Intervista a Marco Granelli

Autore: 

Francesca Rossi, Guido Memo, Massimo Tagarelli

D: Alla fine dello scorso anno sono stati eletti i nuovi organi sociali di Csvnet e il nuovo Presidente, Stefano Tabò. Per la prima volta dalla sua fondazione, quest’organismo non vede la tua presenza. E’ un’avventura, quella tua nel mondo dei Csv, iniziata con l’elezione a Presidente del Csv di Milano nel 1997 (che insieme agli altri Csv lombardi era sorto grazie all’azione coordinata tra Forum regionale del TS ed Odv regionali nel corso del 1996/97), proseguita con la nomina a portavoce del Collegamento nazionale dei Csv nel 1999 e infine a Presidente di Csvnet[1]. Se dovessi tirare le fila di quell’esperienza, anche in relazione all’impegno per la tua comunità, per il tuo comune che oggi assolvi, sinteticamente cosa pensi abbia significato per te, cosa ti ha dato.

 

Innanzitutto è stata un’esperienza molto bella l’aver potuto sperimentare il mettere insieme tante realtà centrate sul volontariato, ma di provenienza diversa sia dal punto di vista geografico, che culturale, antropologico, ideologico, ognuna impegnata in attività e proveniente da percorsi differenti. Questo elemento della mia esperienza nel coordinamento nazionale dei CSV mi ha insegnato a cogliere quello che c’è di comune e di condiviso a partire da esperienze differenti.

Un altro elemento ancora è stato, inoltre, quello dell’aver imparato a lavorare insieme ad altri, delegando, considerando e valorizzando i contributi di ciascuno, lasciare spazio, in sintesi l’aver imparato a guidare una organizzazione non essendo sempre e necessariamente in prima linea. Le mie esperienze le ho sempre vissute con entusiasmo mettendomi in gioco direttamente, ma nel mio ruolo interno a Csvnet ho acquisito la consapevolezza dell’importanza di saper valorizzare, capire, ascoltare gli altri, rispettando quando necessario anche tempi diversi da quelli miei personali. Questo è importante non solo da un punto di vista organizzativo in sé, ma anche perché, soprattutto nel volontariato, è fondamentale far sì che tutti abbiano possibilità di svolgere il proprio protagonismo senza che chi dirige sia una presenza ingombrante, che vuol gestire le cose troppo direttamente.

Altro aspetto importante, che per me è stato significativo, è l’aver imparato che dentro queste esperienze complesse del volontariato, con provenienze differenti per storia, bisogna saper dare degli obiettivi concreti, vicini, ma anche degli obiettivi simbolici, dei simboli di senso intorno ai quali costruire senso di appartenenza. Questo è un aspetto importante perché le persone non stanno insieme solo per una utilità diretta, diciamo misurabile, ma stanno insieme se condividono una sfida, se condividono degli obiettivi, quindi dare significati simbolici alle esperienze è molto importante. Poi ci si può dividere sul piano delle azioni, ma l’avere degli obiettivi strategici, dei simboli dove si trova l’unità è molto importante.

Ultima cosa, ha giocato molto l’entusiasmo, la voglia, la sfida. Avere sfide con cui misurarsi, nella vicenda dei Csv è stato determinante. La stessa creazione dei Csv al Sud, con tutti i personalismi, sembrava un compito impossibile, irrealizzabile. Quindi la sfida, di crederci e di giocarsi è stato molto utile e oggi nell’esperienza politica questa cosa conta. Ecco tutto questo mi è servito, e mi serve tanto oggi. La mia fortuna, guardando alle fasi della mia vita, è stata quella di scoprire di essere cresciuto e di aver fatto cose in cui ho creduto, che mi sono piaciute, in cui mi sono sentito immerso dentro fino in fondo, e l’aver avuto tante persone intorno con cui condividere queste cose.

D: Sei stato eletto in una Giunta, quella Pisapia al Comune di Milano, che ha visto in campagna elettorale una larga partecipazione, mai registrata in maniera così esplicita ed a questi livelli d’impegno, da parte delle organizzazioni della cittadinanza attiva milanese. E’ stata una mobilitazione che certamente ha contribuito in maniera determinante a mettere in minoranza quelle forze politiche che guidavano ininterrottamente da quasi un ventennio la città (dalla giunta Borghini insediatasi il 18/1/1992). E’ un evento rilevante sul piano nazionale: c’è chi dice che dal secolo scorso le cose più importanti per l’Italia iniziano e finiscono a Milano (nacque nel 1906 nell’allora Camera del lavoro, la Cgl, la Confederazione generale del lavoro, il primo e tuttora più importante sindacato italiano; nacque anche il fascismo che qui ebbe il suo epilogo; qui è avvenuta “tangentopoli” e qui è partita l’ascesa delle forze che porteranno Berlusconi a “scendere in campo”). Pensi che quelle elezioni possano aprire un nuovo corso della politica italiana? Che quella collaborazione stretta tra organizzazioni della cittadinanza attiva e le forze politiche che si sono candidate insieme a Pisapia alla guida della città prefiguri un cambiamento del rapporto istituzioni/partiti/organizzazioni del TS/cittadini?
 
Io penso di sì, che le elezioni a Milano abbiano segnato un salto in avanti nel rapporto cittadinanza attiva/istituzioni, interessante e da studiare.

Certo bisogna anche tenere conto del momento favorevole: nella vittoria di Pisapia ha contato molto anche il malcontento verso la Moratti vissuta come lontana nello svolgimento della sua funzione pubblica e di scontento nei confronti di Berlusconi e di disgusto riguardo ad alcuni suoi atteggiamenti. Questi due aspetti hanno costituito il substrato.

Questo terreno favorevole però non basta a spiegare la vittoria. C’è stata in più la figura di Pisapia, e ovviamente la voglia di fare politica, di partecipare, che è stata determinante e che si sente ancora da parte dei cittadini e di gruppi di cittadini. Che questa partecipazione possa ricondursi solo al TS “tradizionale”, qualche dubbio ce l’ho. Certamente c’è stata un’idea di partecipazione politica intesa non solo come una questione di partiti o di chi è vicino ai partiti. Durante la campagna elettorale si è toccata con mano la voglia di partecipare della gente, la voglia di esprimere non solo un voto ma anche una visione di cambiamento, la voglia di mettersi in gioco e di confrontare le proprie idee con quelle degli altri, di creare luoghi e momenti di confronto, anche in maniera assolutamente non governata, dove ognuno si è sentito attore di se stesso.

Tornando alla questione della presenza del TS, secondo me c’è stata una forma di partecipazione nuova, un’aggregazione libera e spontanea dei cittadini per dialogare con gli amministratori della città e non solo per portare avanti rivendicazioni. Questo significa che adesso, nel rapporto con la nuova Giunta, anche se la gente pone questioni come quella della sicurezza e del degrado, talvolta con esasperazione per non aver potuto esprimere queste istanze per tanto tempo, in primo luogo ringrazia per l’atteggiamento di ascolto e poi propone un confronto aperto per raggiungere insieme un obiettivo; questo avviene oggi, quando invece la prassi era quella della recriminazione e della sfiducia. Anche la protesta per le cose che non funzionano, dal marciapiede ai furti, non si esprime solo come una protesta rivendicativa ma, riconoscendo il ruolo dell’istituzione e i suoi limiti, ci si vuole mettere in relazione partecipativa con essa, e questa è una cosa nuova.

In questo senso si è avviato un nuovo processo nel quale i cittadini singoli si mettono insieme perché vogliono partecipare alla ricerca di una soluzione. Questo avviene non solo attraverso i Consigli di Zona o i comitati di quartiere, ma anche con forme autorganizzate che sfruttano il canale telematico, dai social network come Facebook, ai siti di videosharing come Youtube. Insieme a questo c’è, ovviamente, anche tutto il sistema tradizionale, l’associazionismo, che ha cominciato a porre la propria soggettività non facendo scelte politiche a priori ma interagendo con il governo della città per chiedere alcune cose. Questa partecipazione congiunta dei cittadini in forme più sciolte e meno strutturate, da un lato, e del TS associativo, dall’altro, è dipeso secondo me dal fatto che il meccanismo tradizionale di partecipazione politica legato alle organizzazioni partitiche non costituiva più il luogo attraverso cui la domanda di intervento poteva essere raccolta e mediata. Oggi la gente chiede molto di più azioni di partecipazione più diretta, più immediata e concreta, libera da certi meccanismi. Mentre è chiaro che un partito è una organizzazione, ha la propria struttura, deve avere dei processi, spesso regolati. Da questo punto di vista il sistema dei partiti sconta un po’ il fatto di essere una organizzazione rigida per propria natura e poi sconta l’immagine che comunque ha dato la politica nazionale in questi anni, per cui non diventa automaticamente luogo catalizzatore di partecipazione.

Siccome ritengo che i partiti siano uno strumento fondamentale della partecipazione politica, probabilmente c’è bisogno di usare di più l’amministrazione locale come uno strumento per il coinvolgimento delle persone intorno ai grandi temi dei beni comuni, come l’acqua, l’inquinamento, così come sulle regole dell’economia. Ecco, secondo me la gente ha bisogno di concretezza amministrativa, da un lato, mentre dall’altro cerca i grandi temi su cui aggregarsi. La politica dei partiti con le sue reti e i suoi meccanismi, anche giusti, consumano molte energie sulle regole. Del resto molti dibattiti politici, che si voglia o no, finiscono per concentrarsi su come si fanno le alleanze, su come si sceglie la classe dirigente: tutte cose importanti ma che assorbono troppa energia e siccome la gente non ha tempo infinito, non riesce più ad ascoltarti e preferisce costruirsi la propria organizzazione.
 
D: Al di là della campagna elettorale come pensi questa inedita collaborazione istituzioni/partiti/organizzazioni di TS possa continuare a Milano? State pensando ad un “patto di sussidiarietà” intorno ai beni comuni della città, per rendere risorsa politica la leva democratica della partecipazione dei cittadini?
 

Sì, anche se poi il rischio di essere assorbiti dalla dinamica amministrativa e decisionale è forte. Amministrare una città vuol dire poi anche essere capace di decidere, e di decidere in tempo breve. Il rischio quindi è che si pensi ai processi partecipativi come processi che allungano le decisioni, e quindi poco efficienti. Si avverte in effetti l’esigenza di stringere i tempi e di stringerli nella giunta, sei chiamato a dare risposte e sei preso dal peso dei problemi e quindi rischi di non essere capace di coinvolgere come nel processo della campagna elettorale e di leggere la partecipazione allargata come un appesantimento. Questo è un rischio che in queste settimane sto vedendo bene, soprattutto dopo il primo mese, quando diventa urgente prendere decisioni perché le situazioni premono.

Però il fatto di ragionare su un “patto di sussidiarietà”, o comunque su una azione strutturata con i cittadini organizzati, è uno degli obiettivi che ci stiamo dando proprio per evitare di cadere nel rischio che ci si limiti alla mera buona amministrazione, che certo è di per sé una buona cosa, ma limitativa quando l’esigenza dei cittadini è anche quella di produrre buona politica nel realizzare percorsi con questo metodo di partecipazione.

Io l’ho visto anche in alcune decisioni che abbiamo dovuto assumere. All’inizio c’è l’entusiasmo, anche nei rapporti con i comitati, poi quando bisogna cominciare a misurare le cose che fai giorno per giorno certe volte c’è il peso della continua concertazione, o del fatto che devi ascoltare la gente e la gente giustamente non ti misura solo nelle cose che hai fatto negli ultimi giorni, ma ha tutto il carico di 3-4 anni di problemi che ha vissuto. Anche da questo punto di vista devi svolgere l’importante funzione di ascoltare, capire come saper rileggere per trovare insieme le soluzione quando magari puoi andare in giunta e risolvere in poco tempo il problema. Queste cose stiamo cercando di farle, anche se forse dovremmo fare il salto di darci delle regole di partecipazione più strutturate, separando anche i vari momenti -quello della partecipazione, della lettura dei problemi e dello scambio delle informazioni, seguito poi da quello del confronto, della decisione e poi da quello del monitoraggio dell’esercizio della decisione e della verifica- stabilendo al contempo le reciproche responsabilità. A breve faremo una due-giorni sul tema del welfare, come amministrazione comunale, con momenti di discussione pubblica, con dei laboratori, dei lavori di gruppo, sul welfare di Milano. Qualcosa di simile è stata già fatta per altri temi. Ecco su questo dovremmo lavorarci un po’ di più e darci delle regole, ma ci stiamo sperimentando.

La sussidiarietà vuol dire anche questo, cioè far partecipare la gente anche sui vincoli che abbiamo, chiedendo anche di condividere responsabilmente le situazioni e le scelte difficili.

Stiamo pensando ad altre iniziative tipo la due giorni sul sociale e poi stiamo analizzando la possibilità di un protocollo con il Csv e il Forum per avere nella mia delega un luogo di rapporto strutturale con il volontariato e l’associazionismo, il TS, indipendente dai singoli provvedimenti. Un conto sono le relazioni tra istituzione e soggetti del TS legate alle singole azioni, per cui l’associazione che lavora con i disabili, ad esempio, si relaziona con l’assessore al welfare per realizzare l’assistenza domiciliare, i servizi; però avere istituito l’assessorato al volontariato, all’associazionismo e al TS è diverso. Vogliamo realizzare qualcosa di simile a quanto fatto in Puglia con l’Assessorato per la cittadinanza attiva, pensando a un percorso di rapporti del TS con i vari assessorati di riferimento per i progetti, i servizi e attività che svolgono, da una parte, e ad un percorso di relazione strutturale sul senso che ha il TS come cittadinanza attiva, come partecipazione e coinvolgimento dei cittadini nelle scelte della propria città e nel sentirsi responsabili, dall’altro. Quest’ultimo aspetto va bene affidarlo ad un assessorato che non fa convenzioni per un servizio, e che quindi non si interessa degli aspetti gestionali di attività a cui partecipa il TS, ma bensì delle questioni di strategia e ruolo del TS, del rapporto con l’insieme di quel mondo e degli aspetti culturali connessi.

Come istituzione per me è fondamentale che da una parte ci siano degli strumenti di partecipazione che non siano solamente quelli del singolo cittadino che si rivolge all’istituzione, cosa che può essere molto demagogica e che probabilmente è figlia di una cultura diversa e dove il rischio è quello della manipolazione del cittadino da parte del potere.  Laddove invece l’istituzione ritiene di dover costruire un percorso partecipativo attraverso l’aggregazione e la responsabilizzazione degli attori, allora io come istituzione non devo solo aiutare l’associazione a fare buoni progetti, ma devo aiutarla ad esistere, a fare in modo che tutti i cittadini nella loro vita conoscano le associazioni, sperimentando un po’ di bene comune. In tal senso sono strategiche le iniziative di comunicazione come la “Domenica a Piedi” dell’associazionismo. Questo evento consiste cioè nel fare in modo che per ognuna delle domeniche programmate nell’anno i cittadini abbiano l’opportunità di conoscere le realtà operanti sul territorio e di rendersi conti che a Milano c’è una ricchezza di persone che lavora intorno ai disagi vissuti dalle persone. La prima Domenica a Piedi sarà il 29 novembre che è anche la giornata mondiale per l’infanzia. Per questo abbiamo deciso che deve essere una domenica di finestra per l’associazionismo che lavora nello specifico con i bambini e i ragazzi. Non si tratta di fare un po’ di folklore. Piuttosto vuol dire aiutare le associazioni ad essere più conosciute, ad avere cittadini che si impegnino e che ci mettono risorse, aiutando in definitiva l’associazionismo ad esistere oltre che a fare buoni progetti.

Il creare dei luoghi e dei momenti per favorire la partecipazione e la consapevolezza nella popolazione del fatto che non esiste solo il Comune, ma che ci sono anche gruppi di cittadini organizzati che pensano al bene comune, promuove, secondo me, un percorso oltre che di solidarietà, anche di formazione alla cittadinanza. Cosa, questa, che non è neanche automatica in una città grande come Milano. In un paese se si fa la festa dell’associazionismo o del volontariato il paese la vede, se la fai a Milano, puoi avere anche dei grandi numeri ma in genere ci sono gli addetti ai lavori, invece qui l’obiettivo è di fare in modo che il mondo dell’associazionismo sia conosciuto dai non addetti ai lavori. Allora qui l’istituzione penso abbia un dovere fondamentale nel mettere in campo degli strumenti di comunicazione, di facilitazione, di visibilità per le associazioni, indipendentemente da quello che fanno. E su questo impegnare il mondo della comunicazione.

Una delle grandi differenze che io vedo nella mia vita è che prima come Csvnet cercavi i giornalisti, si faceva una fatica incredibile per far pubblicare qualcosa riguardante le associazioni ai giornali o alle televisioni. Quando uno fa invece un’esperienza politico-amministrativa sono i giornalisti che ti chiamano 3-4 volte al giorno per chiederti le cose, per sapere cosa hai da dire. Allora io ho pensato di volgere a favore dell’associazionismo questa cosa e usare questo filo diretto costante che esiste tra l’amministrazione della città e i giornali.

D: Nella campagna elettorale, di cui prima abbiamo parlato, si sono impegnate appoggiando una coalizione piuttosto che l’altra, sia realtà associative del TS appartenenti al mondo laico, come quelle del mondo cattolico, a cui tu appartieni. Vedi questo come un problema?

Diciamo che tradizionalmente questo tipo di associazionismo è sempre stato attento ad investire molto di più nei rapporti istituzionali di gestione e meno nel prendere posizione sulle questioni di contenuto delle politiche cittadine. Questa volta è stato dentro anche un dibattito sui temi, che per il mondo cattolico sono importanti, come il tema della famiglia, per cui c’è anche un dibattito interno al mondo cattolico di attenzione nei confronti di una maggioranza ampia su cui ci sono anche posizioni diciamo culturalmente differenti da quelle del mondo cattolico. Però secondo me a tutt’oggi anche qui c’è stata la voglia di provare a costruire una relazione nuova, di impegno diretto, di non giocarsi direttamente con posizioni precostituite, destra o sinistra. Io ho visto in questi primi mesi relazioni con mondi che hanno posizioni differenti da quelli della giunta, però c’è anche una voglia di corresponsabilità esplicita che in passato non ho visto, e questo mi pare positivo perché è segno di una maturità dell’associazionismo che si mette in gioco che cerca di condizionare positivamente i contenuti. Non ho visto prese di posizione sulla base di assunti ideologici, ma la voglia di costruire insieme. Il nuovo arcivescovo, in uno degli incontri più recenti con tutti i politici della città, ha richiamato l’esistenza di un obiettivo comune, cioè la ricerca del bene comune della città, quale punto di incontro e obiettivo collettivo da ricercare nonostante la differenze che caratterizzano i vari attori sociali e politici. Questo io penso che sia un bel segnale di partecipazione, di non stare in una relazione in cui contano solo le dichiarazioni di principio o di valore.

Prima ancora, io credo che anche il rapporto con il cardinale Tettamanzi abbia contribuito molto ma non perché, come qualcuno dice, si sia schierato per Pisapia piuttosto che per la Moratti, ma perché negli ultimi anni della amministrazione precedente ha messo alcuni temi sul tavolo senza fare sconti per nessuno, sottolineando che chi amministra la città deve ricercare l’interesse dei deboli e non dei forti. Questo secondo me è stato un contributo a questo percorso di partecipazione, perché ha dato ai cristiani impegnati un messaggio chiaro. Il cristiano non è che non deve scegliere, può e deve scegliere, sulla base a dei propri valori e della sperimentazione di questi nel percorso e con gli strumenti necessari ad arrivare al risultato ricercato.

D: L’istituzione dei Csv, a mio avviso, ha attuato ante litteram quanto prevederà successivamente la modifica costituzionale del 2001, là dove essa stabilisce (art. 118, u.c.) che le istituzioni pubbliche debbano favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento d’attività d’interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà. Ma per il volontariato e il TS, per il sistema democratico italiano, cosa pensi abbia significato la loro istituzione? Nello specifico, cosa hanno aggiunto i Csv al tessuto della partecipazione del volontariato e sulla scena della democrazia italiana? Ritieni che qualcosa di simile ai Csv debba essere pensato per altre forme della cittadinanza attiva, dello stesso TS? Se sì in quali forme? Creando nuovi enti o è auspicabile un allargamento delle competenze e delle presenze negli stessi Csv?
 
I Csv sono stati un’opportunità per sperimentare le dichiarazioni di principio dell’art. 118, su più piani. In primo luogo hanno permesso a soggetti del volontariato di mettersi insieme per un obiettivo comune, e non di ciascuna organizzazione, impiegando risorse umane, organizzative ed economiche. L’istituzione dei Csv è stato dunque un momento fondamentale non tanto rispetto alla gestione dei servizi quanto piuttosto rispetto alla dimensione della governance dei servizi. La cooperazione sociale con i consorzi o la promozione sociale con le grandi associazioni aveva forse un po’ sperimentato questa modalità organizzativa, anche se legata più a grandi appartenenze culturali o ideologiche. Nel settore del volontariato non c’è mai stato niente di simile e soprattutto niente che avesse le caratteristiche di trasversalità rispetto alla appartenenza ideologica. Riconoscere l’esistenza dei Csv è stato un processo difficile, non solo per i problemi dei costi economici, ma anche per la fatica del mettere insieme associazioni piccole, grandi, di ispirazione cristiana piuttosto che laiche, che si occupano di protezione civile o di sociale o di altro, per costruire un percorso progettuale che doveva essere molto concreto, perché alla creazione dei Csv si è proceduto con bandi a progetto. In questi 10 anni, per i motivi che ho detto, il sistema dei Csv ha fatto la differenza e ci permette, oggi, di avere una base importante per fare percorsi di corresponsabilità e rappresentanza.

In secondo luogo, il sistema dei Csv ha messo insieme anche una serie di operatori, di professionisti che hanno cominciato a lavorare su cosa vuol dire aiutare le associazioni per svolgere meglio la loro missione, e se in alcuni casi si vede di tutto, in alcuni territori si è lavorato davvero bene sulla formazione, per le associazioni, o per il volontariato, o per la progettazione. Si è creata, quindi, oltre che una risorsa per la partecipazione politica, anche una risorsa in termini di professionalità di cui possono avvantaggiarsi anche gli enti locali. Ciò perché i Csv danno l’opportunità agli enti locali di avere dei partner con cui costruire percorsi per favorire il volontariato, ma anche per avere un soggetto interlocutore.

D: Io ho l’impressione che il non essere riusciti ad affrontare i nodi dell’allargamento ad altri volontari oltre quelli della 266/91 e di una più alta qualificazione dei servizi erogati dai Csv (penso ai servizi alle reti regionali e nazionali, ad una seconda generazione di servizi, ad es. nella formazione dei quadri o in un diverso tipo di consulenza) abbia indebolito il sistema dei Csv. Cosa ne pensi?

Io penso che questo allargamento di cui parli, sia nelle azioni che nei destinatari, sia un processo da svolgere. Certo, bisogna ben tutelare il volontariato, cioè evitare che venga fatta una lettura che porti ad utilizzare le risorse del volontariato per gli altri, ma superato questo problema io credo che sia una cosa fondamentale per l’identità del TS tutto. Lo dico perché credo che la caratteristica della gratuità ma ancora di più della solidarietà, che è agire per i beni comuni, sia la caratteristica centrale del TS e non solo del volontariato. Considera che oggi il TS è principalmente concentrato sulla gestione di servizi e se si perde questa dimensione della solidarietà si diventa un organismo che si diversifica dagli enti di mercato solo perché reinveste gli utili, che va bene lo stesso, però il TS è qualcosa di più. Detto questo, penso che una delle necessità per il TS sia quello di rafforzare questa caratteristica e penso che il volontariato inteso in senso lato, come presenza di attività volontaria sia fondamentale per garantire questo. I CSV possano avere questo grande compito di fare in modo che il TS mantenga questa caratteristica e quindi che l’azione volontaria, l’azione di solidarietà, permei tutto il TS. Questo è un obiettivo che per realizzarlo necessita di un investimento.

Quindi io guardo con favore ad un allargamento da questo punto di vista, anche perché credo sia interessante pensare alla prospettiva di avere un sistema dove l’aspetto di governo politico svolto dalle forme di rappresentanza, non sia disgiunto dal sistema dei servizi. Poi ci sono responsabilità diverse, però io penso che il futuro sia non nella assoluta separazione tra rappresentanza politica e organizzazione dei servizi al TS o al volontariato, perché l’organizzazione di questi servizi non è, e non deve essere, indipendente dalla strategia politica, e la strategia politica di evoluzione del TS è compito delle sue forme di rappresentanza, cioè tutta la rappresentanza deve fare strategia politica. E quindi la strategia politica si fa a partire dai contenuti, dalle scelte politiche, dalle relazioni con le istituzioni, ma anche nell’avere la capacità poi di realizzare servizi e azioni concrete che corrispondono alla strategia politica.

Quindi credo ci voglia una connessione, e in questo quadro certamente sta dentro l’esperienza dei Csv. Questa è l’idea, poi dopo, se questo deve essere fatto allargando l’azione dei Centri, oppure realizzare una grossa sinergia tra i CSV e i Forum, su questo possiamo aprire un dibattito. Io penso che nella situazione di adesso, anche per un dato di realtà, stringere sempre più relazioni tra i Forum del TS, a partire dalla loro componente di volontariato, e i Csv sia la strategia vincente, sia politica che concreta. Io penso che quello che è stato fatto sia a livello nazionale sia in alcune realtà locali abbia creato oggi la possibilità di realizzare una relazione più stretta tra il sistema dei Forum e quello dei Csv, superando le difficoltà che c’erano all’inizio per una lettura un po’ viziata legata alla questione delle risorse. L’aver lavorato insieme tra Forum e Csv, in molte regioni, nella Fondazione con il Sud, secondo me ha positivamente fatto emergere la necessità di mettere insieme la dimensione politica con quella dei servizi. Oggi io penso che queste prime esperienze si possano strutturare meglio, proprio perché siamo in un periodo di scarsità di risorse che ci richiama ad una maggiore responsabilità.

D: Nell’ultimo accordo (giugno 2010) tra Acri, Consulta dei CoGe, Csvnet, rappresentanze nazionali del volontariato e del TS, mi pare che le fondazioni di origine bancaria abbiano recuperato una parte consistente dell’ “extraccantonamento Visco”, credi che quello fosse un esito inevitabile connesso alle difficoltà gravi del sistema bancario o che si poteva  chiudere diversamente quell’accordo? E se sì, a quali condizioni si poteva avere un esito diverso?

Secondo me è vero che in alcune fasi prima di quest’ultimo accordo, una delle grosse difficoltà sicuramente è stata quella di gestire non tanto il rapporto con il sistema delle fondazioni, quanto il dibattito con il sistema del TS in generale. Cioè la forza e la debolezza dei Csv in quegli accordi secondo me è stata molto legata a quanto il mondo del volontariato e del TS veramente abbia creduto nel sistema dei Centri. Per cui se devo rispondere, la forza del sistema Centri di Servizio è strettamente connessa al farsi leggere nelle trattative come un soggetto sostenuto e parte integrante del sistema volontariato e TS. Più è così più ha forza, questo è indubbio, e la fatica di questi anni è stata questa. Quindi probabilmente se noi fossimo riusciti ad arrivare ad un certo grado di consapevolezza ed unità sarebbe stato un po’ meglio, questo è indubbio. Ad ogni modo l’aumento di credibilità del sistema Csv nei confronti del soggetto Forum del TS penso che sia una strategia politica che ha portato i suoi frutti e forse, anche se con i “se” è difficile fare la storia, stringere maggiori alleanze prima avrebbe permesso di essere più forti. È vero quello che dici tu, cioè che i soldi messi a disposizione per garantire un minimo di risorse per il Csv, in parte vengono ancora da risorse messe da parte provenienti dall’accordo del ottobre 2005, come è vero anche che definire una quota minima è una tutela rispetto al non perdere ulteriormente, ma anche può essere un modo per fotografare i finanziamenti ad ora e bloccare così i Csv nel lungo periodo alle attività oggi svolte. È anche però vero che nell’accordo è prevista una maggiore attenzione alla rendicontazione sociale dell’attività dei Csv, il che significa rendicontare sia sulle cose fatte ma anche sulle esigenze avvertite. Io sono convinto che se un domani il TS pone la questione che servono servizi di maggior qualità e di maggior costo, e lo fa in maniera unitaria e forte su questo, le fondazioni sono disponibili a giocarsi da questo punto di vista, certo deve essere una richiesta surrogata da una evidenza dei fatti e pertanto non legata a questioni di principio, ma ancorata al buon esito di alcuni percorsi che si stanno facendo. Secondo me una rendicontazione economica e sociale vera e condivisa, unita ad un processo valutativo del raggiungimento degli obiettivi e ad una maggiore forza politica può portare comunque ad un aumento di risorse.

Io penso che le fondazioni stiano conoscendo e riconoscendo sempre di più cosa fanno i Centri e si stiano anche convincendo che in fondo l’idea del Csv non è da buttare e che anzi c’è grande qualità e professionalità. Il fatto che, ad esempio, in tanti posti d’Italia le fondazioni nel riconoscere il loro range dei bisogni, nel fare i bandi si avvallino dei Csv non solo per l’aspetto tecnico ma anche di valutazione dei bisogni del TS sul territorio, penso sia esemplificativo di quanto ho appena detto. Il fatto che Fondazione con il Sud abbia riconosciuto Fqts[2] come un percorso strutturale e l’abbia affidato a soggetti di TS e anche ai Csv, secondo me è un altro risultato che va in questa direzione. Quando è stata istituita la Fondazione con il Sud cose di questo tipo non erano neanche immaginabili.

D: Alla luce dell’obbligo costituzionale di favorire la cittadinanza attiva da parte delle istituzioni pubbliche, pensi si debba pensare di avanzare richieste di finanziamento pubblico ad attività di formazione e sostegno alla cittadinanza attiva come quelle erogate dai Csv? Dove pensi si possano andare a reperire le risorse, pensi sempre al sistema delle fondazioni di origine bancaria o ad altri enti?

Secondo me altre risorse possono essere trovate ancora nelle fondazioni andando oltre all’1/15, cioè creando maggiori sinergie tra il sistema delle fondazioni e sistema TS, volontariato, Csv, e anche nelle istituzioni. Poi è chiaro che adesso per le istituzioni è un momento difficilissimo, perché soldi non ce ne sono, però io penso che l’esperienza dei centri dia alle istituzioni dei partner per svolgere attività utili alla loro funzione di programmazione. Cose come ricerche, la lettura dei bisogni per fare dei piani, le istituzioni di solito le affidano alle università, ad agenzie di formazione e di ricerca. Oggi io penso che i Csv, con la loro competenza, e la loro governance politica ampia, stanno diventando dei soggetti che sono riconosciuti per questo. E poi le istituzioni possono spostare risorse che non utilizzano. Non ha senso che il comune spenda le risorse di cui dispone per fare il censimento per le associazioni quando, collaborando con il Csv, può mettere le proprie risorse in comune ottenendo una banca dati migliore.

D: Ma ti pare possibile, cosa di cui ho informazione certa, che dopo tanti anni ci siano ancora delle fondazioni di origine bancaria che non hanno capito che i Csv possono garantire un rapporto con migliaia di associazioni e che questo può essere per loro una opportunità importante per legittimare pienamente il loro ruolo sociale?

Il fatto è che se le fondazioni riconoscessero nei Csv un interlocutore questo le costringerebbe a cambiare, a non essere più libere di fare quello che vogliono. Secondo me i padri dell’art. 15 della 266 sono gli stessi che hanno cercato di fare questo percorso diverso per le fondazioni. L’art. 15 e la riforma delle fondazioni sono state fatte insieme, di certo non per caso perché l’art.15 è stato uno degli strumenti per aiutare le fondazioni ad essere soggetti meno autoreferenziali.

D: Un'ultima domanda relativa alla questione della rappresentanza. Oramai non sei più in prima fila e con responsabilità nel TS, cosa pensi dell’annosa questione del problema della rappresentanza delle Odv e del ruolo dei Csv? E cosa pensi dello stato attuale degli organismi di rappresentanza verticali e orizzontali del TS?

Io penso che negli ultimi anni abbia giocato molto una paura di cessione di potere. Questa è una problematica in sé un po’ legata al potere; le grandi organizzazioni che hanno istituito il Forum del TS hanno sempre temuto un po’ che i Csv, che sono fuori dal loro controllo potessero scippargli un ruolo forte di rappresentanza. Per tale motivo hanno fatto leva sull’idea che i Csv sono una cosa tecnica, mentre i Forum fanno la politica, che secondo me è stata una lettura molto difensiva alimentata dalla paura che c’è tutt’ora. Di fatto, io sostengo che la rappresentanza vera si costruisce nelle cose, non è che uno è rappresentante per diritto divino. Piuttosto dipende da:

  1. quali contenuti sai porre;
  2. quanta condivisione puoi portare effettivamente nei momenti d’azione;
  3. quanto sei veramente letto come soggetto rappresentante di molti.

In questo senso devo dire che i Csv hanno costruito molto, grazie anche alle risorse che avevano, ma secondo me grazie anche al pluralismo che dentro di essi c’era. Per questo dico che la vera rappresentanza è un prodotto plurale di tanti soggetti, e anche una certa politica fatta dal Forum di porsi quasi sull’Aventino dicendo “noi siamo gli unici rappresentanti, chi vuole fare rappresentanza deve chiedere il permesso a noi”, è stata una debolezza per il Forum, perché ha creato più nemici che sostegno al Forum. Oggi la politica del Forum mi pare più aperta e partecipativa tanto da dire: “siamo soggetto importante, siamo un soggetto della rappresentanza, però vogliamo esserlo in senso inclusivo, e allora i Csv sono un soggetto che sicuramente partecipa alla costruzione della rappresentanza”.

Io penso che se qui si vuole costruire la vera rappresentanza del TS, non solo come lobby ma che si tratti di una rappresentanza degli interessi generali, questo lo si può fare se si costruisce una rappresentanza che anche nei modi non è lobbystica, perché la rappresentanza della lobby è difendere i soggetti, ma è un modo anacronistico rispetto al mondo del TS. È chiaro che le associazioni del TS devono difendere ad es. il 5xmille, l’autonomia statutaria, i benefici fiscali e tutte queste cose, però se vogliono raggiungere quel risultato non lo si fa come lo fa una lobby chiusa che gioca il proprio potere di ricatto, lo si fa se allargano la partecipazione. Il 5xmille, per dire, passa se c’è consenso su questa norma e allora il politico si rende conto che se non fa questa cosa perde dei voti, non lo fa per lobby economica, ci sono lobby ben più forti e quindi è inutile mettersi sullo stesso piano. Il TS deve rafforzare la sua capacità di avere un grande consenso della popolazione e quindi essere un soggetto che costruisce una rappresentanza larga e secondo me anche un po’ più movimentista, nel senso di portare avanti dei temi simbolici. Allora un Forum che parla dei temi dell’acqua piuttosto che dei beni comuni, della tassazione, del bisogno di welfare anche con forza e comunicazione e senso di sfida di fronte alla politica, secondo me si rafforza. Un Forum che va a trattare sulla singola questione si indebolisce. Poi è chiaro che non devi fare la battaglia contro i mulini a vento, quindi poi devi interloquire, devi capire che devi anche costruire delle interazioni concrete di mediazione, però secondo me è una forma di rappresentanza che ha bisogno di grande consenso politico.

Probabilmente il TS non è ancora capace di cogliere e di esercitare la fiducia dei cittadini, e questo è possibile solo ponendo attenzione ad elementi simbolici come la costruzione di un meccanismo di informazione, di regole, di capacità capillari di movimento. E poi, e chiudo, secondo me la rappresentanza oggi deve avere quel canale verticale che ha il Forum del TS ma deve anche saper cogliere le piccole espressioni locali che mai si ritroveranno raggruppati in qualche rete. Questo nel Forum non si ha perché è costruito per una alleanza tra alcune grandi organizzazioni del TS, con tutta la mia grande considerazione per queste grandi organizzazioni.
 


[1] Presidente dal 1997 al 2006 dell'Associazione Ciessevi (Centro di Servizio per il Volontariato per la Provincia di Milano), dal 1999 portavoce del Collegamento Nazionale dei Centri di Servizio per il volontariato e dal 2003 al 2011 Presidente di Csvnet, il Coordinamento nazionale tra i Csv. Nel maggio 2006 è eletto consigliere comunale e dal maggio 2011 assessore al Comune di Milano.
[2] Il percorso Fqts, di Formazione dei quadri del TS di sei regioni meridionali (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna, Sicilia) è sostenuto da Fondazione con il Sud ed è stato voluto sin dall’inizio della sua costituzione dalle organizzazioni di TS che fanno parte dei suoi organi sociali. 
 
 
 

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