni in Italia che hanno meglio retto in questi anni di crisi e che ci fanno lezione, interessata anch’essa, sono quelle più ricche degli altri e con alti salari rispetto a noi, quelle che hanno investito da anni in welfare, equità, qualità della vita e della convivenza sociale, nonché sulla partecipazione e collaborazione dei cittadini attraverso il volontariato e la cittadinanza attiva[9].

In realtà sappiamo da tempo che c’è una stretta connessione tra sviluppo economico, storia democratica di un territorio e sviluppo del non profit basato sulla cittadinanza attiva. Potremmo dire che si tratta di un processo di carattere strutturale: sappiamo da tempo che mano mano che crescono sia gli spazi di libertà (dal lavoro necessario alla sopravvivenza e la libertà di associazione), come la capacità di associarsi (si pensi alla crescita dei livelli di istruzione [10]), cresce anche la capacità di autorganizzazione della comunità e dei cittadini.

2. Il Volontariato come soggetto politico

L’emergere del volontariato in Italia si accompagna a scelte forti sul piano dell’impegno sociale e dei valori a cui ispirare la propria azione, è una consapevolezza del proprio possibile ruolo politico che sembra quasi una smisurata ambizione, ed è un fenomeno trasversale, proprio sia del volontariato di ispirazione laica che cattolica [11].

Certo un rinnovamento delle forme di partecipazione democratica e dell’impegno sociale si era già avviato con il 68 studentesco e l’autunno caldo operaio” nel ’69, introducendo forme di democrazia diretta o decentrata prima mai utilizzate (si pensi: alla pratica dell’assemblea che rafforza i preesistenti organismi di democrazia delegata che erano presenti sia nelle scuole come nei luoghi di lavoro, ai consigli scolastici, al decentramento amministrativo nelle grandi città, all’istituto del referendum per la prima volta in quegli anni applicato, ecc.). Se quel movimento inizialmente diede luogo anche a forme di organizzazione politica minoritarie e molto tradizionali, quei “partitini extraparlamentari” tutti significativamente falliti, il successivo “riflusso” finì per alimentare forme associative e cooperative “per valori”, per “interessi generali”, che prima in queste forme e dimensioni non esistevano.

Il primo Convegno Nazionale del Volontariato si tiene a Napoli nel ‘75, promosso da Caritas italiana e dedicato a Volontariato e promozione umana: «è l'avvio di una riflessione che porta ad una sempre più incisiva rilevanza del volontariato nella società italiana» [12], ma non si capirebbe, appunto, quel Convegno che avvia una riflessione nuova sul volontariato nel mondo cattolico e non solo, se non si tiene conto di due importanti “fatti” precedenti, come sostenne Luciano Tavazza:

«Il primo era il '68, che aveva portato alla scoperta che tutto è politica non che la politica è tutto, che è follia e che ha portato al partito armato …… Il secondo fatto era il Concilio Vaticano II, con una Chiesa che si rivisita e che, in particolare nell'insegnamento di Paolo VI, comincia a dire che il primo gradino dell'amore non è la carità, ma è la giustizia …… Il volontariato comincia, cioè, a chiedersi quale funziona politica abbia avuto nei primi settant'anni del secolo. Per essere oggettivi, la sua funzione è stata di contenimento del dolore della maggiore patologia sociale che abbiamo incontrato, ma sempre come atto riparatorio. Nessuno, però, si è chiesto come deve essere aggredito il sistema che produce questi mali. Dal '75 in avanti, con la scoperta che tutto è politica, i gruppi incominciano a domandarsi quale ruolo giocano. Cominciano a chiedersi se il loro occuparsi dei poveri fa sì che i politici si occupino ancora meglio dei ricchi. Questa consapevolezza era presente anche prima del 1975, ma non in forma così netta. Essa diventa invece, in quell'epoca, motivo di meditazione nel gruppo e si scopre nella Caritas, che ha aiutato molto questo processo, che o il volontariato ha una dimensione politica, oppure non può neanche essere considerato volontariato, tutt'al più va pensato come assistenza e beneficenza ……. [occorre cioè avere] ben chiara l'idea che l'obiettivo del volontariato non è il contenimento, ma è il mutamento dell'esistente. Mutamento che deve avere le priorità per le fasce deboli della popolazione. ….. Questo per domandarsi oggi: dov'è la più alta lesione dei diritti di cittadinanza? E lì ristabilire i diritti. Ma, ristabilire i diritti significa assumere un volontariato che corre su un binario, finalmente, non più sulla monorotaia della sola generosità e dedizione. Un binario che è composto di testimonianza e rimozione delle cause. La rimozione delle cause implica la dimensione politica, perché non è possibile attuarla nella casa del volontariato, ma bisogna cercare un rapporto nuovo con le istituzioni, con le forze del terzo settore, occorre creare una strategia delle alleanze” [13].

Ma tra la scoperta della dimensione politica e la capacità di praticarla svolgendo un ruolo effettivamente efficace c’è una qualche differenza. Ci si provò, un po’ timidamente, nel 1993 con la Costituente della strada [14], ma fu una breve stagione. La cultura neoliberista era già trionfante, il mondo del lavoro diviso, le nuove organizzazioni sociali “per valori e beni comuni” impreparate nel loro insieme a fare effettivamente da battistrada in quella direzione, anche se si intuiva con chiarezza la nuova funzione che quel mondo avrebbe potuto svolgere. Andò meglio con la prima, e a mia memoria unica, manifestazione nazionale delle organizzazioni del TS. Effettivamente fu una grande manifestazione che si snodò da Piazza della Repubblica a Piazza del Popolo, con la partecipazione di alcune decine di migliaia di persone [15] che si svolse il 29 ottobre 1994, con il manifesto che la convocava potremmo datare la nascita del TS come soggetto nazionale unitario consapevole di sé:

«Negli anni ’80 associazionismo, volontariato e cooperazione sociale hanno costituito una frontiera di resistenza contro il dilagare della questione morale, di una cultura e di comportamenti improntati all’individualismo sfrenato, al consumismo, all’economicismo, all’egoismo. Proprio negli anni ’80 è emersa in vaste aree sociali una crescita di soggettività del cittadino comune, una maggiore disponibilità e propensione ad organizzarsi in maniera autonoma dalle tradizionali forme politiche e nonostante i limiti e le carenze dello Stato sociale. Promuovendo la solidarietà, la responsabilità individuale e collettiva, essi non si sono posti a difesa del vecchio modello assistenziale e caritativo. Tra limiti e difficoltà che certamente possono essere rintracciati nella loro azione, questi soggetti hanno fatto avanzare una ricerca e una pratica diffusa volte a rinnovare le culture di solidarietà, dei diritti, della partecipazione, così da costruire una nuova dimensione dell’impegno civile e una domanda di nuova politica scarsamente interpretata dalle vecchie classi dirigenti del paese. Al centro di questo sforzo si sono posti i temi della pace, della convivenza, dell’ambiente, della lotta al razzismo, della solidarietà e della cooperazione internazionale, dell’impegno civile contro la mafia, della tutela dei diritti, della critica solidale dello statalismo e dell’assistenzialismo, delle pari opportunità per tutti i cittadini, della riforma e della moralizzazione della vita politica e istituzionale» [16].

Poco più di due anni e mezzo dopo, il 19 giugno del 1997, anche sulla spinta del successo di quella manifestazione, viene fondato il Forum permanente del TS, effettivamente quella costituzione rappresentò una svolta nella costruzione di un soggetto nazionale di rappresentanza. Se la nascita delle prime leggi nazionali riguardanti il TS avevano ancora visto un ruolo determinante da parte dei partiti [17], le leggi successive (il Dlgs 460/97, la 328/00, la 383/00, l’u.c. dell’art. 118 della Costituzione, la 266/05 sul 5o/oo, ecc.) vedranno invece un ruolo attivo e determinante del Forum permanente del TS. Bisogna poi ricordare che nel 1998 viene firmato il “Patto per la solidarietà” con il Governo Prodi, nel 1999 il Protocollo d’Intesa con il Governo D’Alema, nel 2001abbiamol’ingresso di rappresentanti del TS al Cnel, nel 2006 la costituzione della Fondazione per il Sud insieme all’Acri, l’Associazione casse di risparmio italiane, e a Csvnet, il Coordinamento dei Centri di servizio per il volontariato, che avvia un rapporto stabile con una realtà importante come le Fondazioni di origine bancaria.

Bisogna però dire che questi stessi successi, importanti se consideriamo lo stato di frammentazione prima prevalente tra gli enti di TS, unitamente al peso sempre più rilevante di questo mondo nella vita del Paese, hanno finito anche per mostrare i limiti entro i quali, nel 1997. si costituì il Forum del TS, limiti tutt’ora presenti: il TS è cresciuto numericamente, ha conquistato diversi riconoscimenti legislativi, è diventato un soggetto della vita sociale e politica nazionale e l’abito che fu confezionato per il suo organismo di rappresentanza va oramai da un certo tempo alquanto stretto, anche in relazione alla crisi profonda che attraversa l’Italia da quasi un trentennio, che chiede anche al TS di dare un contributo per uscirne.  

3. L’eclissi della politica e la finanziarizzazione dell’economia

Certo l’inadeguatezza delle forme di rappresentanza e di soggettività politica del TS non sono frutto di sciatteria, rilevare limiti e inadeguatezze è facile, sono di per sé evidenti, un po’ più complesso costruire un’alternativa in un’epoca in cui in crisi è la politica stessa e la capacità di governare i processi sociali ed economici.

Viviamo in un’epoca paradossale: le capacità scientifiche e tecniche in ogni campo si sono enormemente accresciute; disponiamo di strumenti di intervento sulla natura che ci circonda, ma anche sulla società prima sconosciuti; il livello di istruzione e culturale si è enormemente elevato rispetto al passato; le fonti di informazione e le forme di comunicazione si sono notevolmente sviluppate; tutto ciò ha determinato in economia il progressivo superamento di forme di produzione meccanicamente predeterminate (l’organizzazione tayloristica del lavoro) e nella vita sociale e politica un grande sviluppo di capacità di autorganizzazione diffusa. E’ un processo che ha messo e mette in crisi progressivamente le forme statuali tradizionali, sia quelle autoritarie e dittatoriali a partito unico dei Paesi più arretrati socialmente ed economicamente, sia le forme di democrazia rappresentativa e delegata degli Stati liberal/democratici più avanzati.

Cresce la cittadinanza attiva non solo nei paesi più ricchi economicamente e di tradizioni democratiche, anche le “primavere arabe” sono frutto di questo lento ma inesorabile processo sociale molecolare. A fronte di tutto ciò però siamo in una fase politica in cui è diminuita di molto la capacità di governare i processi di sviluppo economico e sociale, anzi, il riemergere in particolare dopo l’89 di fondamentalismi identitari, etnici, nazionali e religiosi sembra configurare una vera e propria eclissi della politica come arte e scienza di governo. Il mondo della guerra fredda aveva politiche indubbiamente criticabili, ma erano delle politiche, sia all’Est, come all’Ovest, come nei Paesi non allineati o in quelli in cui erano in atto movimenti di liberazione nazionale. Certo esistevano contrasti e conflitti, che del resto sono intrinseci agli stessi rapporti sociali ed anche ai rapporti internazionali, sia sul piano interno per gli evidenti contrasti sociali che si generano in società così poco eque, sia per l’autoreferenzialità e le politiche di potenza degli Stati nazionali sul piano estero. Nel mondo bipolare c’era un assetto con una qualche capacità di governo dei conflitti attraverso la mediazione tra i due blocchi nell’ambito delle istituzioni internazionali, sul piano economico internazionale attraverso gli accordi di Bretton Woods [18] e sul piano interno con politiche di welfare state sia ad Est che ad Ovest. Diciamo che allora il mondo aveva trovato un suo equilibrio, era una suddivisione in aree di influenza che andava superata, ma ora siamo in una fase di transizione senza un ordine, la potenza egemone, gli Usa, è sempre più in crisi, mentre la prospettiva multipolare non ha istituzioni internazionali adeguate, occorre da tempo una riforma della governance dell’Onu, ma dal punto di vista economico si è smantellata quella che esisteva. Così la politica - che si pone il compito di governare i conflitti, come direbbe il Machiavelli [19], e non ha la pretesa di eliminarli nell’immediato, perché si potranno estinguere, se lo si vorrà, solo sul lungo periodo eliminandone le cause sociali e internazionali - si è eclissata.

Le forme della politica e delle istituzioni che avevano caratterizzato il ‘900 già dietro la spinta sociale della fine degli anni sessanta cominciano ad entrare in crisi. A questa crisi contribuiscono anche i limiti di uno “Stato arcaico” [20], che nel XX secolo è stato chiamato ad evolversi dal Leviatano di Hobbes allo “stato sociale”, inizialmente prevalentemente attraverso funzioni regolative e redistributive e assistenziali, ma in seguito anche di programmazione, coordinamento e gestione di processi sociali ed economici, funzioni che richiedono un rapporto molto diverso dal passato con i soggetti che si muovono nella realtà territoriale e sociale. Non basta più un governo che procede dall’alto verso il basso e dal centro alla periferia, nel quale decide solo l’istituzione e l’amministrazione pubblica, necessita un dialogo ininterrotto, uno “sperimentalismo democratico” [21] e un’ amministrazione condivisa” [22] con chi si muove nella realtà sociale per cercare assieme le soluzioni e per gestire assieme i processi, cose a cui quel sistema istituzionale e politico non era preparato.

E’ in questo quadro di passaggio dal fordismo al post fordismo, che entrano in crisi anche i soggetti politici collettivi che avevano costruito lo Stato sociale, i partiti democratici di massa del ‘900 [23], che servivano ad elaborare la volontà politica e le decisioni che l’amministrazione pubblica doveva applicare, senza alcuna “sussidiarietà orizzontale o circolare” riconosciuta dalle leggi ai soggetti della società civile, che del resto solo negli anni ’70 cominciano a conquistare un proprio ruolo autonomo.

Così lo “Stato sociale”, che pure aveva garantito conquiste sociali e sviluppo economico nei trent’anni gloriosi del secondo dopoguerra, entra in crisi. L’alternativa divenne: o una riforma istituzionale, dei partiti e del sistema politico, capace di porre su basi più allargate ed efficienti il funzionamento dello Stato [24], o una drastica riduzione delle funzioni pubbliche. Come spesso avviene nella storia, poiché l’innovazione è inedita, sconosciuta, poco credibile, per molti un passatempo per acchiappa nuvole, hanno vinto le forze del passato che dalla loro avevano risorse e poche incertezze, è passata la linea da un lato del “- stato + mercato” in economia, e quella della “governabilità” nelle istituzioni, attraverso leggi di carattere maggioritario e una spinta alla personalizzazione della rappresentanza politica, poi significativamente sfociata in forme di populismo plebiscitario. Un modello di regolazione affidato al mercato a cui si deve gran parte dei problemi manifestatisi con la crisi economica scoppiata nel 2008 e tuttora in corso.

E’ così che la spinta neoconservatrice emersa alla fine degli anni ’70 riesce ad avere una credibilità ed affermarsi di fronte alla necessità di riportare ordine in un meccanismo sociale inceppato, che la piena occupazione dei trenta gloriosi aveva generato la grande indisciplina sociale che seguì al ’68 e al ’69 in Italia. Una spinta rinvigorita dalla fine della sfida del socialismo reale e sostenuta dall'entrata nel mercato dell'immenso esercito industriale di riserva dei paesi emergenti, e così in pratica, sia in economia che in politica, abbiamo quasi un ritorno all'epoca vittoriana. La compressione dei salari, diretti e indiretti, che ne consegue è tale che per sostenere l’economia si sviluppa “un’economia a debito” sostenuta dalla moltiplicazione incontrollata della massa finanziaria, mutui per comprare case ad es. in Spagna, ma anche per fare la spesa quotidiana negli Usa. Basta poi poco per inceppare quel meccanismo come avviene nel 2008.

Invece di puntare alla piena occupazione e al benessere delle popolazioni prevale la concorrenza tra le economie nazionali, un ritorno al mercantilismo che già era stato rovinoso tra ‘800 e ‘900 e per far questo vengono smantellate una ad una le forme di cooperazione internazionale, di regolazione dell’economia e della finanza a livello interno e internazionale pensate dai keynesiani [25]. E’ una svolta drammatica per il mondo, ed è in questo clima che non si lavora per rinnovare e migliorare, pensando ai beni comuni, ma a smantellare l’intervento pubblico in economia. È in questo clima che si firmano gli accordi di Maastricht e che in seguito nasce l’euro, con una banca centrale dimezzata, senza vere politiche che puntino al superamento degli squilibri, in una UE che vede subito il Piano Delors accantonato; squilibri che negli anni seguenti si sono accentuati sino ad esplodere dopo la crisi finanziaria del 2008. L’austerità portata avanti dalla UE per uscire dalla crisi è anch’essa figlia di quelle politiche, così la crisi invece di diminuire si prolunga negli anni e si accentua.

4.   Il caso Puglia

La Puglia, non solo per collocazione geografica, è certamente una regione del Mezzogiorno. Condivide con le altre regioni del Sud la storia sociale e istituzionale, prima della formazione dello Stato nazionale e dopo [26], ma ovviamente ha le sue peculiarità. Al di là degli insediamenti industriali, che sono rimasti delle cattedrali nel deserto, dopo i grandi interventi nell’industria di base (siderurgia e raffinazione del petrolio) che non hanno e non potevano creare un indotto, l’economia pugliese è ancora caratterizzata dall’agricoltura e dalla lavorazione dei suoi prodotti. E’ un’agricoltura particolarmente importante, la Puglia è la settima regione italiana per superficie territoriale e l’ottava per popolazione, ma è la prima dal punto di vista agricolo: è di gran lunga la prima per occupati e per giornate lavorate; la seconda per superficie agricola utilizzata totale, ma anche qui la prima per superfici coltivate, se cioè escludiamo i prati permanenti e i pascoli, seguita dalla Sicilia, che però per superficie agricola ed estensione territoriale è la prima regione italiana [27]. Quella pugliese non è, e da molto tempo, un’agricoltura di sussistenza: dalla Puglia, senza andare alla produzione dell’olio lampante che nell’Impero arrivava sino a Roma come testimoniano i tanti olivi secolari, si esporta olio d’oliva e vino verso il Nord Italia e l’Europa almeno dall’inizio dell’800, si veda l’interessante vicenda che vide protagonista il fratello di Garibaldi che da Nizza viene a Bari nel 1815 per commerciare in olio di oliva e contribuire al rinnovamento dei metodi di coltivazione e lavorazione [28]. Se c’è stato un mutamento negli ultimi anni è nella crescita in quantità e qualità delle produzioni, con oli e vini non più da taglio. Non è casuale che la Puglia sia l’unica regione meridionale che dà vita nel ‘900 a un movimento bracciantile (e ad agrari fascisti), per organizzazione e continuità senza confronti al Sud e paragonabile solo a quello della Valle Padana, dove del resto è nato il movimento operaio e socialista italiano, cosa che differenzia il nostro Paese dalla gran parte degli altri [29]. Una regione prevalentemente agricola, ma lontana dai tempi dell’Unità da storie di dominio e parassitismo rurale o urbano, che dal latifondo sono sfociate nella mafia e nella ndrangheta e a Napoli nella camorra. La Puglia è poi forse la regione in cui ha inciso di più la riforma agraria del secondo dopoguerra, dando luogo ad una forte cooperazione in agricoltura, prevalentemente bianca come nel Trentino.

Certo la Puglia è una regione che non ha la storia intellettuale della Campania o della Sicilia, Bari sino all’Unità d’Italia è una piccola città di commercianti, l’Università viene istituita tra il Primo e il Secondo dopoguerra, eppure, confermando una storica apertura verso il Nord Italia e l’Europa, l’Università di Bari negli anni sessanta e settanta è sede di uno dei movimenti intellettuali di sinistra tra i più vivaci d’Italia, ancora oggi una buona parte dei protagonisti della vita politica pugliese, a partire da Vendola, escono da quella storia [30]. Ma anche sul fronte del movimento cattolico la Puglia ha due presenze importanti che avranno un’influenza determinante sulla nascita del volontariato: la scuola Cisl di Taranto attiva negli anni ’80 e don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e presidente di Pax Cristi dal 1985 alla sua morte nel 1993.

5.   Alle origini del Volontariato e del TS moderni in Puglia

Se l’avvio delle attività di formazione sindacale nella Cisl sono contestuali alla sua nascita negli anni cinquanta, è solo alla fine degli anni settanta che vengono avviate delle attività specifiche nel Mezzogiorno, prima a Spezzano Piccolo in Calabria e in seguito a Taranto[31]. Tra le ultime attività formative svolte a Taranto si tennero i primi corsi rivolti al volontariato e alla cooperazione sociale che stavano emergendo allora[32]. A dirigere la scuola Cisl di Taranto erano Gianfranco Solinas e Franco Ferrara. Solinas diverrà a metà degli anni ’90 Presidente nazionale del Mo.V.I.[33] dopo Giuseppe Lumia, Ferrara fonderà nel 1995, insieme al Mo.V.I. regionale ed altre organizzazioni, il Centro Studi Erasmo a Gioia del Colle, il Centro di formazione e ricerca più importante in questi anni sui temi del volontariato in Puglia.

Se un ruolo ha certamente avuto l’attività culturale che ruotava intorno alla scuola Cisl meridionale nel dare consapevolezza di sé al nascente movimento di volontariato pugliese, nel corso degli anni ottanta e successivamente attraverso l’opera di chi aveva animato quella scuola, certo non solo da quell’esperienza provenivano stimoli: erano negli anni precedenti andate crescendo le esperienze sociali che nel clima del dopo ’68 più in generale, e del Vaticano II nel mondo cattolico in particolare, si muovevano nello stesso senso. Intorno ai temi del disagio giovanile si era avviata più di una esperienza: nel 1978 tra Foggia e Manfredonia era sorta la Comunità Emmaus, oggi una presenza significativa nel TS regionale, ad opera di giovani laici e di sacerdoti salesiani che diventa un punto di riferimento e accoglienza nella promozione di una cultura e prassi di liberazione, ispirata all’opera di don Milani. Nel 1980 a Lecce intorno a un gesuita, padre Mario Marafioti s.j., un gruppo di laici fonda la Comunità Emmanuel accogliendo persone svantaggiate senza famiglia o emarginate; la Comunità è oggi presente anche in Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sicilia, all’estero in Albania, Ciad, Ecuador, Egitto, Lussemburgo. Già nel 1982 si era avviato a livello nazionale il Cnca (il Coordinamento nazionale comunità di accoglienza, che alla sua costituzione formale nel 1986 sarà presieduto da Don Luigi Ciotti) ed anche in Puglia sorgono diverse cooperative sociali che si collegano all’esperienza del Cnca.

Un contributo importante al formarsi di una cultura politica intorno al ruolo del volontariato in Puglia venne poi da quegli studiosi, tra quelli che avevano animato l’ ”école barisienne”, più attenti alle nuove forme di impegno sociale e politico, di cui essi stessi si erano fatti carico negli anni settanta. Il primo libro che si pubblica in Puglia su questi argomenti è di uno studioso di quell’école ad opera di una piccola casa editrice cooperativa, le edizioni La meridiana, sorta nel 1987 a Molfetta ad opera di un gruppo di giovani vicini a Don Tonino Bello, che finiranno per avere anche un ruolo nella storia politica della loro città e della regione [34].

Ma se il mondo cattolico svolge indubbiamente una funzione importante nella nascita e nello sviluppo del movimento di volontariato, il processo in realtà coinvolge le diverse culture e stratificazioni organizzative che animano la società pugliese, come nel resto d’Italia i legami sociali e associativi precedenti fanno da incubatore, da ambiente favorevole allo sviluppo delle organizzazioni di volontariato e questo vale in particolare appunto per il movimento cattolico e per quello dei lavoratori. Alla fine degli anni ottanta il sindacalismo confederale promuoverà direttamente delle Odv in tutto il territorio nazionale [35], ma sempre nell’ambito del movimento dei lavoratori a partire dal secondo dopoguerra si era andato sviluppando quello che poi sarebbe diventato l’associazionismo di promozione sociale sempre negli anni ottanta [36]. Così come l’esistenza di un radicato e ramificato movimento cooperativo favorirà negli stessi anni lo sviluppo della cooperazione sociale, che oggi costituisce un settore sempre più rilevante sia per il suo ruolo innovativo, ma anche dal punto di vista occupazionale [37].

Non si deve però pensare che le strutture di appartenenza confessionale, politica, sindacale o cooperativa, abbiano giocato in questo mondo un ruolo decisivo ed esclusivo nel promuovere enti di volontariato o di TS, si può dire che hanno accompagnato, favorito, aiutato a dare consapevolezza di sé a un movimento, a un processo sociale orizzontale che va al di là delle appartenenze:

«L’origine oggi crescente di compagini solidaristiche indipendenti tende a far crescere nel tempo anche la connotazione “laica” e aconfessionale del fenomeno (già nel 2001 erano in calo le OdV che avevano una chiara matrice confessionale) per cui, più che le matrici culturali di appartenenza, conta, per gli aderenti, la focalizzazione sulla mission e sugli obiettivi operativi» [38].

La crescita della cittadinanza attiva è un fenomeno diffuso, che da un lato ha rinnovato e sta rinnovando tanti vecchi enti non a fini di lucro e con finalità sociali, in particolare del mondo associativo che costituisce la grandissima parte del non profit, dall’altro lato ha dato vita a tante realtà associative prive di un'appartenenza e legate ad una o diverse finalità sociali.

6.   La nascita dei Forum del TS

Il 19 giugno del 1997 si costituisce a livello nazionale il Forum permanete del TS [39], se le novità sociali e culturali che avevano portato alla costituzione del Forum erano negli anni precedenti venute più dal mondo del volontariato, il lavoro di promozione e costituzione del Forum aveva visto protagonista l’associazionismo di promozione sociale e in particolare Acli e Arci, una premessa in questo senso era stata gettata dalle Assise dell'associazionismo tenute a Verona nell'’89 e a Firenze nel '92 [40]. Collaterali un tempo a Dc e Pci/Psi, entrambe, erano state protagoniste, in particolare Acli, negli anni precedenti di un lungo cammino di autonomia, che non aveva affievolito, ma rafforzato il loro impegno politico, che aveva finito per incontrarsi con “la scelta politica” del Volontariato [41].

Sul finire degli anni novanta a cascata anche nelle regioni si costituiscono i Forum regionali del TS e così avviene anche in Puglia [42]. Chi ha animato la vita del Forum in questi anni sottolinea il divario tra le finalità e gli obiettivi che ci si era dati nelle fasi di crescita delle reti di TS e quel che concretamente si è riusciti a realizzare, con un andamento fatto di spinte e slanci in avanti e di successivi momenti se non di ritirata, certamente di stasi. Così è stato con il primo tentativo di costituire il Forum regionale alla fine degli anni ’90 e per la fase di crisi che ne è seguita, mentre a livello provinciale, in maniera non coordinata e parziale, quel processo che era iniziato a livello regionale ha continuato ad andare avanti. Così è stato per l’istituzione dei Csv in Puglia, che è andata in porto, ma l’«esito finale, di tale percorso, non è stato certamente quello che il Forum Regionale si attendeva» [43]. Così è stato per l’attiva partecipazione al confronto per la definizione della legge regionale applicativa della 328/00, avvenuta in due fasi con una prima emanazione della legge 17/03 e successivamente della 19/06, che finalmente recepì le proposte avanzate dal Forum; così fu «perché quando poi si è passati ai piani di zona, all’assegnazione dei diversi incarichi, sono tornate fuori le divisioni che si erano sopite nella fase di slancio e propositiva» [44].

Le ragioni immediate di un simile andamento sono:

  • la fragilità organizzativa (mancanza di una sede, di risorse finanziarie ed umane affinché qualcuno vi si possa effettivamente dedicare, come è necessario per far funzionare qualsiasi organizzazione);
  • la visione spesso localistica e corporativa di molte organizzazioni di TS;
  • le incomprensioni tra le diverse componenti del TS (Volontariato, Aps e Coopsociali).

Tutte cose ampiamente prevedibili, perché questo è il contesto dominante che ci circonda. I legami che hanno tenuto assieme da secoli in un paese di antica civiltà come il nostro le comunità territoriali si sono, nel processo di modernizzazione dopo l’Unità, via via allentati, gli occupati in un’attività come quella agricola che tiene legati al territorio sono enormemente diminuiti svuotando in molte regioni i paesi dell’interno, il Mezzogiorno dopo l’Unità è stato investito da un rilevante processo migratorio tutt’ora in atto [45], infine il colpo di grazia è venuto dall’affermazione pervasiva della logica del mercato. Le comunità territoriali si sono storicamente formate nella collaborazione tra persone e famiglie, collaborazione che dalla notte dei tempi nasce a livello della società civile tra persone, famiglie, attraverso le comunità di interessi, religiose, culturali, ricreative, ecc., ma, immediatamente dopo, necessità di un’autorità che regoli la convivenza civile generando così le istituzioni locali, che in un Paese storicamente a debole e recente, sul lungo periodo, identità statuale, hanno un peso rilevante: siamo il Paese delle cento città, come sosteneva il Cattaneo. In questo quadro infine, più di identità locale che nazionale, e neanche regionale - si pensi solo al fenomeno, al Sud ancor più forte che altrove per la più lunga e antica storia del Mezzogiorno, del santo patrono che in fondo prosegue il culto dell’antica divinità protettrice della comunità locale – infine si è appunto affermata negli ultimi decenni la logica del mercato, che alimenta una logica concorrenziale, non collaborativa, tra persone e famiglie.

Quindi, oltre al minor sviluppo economico, le insicurezze economiche, la disoccupazione e il minor affrancamento dal lavoro necessario per assicurarsi la sopravvivenza, la costante emigrazione dei giovani, che penalizzano il Sud [46] e che fan sì che il suo TS sia meno numeroso, bisogna ribadire che esso si muove più in generale contro corrente rispetto alle tendenze oggi dominanti, se quindi esso si accompagna alla conquista di condizioni di vita e di welfare migliori – istruzione, tempo libero, libertà civili, presa di coscienza dei problemi sociali e ambientali, ecc. – bisogna anche sapere che si tratta di un processo contraddittorio: è un rilancio dello spirito solidale e comunitario sulle ceneri della disgregazione delle vecchie comunità e di uno sviluppo, in particolare negli ultimi trent’anni, che nella sua degenerazione liberista tende a distruggere la società [47].

Quindi localismo, frammentazione, concorrenzialità incontrate dal Forum del TS pugliese sono fragilità organizzative prevedibili, sono proprio i limiti di contesto da cui si parte e da superare, con un lavoro di carattere culturale, politico e organizzativo: dando coscienza di sé, di ciò di cui si è portatori, del proprio ruolo sociale e del contesto sociale e storico [48]. Difficile senza questa visione del mondo del quale il TS è parte e senza una condivisa strategia di lungo periodo uscire da localismi e corporativismi, ma anche sviluppare la necessaria fiducia reciproca che è alla base della crescita organizzativa. Così è inevitabile che prevalgano i legami organizzativi e sociali corti, più prossimi o locali.

7.    L’istituzione dei Csv

Il 29 aprile 1996 si insedia il primo CoGe pugliese [49] che conclude i suoi lavori due anni dopo (di due anni è il tempo del mandato) istituendo un solo Csv nella provincia di Foggia, lasciando per intanto sguarnite le altre provincie. Anche questa decisione però nell’immediato rimane inattuata per la decadenza subito dopo la decisione del Comitato stesso. Per due mandati, quattro anni, il CoGe non si reinsedia, causa le inadempienze della Regione nell’applicazione della legge, in particolare non facendo le nomine di sua competenza, si reinsedia solo nel 2000 a seguito di un’azione congiunta delle Odv di carattere nazionale [50] e locale, in particolare da parte del Forum regionale del TS appena avviato. Il CoGe partorì il 2/10/ 2001 un bando quantomeno singolare, perché stabiliva, sottotacendo che già era stato istituito nel 1998 un Csv a Foggia, che se ne istituisse comunque uno per provincia e inoltre che il progetto di ciascun Csv andava presentato al Comune e non anche alle Provincie come nel resto d’Italia [51]. L’istituzione alla fine di due Csv a Foggia e un contenzioso trascinatosi per anni sull’istituzione del Csv di Bari costituirono rilevanti anomalie nella costituzione del sistema dei Csv in Puglia, causate da scarsa autonomia dalla politica dei partiti, se non in alcuni casi subalternità, ma anche da contrapposizioni localistiche nelle Odv e la preesistenza di legami clientelari tra pezzi delle istituzioni [52] e del mondo delle Odv che permisero, se non furono alla base di quelle anomalie.

Insomma, è una vicenda quella dell’istituzione dei Csv in Puglia, che andò allora comunque in porto, ma il cui «esito finale, di tale percorso, non è stato certamente quello che il Forum Regionale si attendeva» [53].

8.    La riorganizzazione del Forum regionale del TS e del sistema dei Csv

Il percorso di Formazione dei quadri del terzo settore [54], avviatosi alla fine del 2008, in Puglia sta dando i suoi risultati.

Sono migliorati in maniera significativa i rapporti tra le diverse componenti del TS (Odv, Aps, Coopsociali), ma soprattutto tra Forum e Csv, che nel frattempo hanno costituito un loro coordinamento regionale [55], è stato sottoscritto un Patto di sussidiarietà con Regione e rappresentanze degli enti locali [56], si sta lavorando per insediare delle sedi comuni [57], si sono avviati rapporti sistematici con studiosi del territorio, cosa essenziale se si vuole avere capacità effettiva di proporre politiche innovative, ma soprattutto si è avviato un importante lavoro di riorganizzazione del Forum e dei Csv.

Quanto al Forum prima si è lavorato negli ultimi due anni alla ricostruzione dei Forum provinciali che prima non c’erano dovunque, in particolare a Bari, e che comunque si erano lasciati deperire dopo la loro istituzione alla fine degli anni novanta.

Quanto ai Csv, anche sotto la pressione derivante dalla carenza dei fondi costituiti da 1/15 dei proventi delle Fondazioni di origine bancaria stabiliti dalla 266/91 a seguito della crisi finanziaria, si è avviato un interessante processo di riorganizzazione che ne potrebbe migliorare in maniera significativa la funzionalità e le competenze.

Il Forum del TS in Puglia

Già l’istituzione dei Csv ha evidenziato per un lungo periodo in Italia la mancanza di adeguate forme di rappresentanza per il mondo del volontariato. Avendo le Odv nazionali operato per affidare la gestione dei Csv a reti associative rappresentative del territorio, la cosa impattò a volte in maniera conflittuale con i Forum del TS, che a livello territoriale erano scarsamente presenti.

Che vi fossero limiti strutturali era ovunque evidente, e anche in Puglia: in genere i Forum regionali non hanno sede, non hanno alcun organico operativo, il o i portavoce non possono dedicare al Forum che una parte esigua del loro tempo, essendo già oberati da altri incarichi nella loro associazione.

Bisogna chiedersi perché quello che avviene normalmente per le reti associative regionali non avviene per il Forum. In genere le reti regionali, che hanno una certa dimensione, hanno un forte radicamento territoriale, con livelli comunali e provinciali connessi tra di loro, con i livelli superiori espressione di quelli territoriali. Solitamente questo avviene attraverso congressi che si svolgono prima a livello comunale, poi provinciale e infine regionale e che inviano delegati al livello superiore.

Certamente ci sono delle differenze di fondo tra le reti associative ricordate sopra (e si potrebbe fare un lungo elenco di sigle) e il Forum: le prime sono meno complesse nella loro base associativa, sono associazioni di persone non di enti, enti a loro volta piuttosto complessi, con una propria storia, identità, missione e radicamento organizzativo, spesso con differenze non irrilevanti e qualche volta in concorrenza tra di loro. Bisogna però dire che differenze ben maggiori, interessi divergenti e concorrenti, soggetti alla base molto complessi ed anche molto potenti esistono in altre organizzazioni di rappresentanza che nonostante ciò svolgono in quanto tali, in quanto associazioni di rappresentanza, un ruolo rilevante nello scenario nazionale e nel territorio, basti pensare alle associazioni di rappresentanza delle imprese come ad es. Confindustria. Cioè le peculiarità del Forum del TS non impediscono un rafforzamento politico e organizzativo del suo ruolo una volta stabilita una strategia essenziale condivisa, però bisogna superare le caratteristiche che hanno presieduto all’istituzione dei Forum a metà anni ’90, quella è stata una fase importante di legittimazione e riconoscimento del ruolo del TS. Bisogna andare oltre, gli attuali statuti che regolano i Forum,così come sono ora sono quasi un protocollo di intesa tra enti che per la prima volta, superate diffidenze e ritrosie, si mettono assieme, questo poteva andare bene per una prima fase di affermazione del TS.

Guardiamo lo statuto del Forum regionale della Puglia, che riprende il modello di statuto richiesto per i Forum regionali da quello Forum nazionale [58], e agli indirizzi di lavoro approvati nel luglio scorso dall’assemblea del Forum pugliese, percorso da compiere nell’anno che ci sta di fronte:

  • Tutte le funzioni normalmente svolte nelle associazioni dal Comitato direttivo (qui Coordinamento) nello statuto sono in pratica attribuite all’Assemblea, che si può riunire, quando va bene, un paio di volte l’anno, quindi non è in grado di svolgere un ruolo incisivo e lo stesso portavoce alla fine ha un mandato debole, appunto più di Portavoce, più di rappresentante verso l’esterno, che di Presidente;
  • Il Coordinamento sarebbe bene che fosse configurato come un normale Direttivo, con i poteri normalmente ad esso assegnati, che in statuto ora, riprendendo del resto il modello proposto dal Forum nazionale, non sono neppure delineati, in questo caso il Coordinamento si configurerebbe come vero gruppo dirigente del Forum, che può riunirsi con una certa frequenza, lavorare, parlare e agire effettivamente a nome di tutto il Forum. Inoltre senza un gruppo dirigente che lavora con costanza neppure il rapporto con i soci e la base associativa funziona;
  • Altra questione importante è quella dei Forum territoriali, in statuto se ne prevede il riconoscimento da parte del Forum regionale, ma non si attribuisce loro alcuna funzione e potere nella vita democratica interna del Forum regionale;
  • Così com’è il Forum Regionale si presenta nello statuto e nella sua prassi come un’organizzazione di quarto livello, dove non c’è rapporto tra gruppo dirigente e base associativa, senza che siano previste forme di comunicazione che diano conto dell’esistenza del Forum alle persone aderenti alle organizzazioni di base dei soci, ad es. con un logo sulla tessera annuale loro consegnata. Non si prevedono inoltre incontri periodici con la base associativa delle associazioni aderenti o iniziative che la coinvolga. Infine, se si vuole essere punti di riferimento per le comunità territoriali, bisogna prevedere, anche formalmente nello statuto oltre che nel programma, iniziative sistematiche aperte alla cittadinanza;
  • Manca nello statuto un Comitato scientifico che darebbe un apporto decisivo con le sue competenze se si vuole incidere nella realtà sociale, avere un programma di lungo respiro, svolgere anche attività di ricerca e formazione connesse all’azione del Forum;
  • Per concludere, andrebbe anche previsto un articolo relativo ai Csv, che ne riconosca l'esistenza e ne valorizzi la funzione di organi di servizio, supporto e promozione e che preveda una collaborazione organica tra Forum e Csv, valorizzando nella collaborazione il ruolo di rappresentanza dei Forum e quello di servizio dei Csv.

Se questo lavoro andrà effettivamente in porto, insieme ad una crescita culturale e politica attraverso lo sviluppo del progetto Fqts, la capacità del TS e del Forum della Puglia di incidere sulle politiche regionali e locali, sul funzionamento delle istituzioni, penso crescerà in maniera rilevante. 

Il sistema dei Csv

Il CoGe della Puglia unitamente al Coordinamento Csvpuglianet hanno avviato da marzo 2013 e stanno concretamente portando avanti un percorso di riorganizzazione ed innovazione delle attività dei Csv in particolare attraverso una collaborazione tra di loro a livello regionale, tale che possa permettere sia l’erogazione di una seconda generazione di servizi rivolti al volontariato, come progettare nuovi tipi di attività, un Laboratorio di sussidiarietà, che metta al lavoro assieme TS, Istituzioni pubbliche, con i Csv come supporto tecnico/progettuale di quest’operazione. 

I Csv sono un esempio innovativo di gestione partecipata di un servizio pubblico, dando attuazione a quanto previsto dall’art. 43 della Costituzione [59], tema oggi molto attuale relativamente alle forme di partecipazione alla gestione di servizi pubblici essenziali (l’acqua dopo il referendum, ad es.) o nella cura dei beni comuni. È un’esperienza che va valorizzata, come gestione partecipata, importante nella promozione della democrazia, del funzionamento dei servizi pubblici e nell’attenzione ai beni comuni. Inoltre i Csv svolgono una funzione di sostegno alla cittadinanza attiva essenziale, l’art. 15 della legge quadro del volontariato dà attuazione ante litteram al dettato costituzionale dell’u.c. dell’art. 118, favorendo «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà».

I Csv sono indubbiamente nell’ambito del TS la rete di strutture di servizio più importante nel sostegno e per la qualificazione della cittadinanza attiva, costituiscono un bacino di competenze prezioso per affermare il ruolo del Volontariato, rafforzando la presenza di quest’ultimo nel TS e nell’economia solidale, svolgendo quindi anche una funzione di promozione di quest’ultima.

Appena costituiti i Csv hanno dovuto fronteggiare un ”arretrato” che si era andato accumulando negli anni. La legge 266/91 stessa e il dlgs 460/97 sulle Onlus in seguito, così come altri provvedimenti legislativi di settore, hanno creato inevitabilmente anche una serie di incombenze (esatta formulazione dello statuto, iscrizione ai registri regionali, tenuta contabilità e dei libri sociali, ecc.).

I Csv sono stati essenziali per adeguare alla normativa Odv vecchie e più recenti, per facilitare la costituzione di nuove. Prezioso è poi stato l’aiuto e il supporto nello svolgimento delle loro attività, offrendo sedi e strumenti di lavoro essenziali per organizzazioni povere come sono una parte notevole delle Odv. Tutti questi servizi sono stati inizialmente molto numerosi, poi una parte di essi si è ridotta, una volta affrontate e risolte queste questioni di sopravvivenza delle Odv, si è posto e si pone il problema di una seconda generazione di servizi. Si pone un problema di formazione dei quadri, di consulenza e assistenza giuridica e fiscale all’azione dell’Odv, alla sussidiarietà, non semplicemente alla costituzione delle Odv, inoltre le reti nazionali, ma anche regionali dove i Csv sono provinciali, non possono avere servizi dai Csv. Ciò è in aperta contraddizione con una prospettiva di sviluppo del ruolo del mondo del volontariato, che solo attraverso reti sufficientemente organizzate può uscire da una realtà e visione di carattere localistico o settoriale, tipica della solidarietà di vicinanza che caratterizza il mondo del volontariato. C’è poi la necessità d’essere di sostegno alla ricerca e all’elaborazione di strategie per la cittadinanza attiva e l’economia solidale, interessandosi almeno per la parte che riguarda il mondo del volontariato, dello sviluppo dei distretti e sistemi dell’economia solidale.

Pensare ad una seconda generazione di servizi significa anche pensare a nuove fonti di finanziamento, alla collaborazione con istituzioni pubbliche ed altri soggetti sociali, perché i fondi della 266/91 hanno dei vincoli quanto ai soggetti a cui vanno erogati i servizi, ad es. non si possono fornire servizi ai volontari non delle Odv, anche se questi ultimi costituiscono di gran lunga la maggioranza dei volontari nel non profit [60]. Il ricorso a fonti di finanziamento pubbliche potrebbe permettere di risolvere almeno in parte il problema e c’è in quest’epoca di “crisi dei debiti sovrani” una fonte di finanziamento certa, che in genere le Regioni del Mezzogiorno non solo non riescono ad utilizzare, ma troppo spesso è andata ai soggetti sbagliati che non fanno innovazione [61]: i fondi UE 2014/2020.Certamente l’utilizzo di fondi pubbliciè cosa coerente con il dettato costituzionale previsto dall’ultimo comma dell’art. 118, che prevede un obbligo delle istituzioni pubbliche a favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale». Lo Stato ha favorito questa loro azione obbligando le fondazioni di origine bancaria ad erogare l’1/15, ma si può esaurire qui il compito delle istituzioni pubbliche? Certo nuovi fondi non devono essere una scusante per far venir meno i finanziamenti previsti dall’art. 15 della 266/91, ma allora possiamo pensare a nuove attività e servizi coerenti con le attività istituzionalmente svolte dai Csv e può trattarsi anche di servizi non esclusivamente rivolti al volontariato, trattandosi di fondi non provenienti dall’art. 15 della 266/91. Potremmo cioè pensare a laboratori per la sussidiarietà animati da rappresentanti delle istituzioni pubbliche, dei soggetti sociali e in particolare del volontariato e del TS, del sistema dei Csv. Sarebbe un’impostazione con i “Metodi e obiettivi …” previsti dal Ministro Barca. Neppure si tratterebbe di mettersi in concorrenza con le organizzazioni di volontariato e di TS, si tratta di promuovere azioni di sistema che anzi favoriscano l’uso di questi fondi europei da parte di queste organizzazioni, promuovendo ad es. azioni di formazione congiunta tra operatori pubblici, del volontariato e del TS, ma anche progetti, indirizzi di intervento sociale sui quali lavorare assieme, appunto con criteri di sussidiarietà, rinnovando e qualificando l’azione pubblica attraverso la collaborazione tra istituzioni e «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale». Si tratterebbe di un’azione innovativa coerente con i processi sociali e normativi in atto, che potrebbe vedere protagonista il sistema dei Csv, per le competenze in essi presenti, ma anche per l’originale complesso di soggetti impegnati nel sistema dei Csv, dal volontariato alle fondazioni di origine bancaria, comprese le stesse istituzioni.

9. Nota a margine: il problema delle effettive dimensioni del TS in Puglia

I dati sintetici del Censimento del non profit appena pubblicati (vedi Tav. 3), rispetto ad altre indagini dell’Istat, sulle Odv e sulle  Coopsociali [62], ma anche rispetto ad altre rilevazioni ed indicatori sembrano fornire un quanto non attendibile con riferimento alle regioni del Mezzogiorno.

Rispetto a quelle indagini ci sarebbe un'inversione di tendenza, Odv e Coop crescevano più al Sud che nel resto d'Italia, ora sia per il numero di enti non profit che di volontari sarebbe l'incontrario, con differenze che hanno dell'incredibile.

Possibile che di fronte ad un aumento di volontari che vanno dal 45% al 68,1% nel resto d'Italia, al Sud siamo tra il 17% e il 20,6% e in Campania e Puglia tra il 2,4% e il 4,2%, cosa sono maledetti da una divinità? Va bene la questione Meridionale, ma questa dice che il Sud ha il 60% del reddito del Nord ed anche le indagini multiscopo Istat si sono sempre attestate a differenze nel numero di volontari tra Nord e Sud più o meno, e significativamente, di questo tipo. Si potrebbe sostenere, come è vero, che la crescita molto contenuta dei volontari può essere causata dalle minori dimensioni sia delle associazioni come delle coopsociali al Sud, ma anche la crescita degli enti non profit tra i due censimenti ha andamenti simili a quelli dei volontari, anche se molto meno marcati.

I dati relativi alle Odv iscritte a registro dicono cose diverse, sia con riferimento alla crescita delle iscrizioni nel periodo 1995/2010, ma anche in quello 2001/2010, con un rallentamento comprensibile delle dinamiche, ma non un’inversione di tendenza.

Anche l’indagine su tutte le Odv, iscritte e non iscritte, svolta in Puglia nel 2010 dice cose diverse: i volontari sono cresciuti solo tra 2005 e 2009 del 46%, passando da 60.919 a 89.134 [63], mentre il numero di Odv, iscritte e non iscritte di quest’indagine sostanzialmente coincide con quelle presenti nelle banche dati dei Csv [64].

I dati del censimento poi contrastano con quanto è avvenuto in Puglia nel comparto delle politiche sociali. Con l’arrivo della nuova giunta Vendola l’impegno della Regione nelle politiche sociali è significativamente aumentato. Sono cresciuti in maniera rilevante i servizi attraverso un impegno coerente di applicazione della 328/00, si è rivista la legge regionale applicativa del 2003, la Regione si è dotata di strumenti programmatori non solo dal punto di vista normativo, ma attraverso strumenti organizzativi di intervento e verifica [65], mentre non sono mancate politiche particolarmente innovative nel campo giovanile dell’Assessorato alla Cittadinanza attiva [66]. I dati ci dicono che tra 2005 e 2010 la Puglia è tra le prime regioni nell’incremento della spesa sociale dei comuni [67], impegni di spesa mantenuti anche successivamente nonostante i tagli nazionali.

Insomma c’è da temere che la crescita rilevante registrata dal censimento del non profit al Centro e al Nord e la modesta crescita al Sud, sia legata alla possibilità da parte dell’Istat di riuscire a censire sopratutto le organizzazioni iscritte a qualche registro. La Puglia, che non ha caso ha i livelli di iscrizione delle Odv più bassi d’Italia con la Campania, ha infatti un sistema particolarmente macchinoso di iscrizione, avendo affidato, caso unico in Italia, sia per le Odv che per le Aps le procedure di iscrizione e verifica annuali ai comuni. Già nei grandi comuni è difficile trovare del personale specializzato a tenere rapporti con le associazioni, figuriamoci nei piccoli comuni privi di personale, oltretutto la Puglia ha la più bassa presenza di personale pubblico d’Italia.

10. Conclusioni

Ovviamente non basta per assumere un ruolo politico e sociale rinnovare il Forum del TS e il sistema dei Csv. I Csv però costituiscono le più importanti strutture di servizio presenti nel mondo del TS e senza un supporto valido da questo punto di vista è difficile svolgere un ruolo incisivo. Non si tratta tanto di supporti logistici e organizzativi, che comunque devono restare, ma di una crescita culturale, di capacità di elaborazione e governance dei numerosi processi nei quali il volontariato e il TS sono sempre più inseriti. Certo poi non basta neppure un rinnovamento o una rifondazione statutaria/organizzativa del Forum regionale del TS, ma senza i luoghi in cui decidere assieme le direttrici essenziali di un’azione sociale e politica, luoghi di incontro fisici non solo ideali, senza una minima struttura organizzativa, senza il rapporto con il territorio, con un’ampia base associativa e con le comunità in cui essa si muove, difficile che il TS invece di essere un soggetto di cambiamento della realtà sociale non finisca per adattarsi ad essa.

L’elaborazione e la decisione politica non sono caciocavalli appesi al cielo, sono frutto di un processo e un lavoro particolari, presuppongono istituzioni, una circolazione delle idee ed anche chi, democraticamente individuato e legato alla base associativa, se ne faccia carico. Inutile altrimenti parlare di sussidiarietà, beni comuni, economia solidale.

Certo la crisi della democrazia rappresentativa che da tempo stiamo attraversando non si risolve solo con i Forum del TS e con i Csv, occorre una riforma della politica, delle istituzioni, di cui sussidiarietà e cura dei beni comuni sono però parte importante. Per uscire dalla crisi occorre uscire dall’eclissi della politica, ma la politica non può essere né quella dei partiti del ‘900, né quella degli attuali partiti in realtà comitati elettorali, soggetti appunto del mercato elettorale, che da buon mercato liberista si autoregola, fa sempre la scelta giusta senza spremersi troppo il cervello, senza una elaborazione culturale, senza un confronto delle idee, senza insegnare a e far ragionare.  La politica si è così ridotta a pubblicità e i cittadini a consumatori passivi, inseguendo l’ultimo sondaggio invece di motivare e mobilitare per costruire assieme il nostro futuro, che la possibilità di prevedere ciò che avverrà sta tutta lì. La politica si è ridotta a tecniche comunicative per catturare il consenso passivo, rinunciando ai contenuti, rinunciando a gestire difficili processi di buon governo e quegli obiettivi di pace e sviluppo umano che sono contenuti nella nostra Carta costituzionale.

Le ragioni che hanno portato alla crisi del 2008, risalgono a qualche decennio prima, la formulazione del teorema di Modigliani/Miller che ha esteso autorevolmente ai mercati finanziari la validità dell’impostazione liberista è oramai di mezzo secolo fa, perché si è rinunciato a governare i processi economici, si è abbandonata la teoria keynesiana insieme ai trenta gloriosi [68]? Per favorire l’ancien régime, i ricchi, dopo il grande disordine interno (il ’68) e internazionale (la sconfitta in Vietnam) [69]? Certo, tutto questo è vero, ma il punto è che quegli interessi hanno vinto perché l’intervento regolatore pubblico orchestrato attraverso uno Stato arcaico in una società oramai postfordista, aveva raggiunto i suoi limiti di applicabilità, ad Est come ad Ovest, occorrevano altre istituzioni, altri partiti, un’altra politica, non a caso quel tipo di intervento continua a funzionare nelle economie emergenti, o come si diceva un tempo, ‘in via di sviluppo’, nei cosiddetti Paesi Bric.

Io credo che siamo dentro ad un processo epocale. Sarà un processo non breve che chiede una guida politica. Storicamente questa è stata la funzione essenziale dei partiti. Può, anzi deve, cambiare la loro natura organizzativa e democratica, ma quella capacità di pensare il nostro futuro in una fase di transizione costruendolo attraverso una larga partecipazione popolare che ci diede la Costituzione repubblicana, scritta sulla carta ma prima ancora con il sangue di tanti giovani partigiani, come scrisse Calamandrei, va recuperata. E’ interessante che per la prima volta un Ministro, Barca, che ha cercato di capire come si poteva ben governare e sostanzialmente ci è riuscito, si sia posto questi problemi. Barca ha redatto un documento [70] da discutere, da arricchire e completare, innanzitutto interessante perché segna una svolta, ci dice che i temi qui affrontati, pane quotidiano sì, ma di minoranze attive, hanno fatto breccia nei piani alti. Io credo che oltre a quanto da lui scritto si debba parlare ad es. non solo di democrazia deliberativa, ma anche di democrazia partecipativa, sussidiarietà, beni comuni. Poi non basta un partito, occorre anche appoggiarsi su un processo sociale strutturale diffuso [71] che cambia la maniera di stare nella comunità e questo fanno il Volontariato e il TS.

Ma il problema della riforma del sistema politico e istituzionale non era l’oggetto di questo scritto, più modestamente volevo segnalare, affinché il TS dia il suo contributo su quella strada, quali erano a mio avviso i presupposti, quali gli strumenti democratici, organizzativi e culturali necessari ed oggi raggiungibili. Già solo per porsi questo più modesto, ma concreto obiettivo, occorre che se ne discuta ed occorre elaborare una strategia condivisa, spero che lo scritto serva a questo scopo, contribuendo magari a fare dell’esperienza pugliese un laboratorio politico per il TS.
 

Presentato come paper a
Espanet Conference 2013
“Italia, Europa: Integrazione sociale e integrazione politica”
Università della Calabria, Rende, 19 - 21 Settembre 2013

 

Appendice


 

 


 

 

 

 

 


[1]A soccorrere la popolazione colpita dallo straripamento della diga del Vajont (1964) intervengono anche le associazioni degli alpini e degli scout, mentre nell’alluvione di Firenze (1966) significativa è la presenza di giovani volontari, gli angeli del fango. E’ una presenza che si segnala anche nel terremoto del Belice (1968), ma soprattutto in quello del Friuli (1976).
[2]La Venerabile Arciconfraternita della Misericordia di Firenze è la più antica Confraternita per l'assistenza ai malati e, probabilmente, la più antica organizzazione di volontariato esistente in Europa, e forse al mondo, ininterrottamente attiva dalla fondazione, avvenuta nel 1244 secondo i registri conservati nel suo archivio. Sempre a Firenze nasce nel 1872 ad opera di reduci tornati dalle guerre di indipendenza a cui avevano partecipato come volontari, la Fratellanza Militare, che successivamente insieme ad altre associazioni di mutuo soccorso mazziniane e socialiste darà vita nel 1892 a Spezia al primo Congresso delle Pubbliche Assistenze che costituiranno successivamente l’Anpas (l’Associazione nazionale pubbliche assistenze), mentre l'Unione Federativa delle Misericordie viene fondata a Pisa 1899, diventando successivamente la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia.
[3] F. Diosono,Arti e mestieri nel mondo romano antico, Roma 2007.
[4] Ugo Ascoli ha insistito più volte sulla questione che l’elemento distintivo del TS è il volontariato e la sua presenza anche nelle Aps e nelle Coopsociali.
[5] Sperando di avere a disposizione dal Censimento 2011 delle organizzazioni non profit dati analitici per forma giuridica (Odv, Aps, Coopsociali) che non sappiamo se saranno disponibili, l’unica cosa che ora si può fare per avere un’idea del numero di volontari presenti nelle organizzazioni non profit non di volontariato, è comparare i volontari censiti nel Censimento non profit del 2001 con quelli rilevati dall’indagine Istat su Le organizzazioni di volontariato in Italia 2001 (indagine ripetuta sino al 2003 e poi più). In quell’anno i volontari rilevati nel Censimento erano 3.315.327, mentre nelle Odv erano 695.334 e cioè solo il 21%. Pur tenendo conto che l’indagine sulle Odv non riguardava quelle non iscritte a registro, che certamente allora erano ancora numerose ma meno del 50% stimato negli anni ’90, tenuto anche conto che queste ultime erano le Odv più piccole e non aderenti ad una rete nazionale o locale, perché le più grandi e in rete erano state le prime ad iscriversi, bisogna dire che la gran parte dei volontari presenti nel non profit lo erano attivi nelle organizzazioni non normate dalla 266/91.
[6] L’espressione di “legislazione a canne d’organo” è di Giuseppe Cotturri, mentre a condurre quel tentativo in Osservatorio furono anzitutto U. Ascoli stesso e Gian Piero Rasimelli, allora Presidente di Confederazione Arci.
[7] La questione un po’ ricorda il dibattito tra gli storici sulle origini del capitalismo, se cioè fosse già presente nell’anti-chità come sosteneva H. Pirenne o si dovesse datare tra XIV e XV secolo come sostenevano Marx o Weber. Certo mercati e grandi mercanti esistevano anche nell’antichità, ma è solo con le repubbliche marinare italiane che il mercato, i grandi mercanti, la finanza (si pensi ai genovesi), diventano una realtà economica in grado di condizionare le altre, in maniera dominante a Venezia e a Genova. Così il volontariato esisteva da molto tempo, ma solo a un certo punto comincia a caratterizzare con la sua presenza la vita sociale e istituzionale.
[8]S. Turone, Storia del sindacato in Italia 1943-1969, Laterza, 1974 Bari.
[9] Vedi a cura di U. Ascoli, Il welfare in Italia, e in particolare Introduzione e Conclusioni del curatore, il Mulino, Bologna 2011.
[10] Sul rapporto tra cittadinanza attiva e livelli di istruzione piace citare vecchi lavori ad attestare che è cosa da tempo nota:
- le indagini sociali di Almond, Verba e Snidermann sulla cultura civica negli Usa, svolte tra gli anni sessanta e settanta del novecento e in particolare: G. A. Almond, S Verba, The Civic Culture, Princeton, 1963; P. Snidermann, Personality and Democratic Politics, Berkeley, 1975;
- una bella ricerca poco conosciuta sulla partecipazione democratica a Milano, che svolse R. Mannheimer, allora più impegnato sul piano scientifico che mediatico, per il Comune di Milano-l'Istituto Superiore di Sociologia-Demoscopea, Partecipazione politica, in Bilancio sociale di area, la qualità della vita a Milano: sondaggio su un campione di famiglie milanesi, Milano, 1984;
- infine le ricerche curate da G. Milanesi e in particolare a Volontariati in Europa, Quaderni di volontariato, n. 3 Fivol, Roma 1993, dove si segnalava come in Olanda i volontari avevano un livello di istruzione superiore alla media, in Danimarca il tempo dedicato all'impegno sociale decresceva con il livello di istruzione, in Gran Bretagna i volontari erano prevalentemente dei colletti bianchi con istruzione superiore o universitaria. Lo stesso fenomeno, del resto, si rilevava nei partiti democratici di massa della “prima repubblica”: ad es. il quadro attivo del Pci, che sostanzialmente coincideva con i comitati direttivi delle sezioni di base, aveva un livello di istruzione nettamente superiore all’insieme degli iscritti. In proposito vedi: G. Memo (a cura di), Cultura politica e democrazia, cit. pp. 63-64 e A. Accornero, R. Mannheimer,  C. Sebastiani, L'identità comunista: i militanti, la struttura, la cultura del Pci, Editori Riuniti, Roma 1983.
[11]Mons. G. Nervo, praticamente iniziatore della Caritas Italiana, parlava in proposito di un fenomeno che in quegli anni “emergeva nelle punte avanzate del Gruppo Abele, della Comunità di Capodarco, i gruppi extraparlamentari che lavoravano nelle periferie delle città”. dalla Presentazionedi Dalla Terra Promessa alla Terra Permessa, di  Luciano Tavazza, Roma, Palazzo S. Macuto, 16 gennaio 2002, ora in http://www.edscuola.it/archivio/handicap/tavazza.html.
[12]Ibidem.
[13]Dall’intervista a L. Tavazza rilasciata a G. Memo, in Imparare la democrazia, a cura dello stesso con la collaborazione di: M. Ambrosini, D. Banfi, G. Cotturri, L. Duilio, E. La Rovere, Materiali e atti n. 21,  Supplemento al numero 2 aprile - giugno 1992 di democrazia e diritto e in Orientamenti, Rivista monografica di formazione sociale e politica, Centro sociale ambrosiano – Diocesi di Milano, n. 8-9 del 1992.
[14] La Costituente della strada  fu ufficialmente presentata l’11 maggio 1993 nell'Aula Magna dell'Università "La Sapienza" di Roma. Sorta in alternativa ai pattisti dell'Alleanza democratica di Mario Segni, aveva il suo punto di forza nel mondo del volontariato, sia cattolico che laico, ma alla sua presentazione furono presenti anche l’ex Segretario della Cisl Pierre Carniti, il numero due del Pds Massimo D'Alema, il parlamentare verde Gianni Mattioli e il leader della Rete Leoluca Orlando.
[15] Cinquantamila secondo l’Unità del 30 ottobre 1994, in La solidarietà non è un lusso, di E. Manca, p. 4.
[17] Una prima proposta di legge sul volontariato fu già presentata negli anni ’70 da un gruppo di deputati democristiani, ma è solo nella IX legislatura (luglio 1983 - luglio 1987) che vengono presentate proposte dalla Dc, dal Pci e dalla Sinistra indipendente, proposte ripresentate nella successiva X Legislatura (luglio 1987 - aprile 1992) e che unificate e sulla base di un accordo innanzitutto tra Dc e Pci andarono a costituire il testo di legge definitivo.
[18]Gli accordi economici del luglio 1944 fra tutti i rappresentanti dei 44 Paesi del fonte antifascista. Si regolò la convertibilità delle monete e la creazione di un sistema di compensazione multilaterale delle bilance dei pagamenti, attraverso la creazione della Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale. Tra i principali ispiratori di quelle politiche, sia sul piano interno che internazionale, i cui aspetti del resto sono connessi, J.M. Keynes e il gruppo di economisti a lui vicini di Cambridge, vedi anche nota 25.
[19]«Io dico che coloro che dannono i tumulti intra i Nobili e la Plebe, mi pare che biasimino quelle cose che furono prima causa del tenere libera Roma; e che considerino più a’ romori ed alle grida che di tali tumulti nascevano, che a’ buoni effetti che quelli partorivano. …… E se i tumulti furano cagione della creazione de’ Tribuni [del popolo], meritano somma laude, perché, oltre al dare la parte sua all’amministrazione popolare, furano constituiti per guardia della libertà romana», Niccolò Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Libro primo, Capitolo IV. In quest’opera Machiavelli sostiene che la grandezza della Repubblica romana, rispetto alle oligarchie di Sparta e Venezia, stette nella capacità di regolare il conflitto tra Plebe e Nobili e far partecipare entrambi al governo della città, questo dette a Roma  quella straordinaria forza che le permise di creare l’Impero. Il compito delle istituzioni non è estinguere il conflitto con la forza, annichilendo un delle parti in conflitto, ma governarlo (Ibidem, vedi anche i Capitoli II, III, V).
[20]F. Barca, Un partito nuovo per un buon governo. Memoria politica dopo 16 mesi di governo, Aprile 2013, secondo paragrafo.
[21] F. Barca, ibidem.
[22] G. Arena, Amministrazione condivisa, l'alleanza vincente fra cittadini e istituzioni, ForumPA, maggio 2011, Labsus, Roma, in http://www.labsus.org/index.php?option=com_content&task=view&id=2743&Itemid=188.
[23] M. Revelli, Oltre il novecento. La politica, le ideologie e le insidie del lavoro, Einaudi, Torino 2001 e Finale di partito, Einaudi, Torino 2013.
[24]G. Cotturri, La democrazia senza qualità. Politica istituzionale e processo costituente in Italia, Franco Angeli, Milano 1988.
[25]L’economia keynesiana non è fatta solo da politiche economiche differenti da quelle oggi dominanti, è un’altra economia che parte da presupposti teorici diversi, prosegue l’impostazione economica che fu dei classici (A. Smith, D. Ricardo, K. Marx) e giunge alla fine a formulare politiche economiche sostanzialmente diverse da quelle formulate dal pensiero neoclassico o marginalista. Fa piacere ricordare che nel gruppo degli economisti vicini a Keynes a Cambridge c’era un grande economista italiano, Piero Sraffa e che da quella scuola di pensiero sono usciti altri due economisti italiani: Pierangelo Garegnani e Luigi L. Pasinetti. Pasinetti ha insegnato a lungo all' Università di Cambridge (King's College), per vari anni, e contestualmente a Milano all'Università Cattolica S.C, dove si era laureato, mentre ha presieduto associazioni degli economisti a livello nazionale ed internazionale. Pasinetti ha definito più volte la svolta che portò all’abbandono dell’economia keynesiana come drammatica, perché il prevalere di teorie economiche che già loro dimostrarono negli anni ’60 essere errate, ha finito per condurre a drammatiche disuguaglianze e alla crisi attuale.
[26] Per prima dell’Unità, senza spingerci troppo lontano (come fa E. Sereni in Agricoltura e mondo rurale, I caratteri originari, Storia d’Italia Einaudi 1972) ci si può limitare a far riferimento alla tesi di R. D. Putnam (in La tradizione civica nelle regioni italiane,  Mondadori – 1993), che di fatto fa risalire la differenziazione tra Nord e Sud all’epoca dei Comuni, sviluppatesi solo nel Centro/Nord. Dopo la formazione dello Stato unitario sono le politiche nazionali e lo sviluppo duale dell’Italia, innanzitutto in termini di sviluppo economico, ad accentuare quegli elementi comuni che permisero di parlare di una Questione meridionale. Su la questione meridionale vedi A. Gramsci, L. Sturzo Il Mezzogiorno e l’Italia, a cura di G. D’Andrea e F. Giasi, Fondazione con il Sud in collaborazione con l’Istituto Sturzo e la Fondazione Istituto Gramsci, Edizioni Studium, Roma 2012.
[27]La Puglia ha una SAU (Superficie Agricola Utilizzata) di 1.285.289,90 ettari, la Sicilia di 1.387.520,77 ha, ma se leviamo i prati permanenti e i pascoli e ci riferiamo ai seminativi e alle culture arboree (vite, olivo, alberi da frutta, ecc.) la Puglia è la prima regione agricola italiana(1.182.238,30 ha), seguita da Sicilia(1.067.166,63 ha) ed Emilia Romagna (961.652,86 ha). Gli occupati in agricoltura sono 697.900.
[28]R. Riccardi, L'impresa di Felice Garibaldi e il Risorgimento in Puglia (1835-1861), Congedo, 2010 Galatina-Milano.
[29]Vedi I. Barbadoro. Storia del sindacalismo italiano: dalla nascita al fascismo. Firenze, La nuova Italia. 1973 e M. Pistillo. Giuseppe Di Vittorio, Manduria, Lacaita, 1987.
[30] F. Blasi, Introduzione alla Ecole barisienne, Laterza 2007. Una storia legata ad una sezione universitaria del Pci unica nel suo genere, che organizzava oltre seicento iscritti tra studenti e docenti, vedi F. De Felice, Significato e problemi di un’organizza-zione comunista nel Mezzogiorno: la Sezione universitaria comunista Palmiro Togliatti (1969/1972), in G. Vacca (a cura di), Pci Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all’organizzazione, De Donato, Bari 1972.
[31]Il Centro studi di Fiesole viene inaugurato nel 1951 a Fiesole, lo vollero Giulio Pastore e Giorgio La Pira e fu affidato a Mario Romani, docente di storia economica alla Cattolica di Milano, ma è soprattutto con Pierre Carniti, che è prima segretario generale aggiunto e poi segretario generale dal 1977 al 1985, che si sviluppano, come non avverrà più in seguito, le attività di studio e formazione promosse dalla Cisl. Nascono più di un centro studi animati da Guido Baglioni, Gian Primo Cella, Luigi. Frey, Guido Romagnoli, Ettore Santi, Ezio Tarantelli, Tiziano Treu. Ma sotto la direzione di Bruno Manghi anche la formazione ha un nuovo slancio, in particolare nel Mezzogiorno, prima con la scuola a Spezzano Piccolo (1979-1981) e poi a Taranto nel corso degli anni ottanta. Con le segreterie di Franco Marini venne chiusa la scuola meridionale della Cisl. Vedi: G. Memo, La formazione nella Cisl, in Cultura politica e democrazia, Materiali e atti n. 17, supplemento al n. 2 del 1990 di democrazia e diritto;  M. Mercuri, Cisl, in Cultura e democrazia sindacale in Europa, a cura di G. Memo, oggi in http://www.respolis.it/?q=node/33.
[32] Vedi l’intervista di C. Di Modugno a Franco Ferrara, in http://www.respolis.it/?q=node/56.
[33]Il Movimento di Volontariato Italiano(Mo.V.I.), si costituisce formalmente nel 1978.
[34]Tra gli studiosi qui si ricorda F. Cassano (Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Dedalo Bari 2004), ma in particolare G. Cotturri e le sue diverse pubblicazioni in argomento, tra le quali quella richiamata e pubblicata dalle edizioniLa meridiana, e cioè Mutamenti. Culture e soggetti di un pubblico sociale, Molfetta 1992. Cotturri era stato segretario della sezione universitaria richiamata alla nota 30, Cassano segretario cittadino del Pci. Fondatore, e tutt’ora direttore editoriale, della casa editrice La meridiana è Guglielmo Minervini, sindaco di Molfetta negli anni ’90 e unico assessore regionale in Italia alla cittadinanza attiva con le giunte Vendola. Come assessore regionale alle politiche giovanili ha promosso programmi particolarmente innovativi.
[35]Auser, Anteas, Ada, Anolf, ecc.
[36] Questa è l’origine di Acli e Arci, ma anche di Uisp, Csi, ecc.
[37] Nel 2008 le cooperative sociali erano il 21,1% del totale delle cooperative in Italia, mentre l’occupazione era il 27,5 del totale. Rapporto Euricse, pag. 25, Trento 2011.
[38]Renato Frisanco, Volontariato sotto la lente: lo scenario del volontariato organizzato alla luce della quarta rilevazione Fivol 2006. Il fenomeno era già emerso con chiarezza nelle indagini Fivol del 1993, 1997 e 2001, che avevano visto un continuo calo relativo dell’associazionismo confessionale, che solo in Lazio e Sardegna nella sola indagine del 1993, aveva un peso maggioritario.
[39]Le organizzazioni nazionali fondatrici sono 56, tra le quali: Acli, Ada, Agesci, Aics, Ancst -Legacoop, Anpas, Arci, Auser, Avis, CdO, Federsolidarietà - Confcooperative, Fit (Federrazione italiana tempo libero), Fimiv (Federazione italiana mutualità integrativa e volontaria), Legambiente, Uisp, Cts (Centro turistico studentesco), CTM, Adiconsum, Federconsumatori, Anolf, Antea, Cipsi, Cnca, Cocis, Focsif, Lila, Movimento federativo democratico, Assopace, Cisp, Movimondo, Movi, Comunità Capodarco, Centro nazionale volontariato Lucca, Cnos, Convol, Gruppo Abele.
[40] Chi concretamente in quegli anni lavorò alle Assise dell’associazionismo e alla costruzione del Forum furono Giovanna Cella delle Acli e Nuccio Iovene dell’Arci.
[41] Significativamente diverse erano anche le caratteristiche di chi presiedeva Acli ed Arci in quegli anni, Franco Passuello e Tom Benetollo.
[42]Tutte le informazioni sulla parte che segue sul Forum del TS della Puglia sono tratte da Documento di sintesi su storia e caratteristiche del Forum del TS pugliese. Il Terzo settore in Puglia e la costruzione delle reti di rappresentanza e di servizio a livello regionale. Il documento fa parte di un lavoro più ampio sul tema della rappresentanza del TS, curato da Cristina Di Modugno e G. Memo nell’annualità Fqts 2008/2009. Il documento a cui hanno lavorato tre Portavoce susseguitesi alla guida del Forum regionale (Daniele Ferrocino della comunità Emmanuel, Anna Maria Semitaio dell’Auser e Gianfranco Visicchio di Federsolidarietà), fu discusso nel corso di incontri svolti con rappresentanti del TS in ciascuna provincia della Puglia.
[43] Testimonianza di D. Ferrocino.
[44] Dalla testimonianza di A. Semitaio.
[45] «Con riferimento all’ultimo anno di disponibilità dei dati, i meridionali che hanno trasferito la loro residenza nel Centro-Nord sono oltre 120 mila, a fronte di 60 mila circa che dal Centro-Nord fanno il percorso inverso (si tratta soprattutto di anziani che rientrano o di impiegati pubblici che ottengono il trasferimento), con un effetto netto in uscita di circa 60 mila unità. Gli spostamenti temporanei, legati a pendolarismo Sud/Nord, si possono stimare in circa 150 mila unità. Nel complesso, quindi, si sono spostate dal Sud verso il Nord circa 270 mila persone, un dato certamente rilevante se si pensa che nel triennio 1961-63 di massima intensità migratoria si trasferirono dal Sud circa 295 mila persone all’anno. Allora i trasferimenti avevano però natura permanente, ……... In questa nuova fase, invece, la maggiore precarietà occupazionale associata alle migliorate condizioni di trasporto, le accresciute aspettative nella qualità della vita e, non ultimi, gli elevati costi di stabilimento (degli affitti, in particolare), concorrono a favorire spostamenti temporanei.». Linee del rapporto Svimez 2007, Cit. p. 24, Roma, luglio 2007. Probabilmente il fenomeno, qui rilevato prima della crisi, si sarà aggravato.
[46]Al Sud il reddito pro capite «è meno del 60% di quello delle regioni del Nord» , «questo scarto è oggi quello del secondo dopoguerra», anche se «il reddito è, in termini reali, oltre quattro volte superiore a quello del 1950; … la speranza media di vita è passata da 49 a settantanove anni; … un conto è essere il 57% di un’area settentrionale ancora largamente rurale e stremata dalla guerra e un conto è essere il 57% di una delle macroregioni più opulente del mondo», G. Viesti, Abolire il mezzogiorno, Bari 2003, p. 4. Vedi anche gli Indicatori regionali di contesto, elaborati dell’Istat, ww.istat.it/ambiente/contesto/infoterr/azioneB.html.
[47] Vedi M. Bersani, Catastroika. Le privatizzazioni che hanno ucciso la società, Allegre editore, Roma 2013. Bersani è tra i fondatori e gli animatori di Attac Italia, la sezione italiana dell’Association pour la Taxation des Transactions financière et l'Aide aux Citoyens.
[48]Vedi a cura di G. Cotturri, G., P. Fantozzi, G. Giunta, D. Marino, M. Musella, Per un altro Mezzogiorno. Terzo Settore e "questione meridionale" oggi, e a cura di P. Fantozzi e M. Musella, Occhi nuovi da Sud, Analisi quantitative e qualitative del Terzo Settore nel Mezzogiorno, entrambi Carocci, Roma 2010.
[49] Il CoGe è il Comitato di gestione dei fondi speciali per il volontariato, voluto dai DM 21/11/91 e 8/10/97, che danno attuazione all’art. 15 della 266/91, prevedendo le procedure per l’istituzione e il funzionamento del Csv. Il CoGe è composto da 15 membri: 8 di nomina degli enti finanziatori, le fondazioni di origine bancaria; 6 di nomina regionale, 4 in rappresentanza delle Odv, 1 per gli enti locali, 1 per la Regione stessa; 1 in rappresentanza del Ministero degli affari sociali. Sui Csv vedi G. Memo, Storia e prospettive del sistema dei Csv, nella rivista online Non per profitto, in http://www.respolis.it/node/36
[50] Per promuovere la istituzione dei Csv nelle grandi regioni del Sud in rilevante ritardo fu costituito a Napoli il 5 aprile 2001 il Comitato promotore dei Csv al Sud. Ne facevano parte: Cesiav, Cesv (Csv della Regione Lazio), Polis (Csv della Regione Basilicata), il Collegamento Nazionale dei Centri di Servizio al Volontariato, Cesvit (Csv della Regione Basilicata), Vivere Insieme (Csv di La Spezia), Anpas Nazionale, Auser Nazionale, Mo.V.I. Provinciale Salerno e Federhand Campania, Caritas Nazionale, Arci Nazionale, Self Help Groups e il Coordinamento Nazionale delle Realtà di Auto e Mutuo Aiuto, Aido Nazionale, Acli.
[51] La ragione era semplice: i Comuni capoluogo ove si prevedeva sarebbero stati presentati i progetti istitutivi provinciali erano in maggioranza di centrodestra, che amministrava allora la Regione determinando così le maggioranze nel CoGe, mentre le provincie erano di centrosinistra.
[52] A Foggia giocò molto la contrapposizione tra Comune di centrodestra e Provincia di centrosinistra, ciascuna volle appoggiare un suo progetto. A Bari il CoGe approvò un progetto presentato da un gruppo minoritario (11 soci), guidato dall’Unione ciechi e sponsorizzato dal consigliere comunale di AN Massimo Posca, che si contrapponeva a quello unitario promosso dal Comitato promotore dei Csv al Sud (45 soci). Il tutto aprì problemi trascinatisi per anni e che solo ora sembrano in via di soluzione.
[53] Vedi nota 39.
[54] Il percorso Fqts fu, all’avvio della Fondazione con il Sud nel 2007, inizialmente proposto da Luigi Bulleri, allora Portavoce della Consulta nazionale per il volontariato, e concordato con Marco Granelli e lo scrivente nel corso della Conferenza nazionale del volontariato a Napoli nell’aprile 2007. Si trattava cioè di dedicare annualmente una parte molto contenuta dei fondi erogati dalla Fondazione ad attività formative volte a rafforzare la rete tra le organizzazioni di TS, sostenendo la crescita delle capacità di governace dei processi in cui erano coinvolte, a partire dallo stesso utilizzo dei fondi erogati da Fondazione con il Sud. Il progetto è rivolto alle stesse regioni nelle quali agisce la Fondazione: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Sardegna.
[55] Csvnetpuglia, costituitosi il 5/12/2007.
[56]Il Patto di sussidiarietà tra terzo settore e istituzioni locali: beni comuni del mezzogiorno da salvare, curare e riprodurre. Le Case della Sussidiarietà e dei Beni Comuni, è stato siglato da Regione Puglia, Anci Puglia, Forum Terzo Settore Puglia, Forum Nazionale Terzo Settore, Convol Puglia, Csvnet Puglia il 16 settembre 2011, Vedi http://www.csvsalento.it/upload/doc/notizie/Pattodisussidiarieta.pdf.
[57] La prima verrà inaugurata nel corso del mese di settembre 2013 a Brindisi.
[59] «Art. 43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenzialio a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale».
[60] Vedi la nota 5.
[61]Ministro per la Coesione Territoriale F. Barca, Metodi e obiettivi per un uso efficace dei fondi comunitari 2014-2020, Roma 27 dicembre 2012.
[62]Sulle Odv iscritte a registro furono svolte ogni due anni tra 1995 e 2003, sulla Cooperazione sociale nel 2001, 2003 e 2005.
[63] Il volontariato in Puglia. Indagine socio-statistica sulle caratteristiche e le attività del volontariato in Puglia, a cura di Csvpuglianet e della Regione Puglia, 2010.
[64]Vedi la Tav. 2, i dati relativi al 1995 e al 2001 sono ricavati dalle indagini Istat sulle Odv, mentre i dati 2010 dal Terzo compendio statistico relativo ai Centri di servizio e ai Comitati di gestione dei fondi speciali per il volontariato. Dati 2010, curato da Renato Frisanco e pubblicato a cura della Consulta dei comitati di Gestione.
[65] Innanzitutto il Gaps, il Gruppo di assistenza alle politiche sociali, dove ciascun operatore aveva il compito di seguire direttamente nel territorio circa 5 dei 45 ambiti territoriali, curando l’applicazione del Piano sociale regionale e l’elaborazione dei Piani di zona, poi attraverso verifiche svolte assieme all’Irs di Milano. Sull’esperienza pugliese di applicazione della 328/00 vedi di G. Memo e A. Lattarulo (a cura), Politiche sociali nella crisi. Il caso puglia, Carocci, Roma 2012.
[66]Il programma “Bollenti Spiriti” si è realizzato in azioni quali: l’erogazione di borse di studio per la formazione postlaurea in Italia e all’estero e l’impegno a tornare; la ristrutturazione di immobili abbandonati trasformati in centri di incontro e creatività giovanile “Laboratori Urbani”; il finanziamento della creatività e dell’attivazione giovanile “Principi Attivi”; il recupero e il riutilizzo dei beni confiscati alla criminalità attraverso i fondi UE (“Libera il Bene”); la promozione della pratica della legalità. L’Assessore alla cittadinanza attiva era ed è Guglielmo Minervini.
[67] Vedi Tav. 7.
[68] L. Pasinetti, Considerazioni conclusive – con alcune ipotesi contro-fattuali sulla presente crisi,Accademia Nazionale dei Lincei, Convegno: Gli economisti Postkeynesiani di Cambridge e l’Italia, Roma, 11-12 marzo 2009.
[69] I. Wallerstein, Il declino dell’America, Feltrinelli, Milano 2004, G. Arrighi, Adam Smith a Pechino. Genealogie del ventunesimo secolo, Feltrinelli, Milano 2008.
[70] F. Barca, Un partito nuovo per un buon governo. Cit.
[71] Vedi G. Cotturri, La forza riformatrice della cittadinanza attiva, Carocci, Roma 2013.
 
 
 

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